PETERLOO, di Mike Leigh, con Rory Kinnear, Maxine Peake, Neil Bell, Philip Jackson, Vincent Franklin, Karl Johnson, Tim McInnnemy. Nelle sale.
Un giovane soldato fugge dal campo di battaglia di Waterloo, ormai un deserto pieno di morti.
E completamente smarrito, gli occhi che vagano altrove, torna a Manchester nella sua povera casa di operai. Appena entrato, scoppia a piangere tra le braccia della madre.
Ecco, questo è il primo colpo al cuore di Peterloo, il film con cui Mike Leigh torna al cinema dopo 5 anni dallo splendido “Turner”. Perché ci mostra in maniera efficacissima, in pochi minuti, quello che fu davvero l’epopea delle guerre napoleoniche: migliaia e migliaia e migliaia di morti.
E di giovani che non sarebbero stati più gli stessi, come Joseph, il soldatino del film. A dirglielo è sua madre, che vende pasticci in cambio di uova al mercato. Mentre suo padre e il resto della famiglia lavora in una dei tanti stabilimenti tessili della città inglese: è il tempo della feroce industrializzazione del Nord Inghilterrra.
Un tempo in cui operai e contadini soffrono la fame a causa delle guerre appena finite, di cattivi raccolti e dei dazi sul grano, che rendono molto più caro il pane.
Il crescente malcontento della poverissima working class di Manchester apre la strada a repubblicani, pacifisti e radicali, che iniziano a chiedere condizioni di lavoro più umane, e persino a parlare di suffragio universale, di una migliore rappresentanza in un Paese in cui all’epoca votava solo il 2 per cento della popolazione.
Così la morsa si stringe intorno a tutti quelli che sembrano insopportabilmente ribelli a chi governa e a chi possiede. In città e nei villaggi circolano spie, i giudici condannano alla forca o ai lavori forzati per banali furti, a Londra si decide di usare il pugno di ferro pur di stroncare anche solo il pensiero di attentare ai privilegi del re, dei nobili, dei notabili.
Ma ci sono momenti e luoghi in cui la sofferenza, l’oppressione diventano intollerabili e si saldano con le istanze degli intellettuali e dei personaggi carismatici.
Così nel 1819 a Manchester si decise di organizzare il più grande e pacifico raduno per chiedere riforme democratiche e protestare contro i crescenti livelli di povertà. A St. Peter Field, in una bellissima giornata estiva, arrivarono 60mila persone, giovani, vecchi, famiglie, bambini, per ascoltare il comizio di un celebre oratore liberale venuto da Londra.
Nessuno aveva armi, persino i bastoni furono lasciati a casa. E come era già avvenuto tante e tante volte nei secoli prima e ad altre latitudini, la giornata si trasformò in un massacro: la gente che chiedeva solo condizioni di vita più umane fu attaccata senza pietà dalla guardia nazionale a cavallo e dagli ussari, che lasciarono a terra 15 morti e più di 700 feriti. Un evento tragico e cruciale per gli inglesi.
Mike Leigh scrive e dirige un magnifico film corale, senza protagonisti ne’ eroi, con forte respiro epico, nessuna retorica e una grande potenza visiva.
Forte di un budget che non aveva mai avuto, come anche dell’esperienza già fatta con il biopic su Turner, il regista nato proprio a Manchester ha costruito un’opera documentatissima, rigorosamente storica anche nella ricostruzione di interni e costumi, ma vivida e palpitante, centrata sul desiderio e il diritto di contestare, di comunicare, di esprimere e confrontarsi su idee e parole.
E come sempre nei suoi film, scatena emozioni forti. Da Peterloo si esce infatti con un gran senso di rabbia e di ingiustizia, con la rinfrescata consapevolezza che ogni nostro diritto civile ha alle spalle grandi lotte, incarcerazioni e morti: si sbaglia a darli per scontati.
Ma non potrebbe essere altrimenti. Perché mai, al cinema, si è visto un massacro storico tanto insensato, feroce: blocca letteralmente il respiro. Eppure non si vede quasi sangue, non c’è il minimo compiacimento.
La scena è lunghissima – dura circa 30 minuti – ed è filmata con una tale passione e un taglio così particolare che si ha la sensazione di essere tra quella gente attaccata da cavalieri con le sciabole e con i fucili, braccata, intrappolata perché non potesse disperdersi.
“Non abbiamo fatto riprese dall’alto con elicotteri o droni”, racconta Mike Leigh a Q Code Mag. “Abbiamo girato ad altezza uomo, direttamente. E la macchina da presa usata così non bara, non si presta a spettacolarizzazioni o a effetti sopra le righe: mostra quello che accade istante per istante, restituendone l’integrità.”
Non solo. “Anche la musica cessa quando tutta la gente è arrivata a St.Peter Field”, continua il grande regista. “Non accompagna, sottolinea i fatti o spinge un momento più di un altro. Si sentono solo i veri rumori, gli spari, gli zoccoli dei cavalli, le voci. E anche questo dà un sapore di autenticità, di realtà vissuta”.
In più, la storica che ha seguito tutto il film – la stessa di Turner – ha aiutato le comparse per la scena del massacro a recitare nella massima consapevolezza del contesto e dei ruoli.
Realismo, non naturalismo: è una delle cifre più forti di Mike Leigh. Per questo, e per il suo modo di guardare i personaggi (lui ci ha detto che è sempre lo stesso in ogni film) non possiamo fare a meno di amarlo. Non perdete Peterloo. Per nessuna ragione. Si, dura 154 minuti, ma non guarderete mai l’orologio: scommettiamo?