La libertà secondo Cédric Herrou

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12 Marzo 2019

Intervista a Michel Toesca, regista del documentario “Libero”, dedicato al contadino francese che soccorreva i migranti nella Val Roia

«È qui dentro, la libertà, per me», dice Cédric Herrou indicandosi la tempia con l’indice. «E io voglio continuare a essere libero».

In questa scena del documentario Libero di Michel Toesca, presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes, c’è il senso profondo della storia di Cédric, il contadino francese 39enne che per anni ha aiutato i migranti che attraversavano la Val Roia, al confine tra Italia e Francia e che, per questo, è stato incriminato per “delitto di solidarietà”.

Il film è un lavoro di autentica testimonianza e segue il ritmo reale delle vicende: lo spettatore può dunque accusare un’eccessiva lentezza, però esce dalla sala con la sensazione di aver assistito a qualcosa di semplice e allo stesso tempo straordinario.

Libertà e resistenza sono due parole-chiave in questo film, così come nella vita di quei cittadini europei che non vogliono arrendersi al dilagare di razzismo, disumanità, xenofobia.

Libertà di agire, se necessario, anche contro la legge. Come ha fatto Herrou, che durante i 100 minuti di documentario vediamo: attrezzare la sua casa per ospitare un certo numero di migranti irregolari; occupare una vecchia stazione ferroviaria per alloggiarne un numero maggiore; dichiarare alla tv le proprie azioni; accompagnare di nascosto a Nizza i migranti che vogliono chiedere asilo ma non hanno la libertà di muoversi sul territorio francese; discutere con i politici locali; ricevere numerose visite della gerdarmerie; essere incriminato e pure condannato (anche se dopo la conclusione delle riprese è stato assolto).
Abbiamo intervistato il regista.

Ciò che più colpisce del personaggio Cédric è che non mostra compiacimento per le proprie azioni: la convinzione di essere nel giusto è talmente profonda che non sembra ci sia spazio, in lui, per indulgere in atteggiamenti da eroe. Lei ha fatto un lavoro puntuale di documentazione, ma so che lei e Cédric vi conoscete da tempo: come lo racconterebbe?

È una persona ordinaria che, come tutti, ha pregi e difetti. Ma soprattutto è integro, onesto: è cresciuto con questa avventura, dalla quale si è fatto attraversare. E lo stesso è accaduto a me. Ho seguito l’attività di Cédric per tre anni e in questo tempo abbiamo imparato molto sulle persone che passavano dalla Val Roia e soprattutto abbiamo imparato come ci si comporta quando due governi, quello francese e quello italiano, gestiscono la cosiddetta “crisi migratoria” in maniera inadeguata e inefficace. Abbiamo cercato soluzioni che ci sembrassero giuste.

Nel film denunciate il fatto che la polizia francese impedisse ai migranti di raggiungere Nizza per fare richiesta di asilo. Ho pensato che si trattasse di persone già registrate in Italia e che quindi, in base al Regolamento di Dublino, fossero effettivamente obbligate a presentare la richiesta nel Paese di arrivo…

Alcuni lo erano, altri no. Ma il punto è che il governo francese non si poneva nemmeno la domanda, non indagava per capire se tra i migranti c’erano dei “dublinati” o meno. La politica francese era semplicemente questa: rimandiamo indietro tutti quelli che varcano la frontiera.

Nel documentario Dove bisogna stare il regista Daniele Gaglianone racconta la storia di quattro donne coinvolte in maniera diversa nell’accoglienza dei migranti in Italia. Un titolo bellissimo che si adatta perfettamente anche al suo documentario, alle vostre storie. Le domando: secondo lei dove bisogna stare, oggi?

Bisogna stare nella propria testa e nel proprio cuore. Essere consapevoli di quello che sta succedendo in Europa. Dico testa e cuore perché quella di aiutare i migranti, anche a costo di andare contro la legge, non è solo una scelta di umanità, ma anche di coscienza politica, nel senso etimologico della parola: ovvero di chi abita un territorio. Prima che le persone arrivassero qui, la crisi migratoria per noi era una faccenda lontana: non ce ne occupavamo, non sapevamo cosa rappresentasse. Però quando è arrivata in Val Roia ci ha attraversato e la coscienza politica, che già certamente avevamo, è stata rinforzata da quanto abbiamo vissuto. E ci  ha permesso di agire nella direzione che ci pareva più giusta.

In Italia c’è grande preoccupazione per la situazione politica e il diffondersi di posizioni xenofobe e razziste. La mia sensazione, però, è che ci sia una resistenza civile molto forte. Succede lo stesso in Francia? C’è una tendenza alla mobilitazione, anche non politica?

Posto che per me ogni mobilitazione è politica, sì assolutamente. Ho portato il documentario in giro per la Francia e ho incontrato un incredibile numero di persone che si mobilitano e agiscono, ciascuno al proprio livello. Accade in tutta Europa. Ho presentato il film in Germania, Svizzera, Belgio, Spagna e Gran Bretagna: e se tra le persone che sono venute a vederlo c’erano molti che già militano per la causa, ho verificato che c’è un generale e sempre maggiore atteggiamento di resistenza nei confronti dei governi europei, su diverse questioni: basti pensare ai gilets jaunes.

Lei ha intitolato il documentario Libre: che interpretazione ha dato, per se stesso, dell’idea di libertà?

Per me libertà è stato girare questo film. L’ho fatto esattamente come Cédric ha aperto casa sua ai migranti. Anche io ho accolto dei rifugiati e poi ho iniziato a girare, anche se non avevo un produttore. Mi sono semplicemente detto: è necessario che io racconti questa storia. Ho girato senza alcun condizionamento: la produzione è arrivata soltanto in un secondo momento. Le mie motivazioni e quelle di Cédric erano le stesse: resistenza e libertà.

Quando i pescatori nel Mediterraneo soccorrono i migranti rischiando di finire nei guai da un punto di vista legale, si parla di “legge del mare”: una regola non scritta che obbliga a salvare chi si trovi in pericolo. Dopo aver visto Libero mi sono domandata se non esista anche una “legge della montagna”. Oppure, chissà, si tratta semplicemente della “legge dell’uomo”…

Sono d’accordo: è la legge dell’uomo. Io vado spesso a Parigi e anche lì, dove non ci sono né il mare né la montagna, esiste una solidarietà forte, ci sono moltissime persone che si danno da fare. Credo sia meglio non creare dei miti: le persone solidali, aperte e generose si trovano dappertutto, al mare, in montagna, in città.

Molte critiche che, nel suo Paese, sono state mosse al film hanno fatto riferimento a una frase che evidentemente tutti i francesi conoscono: «La Francia non può accogliere tutta la miseria del mondo». Ci spiega chi l’ha detta e in quali circostanze?

È una frase che venne pronunciata da Michel Rocard, primo ministro di Francois Mitterand alla fine degli anni 80. Viene molto citata, ma sempre rimuovendone il seguito, che è questo: «Ma deve sapersi prendere la sua parte». Nella sua interezza, la trovo una frase estremamente corretta. Già all’epoca di Rocard le politiche migratorie e il ruolo della Francia in Africa ponevano dei problemi.

Presumo che i francesi siano consapevoli dell’esistenza di un nesso tra il passato coloniale e i flussi migratori attuali…

No, c’è un’amnesia collettiva molto forte, una perdita volontaria di memoria sull’esperienza coloniale francese che è stata terribile ed è durata secoli. La gente non vuole vedere, non ha voglia di sapere: parlo della maggioranza, naturalmente, non di tutti. Da un punto di vista culturale la colonizzazione è ancora molto radicata, quello spirito sopravvive: moltissime persone, anche istruite, pensano che fosse un bene. Ho amici pieds noirs algerini che pensano, per esempio, che la colonizzazione abbia fatto bene all’Algeria. Non a caso, non appena un politico osa mettere in discussione la politica colonizzatrice francese, scoppia la polemica.

Cédric è stato condannato per “delitto di solidarietà”. Poi nel luglio del 2018 il Consiglio Costituzionale francese ha riconosciuto la fraternité come principio costituzionale, sottolineando che da esso derivi “la libertà di aiutare il prossimo, con uno scopo umanitario, senza tenere in considerazione la regolarità o meno del suo soggiorno sul territorio nazionale”. In pratica ha reso privo di fondamento il “delitto di solidarietà”. Quindi Cédric è stato assolto?

Sono stati gli avvocati di Cédric a proporre l’azione davanti al Consiglio Costituzionale, che infine si è pronunciato come lei ricorda. Però la Costituzione non è la legge: per questo le sentenze su Cédric sono state annullate, ma lui dovrà essere giudicato nuovamente in appello. In pratica si riparte da zero

Resta valido il reato di passaggio di frontiera…

Sì, ma in realtà non esistono prove. Tempo prima che i media iniziassero a interessarsi di Cédric, venne in Val Roia a passare del tempo con noi un importante giornalista statunitense, Adam Nossiter. Qualche settimana dopo, la nostra storia era sul New York Times. Nell’articolo Cédric dichiarava di aver prelevato delle donne e dei bambini che si trovavano in condizioni molto precarie a Ventimiglia e di averli portati a casa sua. In pratica è stato accusato sulla base di queste sue dichiarazioni, ma senza flagranza di reato né prove.

C’è stato mai un momento, in questi tre anni, in cui non si è trovato d’accordo con le posizioni di Cédric oppure ha avuto la tentazione di mollare, magari pensando che non servisse a nulla?

No, mai. Io e Cédric abbiamo deciso di adottare un atteggiamento di sano distacco (in francese l’espressione usata è esattamente “lâcher prise”, ndr) nei confronti di quanto succedeva: così saremmo riusciti a essere più ricettivi ed efficaci nella lotta. Non avevamo alternativa, perché gli avvenimenti si susseguivano, giorno dopo giorno, in maniera del tutto imprevedibile. Eravamo in pieno accordo sul modo di fare il film e vivere questa avventura. Cédric guardava regolarmente ciò che giravo, si è costruito insieme al film. Devo dire che ci siamo anche divertiti. Non abbiamo cambiato il nostro modo di vivere, di essere: lui ha continuato a coltivare la sua terra e occuparsi dei suoi animali, io a fare il mio lavoro di regista. E siamo riusciti a mantenere una certa leggerezza anche quando – e succedeva spesso – la situazione era tesa.

Siete rimasti in contatto con alcuni dei migranti che avete soccorso e accolto in Val Roia?

Sì, con molti di loro! Soprattutto grazie al film abbiamo avuto notizie di persone a cui avevamo lasciato i nostri contatti e che sono venute a trovarci durante le più di 200 proiezioni che abbiamo fatto in Francia e in Europa. Ritrovarli in quelle occasioni è stato bellissimo.

 

Libero sarà proiettato il 13 e  il 14 marzo al Teatro Sociale di Gemona (UD).
Per altre notizie sulla distribuzione italiana del film, potete cliccare qui.