Un ponte virtuale tra Oriente e Occidente ha fatto incontrare 150 studenti dell’istituto Borsi di Milano e un gruppo di ragazzi siriani rifugiati in Libano durante l’evento Siria chiama Italia.
Attraverso una skype call gli alunni della scuola superiore di primo grado hanno intervistato i loro coetanei siriani che frequentano un centro educativo a Zefta, nel sud del Libano. Il collegamento azzera i 3mila chilometri che li separano. Più che attraverso un computer, sembra che i ragazzi si parlino da due finestre di due scuole una di fronte all’altra: «Come ti immagini la Siria dopo la guerra?» chiede Lisa, guardando lo schermo in cui Mahmoud, suo coetaneo, alza la mano per rispondere: «La voglio immaginare bella come prima, anzi di più».
Mahmoud ha 13 anni, è di Aleppo e, ripensando alle immagini della città distrutta, viene spontaneo pensare che solo il potere della fantasia di un ragazzo di della sua età potrà ricostruire quella città, martoriata da una guerra lunga ormai più di 7 anni.
«Com’era la vostra vita in Siria, e com’è la vita da rifugiato?» Chiede Marco. Wafaa risponde senza esitazioni che erano felici e non avrebbero mai pensato di andar via. «La mia vita non è più la stessa – continua Khaldiya, che è scappata da Idlib «ma qui non ho più paura, in Libano nessuno mi può fare del male».
L’iniziativa è stata organizzata dalle ong AVSI e Terres des Hommes Italia, due delle quattro organizzazioni (Avsi, Terre des Hommes Italia, Terre des hommes Olanda e War child Olanda) che lavorano insieme in Libano e Giordania nell’ambito del progetto Back to the future per un obiettivo: aiutare 21.700 bambini e ragazzi a tornare a scuola, o a non lasciarla. Il progetto sostiene soprattutto i rifugiati siriani ma con loro studiano, recuperano anni di scuola e ricevono sostegno psico-sociale anche libanesi e giordani in difficoltà.
Un progetto reso possibile dall’Unione Europea attraverso il regional trust fund istituito proprio in risposta alla crisi siriana.
«Vogliamo ridurre le conseguenze che la guerra ha avuto sulla loro vita dei bambini e ragazzi siriani attraverso l’istruzione». – spiega Ilaria Masieri di Terre des Hommes. «Questo significa non solo garantire un’educazione di qualità», continua Iman Habib di AVSI «ma protegge i bambini e ragazzi dal lavoro minorile, o da matrimoni precoci. Prendiamo l’esempio di una ragazza di 13 anni. Se va male a scuola, o non ci va proprio, è più probabile che una famiglia in una situazione economica difficile la dia in sposa a un uomo, magari molto più grande di lei. In alcune aree rurali del Libano, il 10%-15% delle ragazze si sposa prima dei 18 anni».
@ per la foto di copertina credits: Andy Hall per il progetto Back to the Future