LE NOSTRE BATTAGLIE, di Guillaume Senez, con Romain Duris, Laetitia Dosh, Lucie Debay. Vincitore del Premio del Pubblico e del Premio Cipputi al 36° Torino Film Festival. Nelle sale.
Olivier è caporeparto in un’azienda stile Amazon, dove i contratti degli operatori sono a tempo determinato e i tempi di stoccaggio vengono strettamente controllati. In modo “digitale”.
Il nostro protagonista ha la fiducia dei suoi compagni, perché li difende nei confronti della proprietà e dedica gran parte del suo tempo al lavoro in mezzo a loro. E’ sindacalizzato quanto basta, umano e appassionato, non certo un semplice portavoce dei padroni.
E lo dimostra ogni giorno combattendo contro i licenziamenti ingiusti, le richieste eccessive e la spersonalizzazione da lettori di codici, tablet, sensori, simile se non peggiore a quella della catena di montaggio.
A casa lo aspettano una moglie e due figli che trascura con amore, in modo involontario, assorbito com’è dalle emergenze dell’azienda. Il carico della famiglia, quindi, è tutto sulle spalle di sua moglie Claire , che una mattina se ne va senza lasciare un biglietto, una spiegazione e tanto meno un recapito.
La giovane donna scompare all’improvviso dalla vita sua e dei figli, senza liti ne’ strepiti, lasciando un vuoto incalcolabile che impone nuove soluzioni al brusco sparire dei piccoli rituali quotidiani a cui i bambini sono abituati.
Cosa mangiano a colazione? Dove stanno le loro magliette preferite? Quali fiabe ascoltano la sera? Di colpo Olivier si rende conto che tanto era attivo e attento con i colleghi, quanto meno riusciva ad esserlo a casa nel poco tempo che gli restava, sempre più eroso da un lavoro che ingombra, paralizza, travolge ogni energie. E a quel punto inizia a combattere un’umanissima battaglia per tenere tutto insieme, famiglia, affitto, fabbrica e un cuore ferito, in un affanno sempre più forte tra sfiducia e voglia di lottare, dolore e necessità, confusione e sprazzi di luce.
Eppure il film, che anche per l’uso della macchina a spalla ricorda i Dardenne, non affonda mai nel patetico, neanche quando scava nel dolore dei più piccoli, non mostra un solo accenno di retorica e non dà giudizi su nessun personaggio del plot, madre compresa.
Senez, infatti, riesce ad avere per tutti i 98 minuti della sua opera uno sguardo pieno di grazia e di tenerezza su una vicenda amarissima, e dalla storia si capisce che non gli manca la fiducia nel genere umano.
Olivier ha sicuramente commesso degli errori però è un personaggio generoso, onesto, un resistente. E riesce a reinventarsi un nuovo equilibrio, tra la trincea del lavoro e quella delle mura domestiche, anche perché non è mai solo: gli sono accanto la madre, la sorella e i compagni di tante battaglie.
Gli operai dello stritolante mega magazzino hanno a difenderli lui e i sindacalisti, disegnati qui, per una volta, con i tratti di chi si sacrifica davvero per gli altri e alla fine ci rimette pure.
Le nostre battaglie (titolo azzeccatissimo, per una volta tradotto letteralmente) affianca di continuo pubblico e privato, come si diceva negli Anni Settanta, sapendo che in troppe situazioni le due facce sono ormai inscindibili, tratteggia con sicurezza ambienti e relazioni, cesella il percorso di frattura e precaria ricostruzione di un uomo (uno splendido Romain Duris) con un tono colloquiale, intimo, di grande aderenza alle realtà che si ‘sente’ in tutti i dialoghi.
Anche perché il regista scrive la sceneggiatura minuziosamente prima di girare, ma sul set lascia improvvisare gli attori, per dare al film una consistenza particolare, fatta di momenti in cui i personaggi cercano un pò le parole, i discorsi si accavallano, accadono quei piccoli imprevisti che caratterizzano la vita di tutti i giorni ma spesso si tendono a perdere quando si fa un film .
La bella pellicola di Senez, che commuove a ciglia asciutte e fa molto riflettere, ci spinge a chiederci: per quali battaglie vale la pena di impegnarsi? Quali devono essere le nostre priorità?
Davanti a sfide tanto importanti abbiamo il diritto di ritirarci o dobbiamo combattere ancora, ancora e ancora,? Le parole del regista sono illuminanti: “Non faccio cinema teorico, cerco di restare ad altezza d’uomo, di essere a contatto con le sensazioni e i sentimenti.
Le nostre battaglie offre uno sguardo sul mondo del lavoro di oggi e sulle ripercussioni che ha sulla famiglia. Ed è un film in cui le persone fanno fatica a dirsi le cose. L’idea di avere sempre tante difficoltà nell’aiutare chi amiamo, mi commuove (…) . E volevo mostrare la libertà di i una donna ad abbandonare i propri figli.”
Attenzione all’ultima inquadratura: potente, umanissima, originale, empatica. Fa ben sperare sul futuro nostro e dell’opera cinematografica di Senez.