Perù : il suicidio dell’ex presidente Alan Garcia e lo scandalo Odebrecht

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19 Aprile 2019

L’ex presidente del Perù Alan Garcia, accusato di gravi delitti di corruzione relazionati con il caso Odebrecht, si è suicidato con un colpo di pistola alla tempia quando la polizia si è presentata a casa per arrestarlo

Come ha dichiarato a caldo uno dei suoi più stretti collaboratori, Garcia avrebbe compiuto un “atto di onore” per evitare di essere umiliato e vessato. In effetti questa interpretazione calzerebbe con il personaggio che, secondo documenti filtrati da WikiLeaks e riportati dal El Pais nel 2006, veniva descritto dall’ambasciatore USA a Lima come una persona “arrogante con un ego colossale e un senso estremo della teatralità”.

Alan Garcia era effettivamente conosciuto da tutti in Perù per essere un personaggio particolarmente arrogante e con un ego enorme che, anche grazie a una capacità oratoria davvero poco comune, evidenziava in qualsiasi circostanza.

Compiendo questo gesto estremo, invece di uscire sconfitto e accantonato dalla storia, rischiando di morire in solitudine nel suo labirinto di ricordi come il famoso generale di Garcia Marquez, Alan Garcia è riuscito invece a far parlare di sé il mondo intero.

Ha così probabilmente evitato di essere dimenticato come uno dei tanti ex presidenti corrotti del Perù, ricavando invece un posto assicurato nella storia del paese. Rimanendo fedele al personaggio e al suo ego smisurato, sino alla fine della sua parabola politica e umana ha probabilmente preferito cercare la morte, pur di rimanere protagonista della sua storia.

Che come riferiva anche ultimamente associava a quella del Perù.

Vale la pena ricordarla la parabola di Alan Garcia, perché é stato come pochissimi altri un personaggio davvero emblematico non solo per il Perù, ma per l’intero continente americano.

Nel 1985 viene eletto a soli 36 anni Presidente della Repubblica, il più giovane Presidente della storia del paese. Applicando una politica populista piagata di corruzione e abusi, termina il mandato nel 1990 lasciando un paese sommerso nella violenza e il narcotraffico, in preda a una iperinflazione del 7.640%, una disoccupazione galoppante con livelli salariali equivalenti al 50% rispetto a quelli che aveva trovato nel 1985, obbligando nella seconda metà degli anni ’80 centinaia di migliaia di peruviani a trasferirsi dalle campagne alle città e dalle città ad emigrare all’estero.

Già una prima volta, nel 1991, Garcia fu accusato di arricchimento illecito e corruzione.

Per evitare la detenzione si “esiliò” prima in Colombia poi in Francia, ritornando in Perù solo nel 2001 quando la Corte Suprema sospese la sentenza  a suo carico. Appena rientrato si presentò alle elezioni politiche. Considerando che la memoria storica e politica in America latina é quasi peggio di quella italiana, nonostante i trascorsi arrivò secondo.

Vinse poi le elezioni nel 2006 terminando il mandato di cinque anni nel 2011.

Proprio a questo secondo periodo fanno riferimento le accuse di finanziamento illecito alla campagna elettorale del 2006, corruzione e compensi ingiustificati per almeno 500mila dollari Usa realizzati dalla impresa brasiliana Odebrecht, che hanno motivato la recente richiesta
di carcerazione preventiva, in reazione alla quale l’ex presidente si è suicidato.

Odebrecht: la piovra della corruzione in America latina

Per poter capire il contesto nel quale si è compiuto il gesto dell’ex presidente Garcia è necessario ricostruire lo scandalo di corruzione legato all’impresa Odebrecht, che ha colpito non solo il Perù ma la quasi totalità dei paesi dell’America latina negli ultimi cinque anni.

Odebrecht è un’impresa brasiliana considerata la più grande azienda di costruzioni dell’America latina.

Nel 2014, grazie a un’indagine sul riciclaggio di denaro denominata “operazione Lava Jato”, in italiano letteralmente “autolavaggio”, perché tra i meccanismi utilizzati per riciclare si utilizzavano paradossalmente proprio autolavaggi e stazioni di servizio, inizia uno scandalo relativo a una rete di corruzione legata all’aggiudicazione di grandi opere pubbliche per complessivi 3 miliardi di dollari che ha provocato un terremoto politico, prima in Brasile poi in molti altri paesi della regione. Tra i quali il Perù.

Le indagini iniziali in Brasile conducono all’arresto di tutto il gruppo dirigente di Odebrecht,
alla condanna dell’amministratore delegato a 19 anni di carcere e una multa all’impresa di oltre 3.500 milioni dollari, la più alta della storia pagata da una azienda di costruzioni.

Trattandosi di atti di corruzione per la realizzazione di opere pubbliche, in Brasile legate soprattutto all’impresa a partecipazione statale Petrobras, lo scandalo conduce alla detenzione – secondo molte versioni in gran parte pretestuoso – dell’ex presidente Lula, all’impeachment della presidente Dilma Roussef e al recente arresto del penultimo presidente, Temer.

In cambio di una riduzione delle pene i dirigenti di Odebrecht arrestati iniziano presto a parlare anche delle operazioni realizzate fuori dai confini brasiliani, evidenziando una vera e propria piovra della corruzione in dodici paesi.

Nove dei quali latino americani: Venezuela, Repubblica Domenicana, Panama, Argentina, Ecuador, Guatemala, Colombia, Messico e, ovviamente, Perù.

Proprio in Perù le indagini confermano che tutti i presidenti dal 2001 al 2015 sono stati coinvolti in operazioni di corruzione promosse da Odebrecht per ottenere contratti di favore per la realizzazione di grandi opere pubbliche.

L´impresa, che sin dal 1980 aveva aperto una denominata “cassa b” e poi addirittura un Dipartimento denominato delle “Operazioni strutturate” per realizzare i pagamenti non si faceva problemi ideologici o di posizione politica: finanziava indistintamente le campagne elettorali di tutti i principali candidati con maggiori possibilità di vittoria. Colui che poi vinceva otteneva ovviamente premi supplementari.

È stato così per Alessandro Toledo, presidente della repubblica del Perù tra il 2001 e 2006, attualmente contumace negli Stati Uniti, sul quale pende una richiesta di un anno e mezzo di detenzione preventiva per l’accusa di aver ricevuto ben 20 milioni di dollari per favorire Oderbrecht nella costruzione della “autostrada interoceanica”, la via di comunicazione che collega il Brasile, cioè la costa atlantica dell’America latina, con il Perù, il lato del Pacifico.

Una strada quasi inutilizzata, che ha avuto costi esorbitanti ed è servita, purtroppo, soprattutto ad incrementare il passaggio legato allo sfruttamento illegale dell’oro alluvionale della regione di Madre de Dios, una delle zone a maggiore biodiversità del paese, la cui distruzione procede in maniera sistematica grazie a questa via di comunicazione.

Alan Garcia, presidente tra il 2006 e 2011, era sino ad ora riuscito a sfuggire all’arresto, nonostante una inchiesta del 2017 sulla percezione della corruzione in Perù considerasse proprio il suo ultimo governo come il più corrotto degli ultimi anni.

Prima, di lui era toccato a Ollanta Humala, presidente dal 2011 al 2016, che tra il 2017 e 2018 ha fatto 9 mesi di carcerazione preventiva in attesa di giudizio accusato di aver ricevuto da Odebrecht 3 milioni di dollari durante la campagna elettorale del 2011.

Stessa sorte toccata all’ultimo presidente eletto nel 2016, Pedro Pablo Kuczynski, condannato la scorsa settimana anche lui a carcerazione preventiva per aver ottenuto da Odebrecht 780mila dollari per consulenze che hanno favorito l’impresa, quando fu Presidente del consiglio e poi Ministro dell’Economia durante il Governo di Alejandro Toledo.

Ai citati Presidenti della Repubblica effettivamente eletti, si deve aggiungere la detenzione per 36 mesi di carcerazione preventiva di Keiko Fujimori, ex candidata e leader del principale partito del Perù (Fuerza Popular) accusata di riciclaggio e corruzione per aver ricevuto da Odebrecht oltre un milione di dollari nella campagna elettorale 2011.

Keiko é la figlia dell´ex Presidente Alberto Fujimori (1990-2000) a sua volta in carcere condannato per delitti di corruzione, anche se non legati a Odebrecht con una ulteriore condanna a 25 anni per gravi crimini di lesa umanità.

L’America Latina si caratterizza purtroppo per tristi primati. Uno di questi riguarda appunto il livello della corruzione. Tra i 15 paesi al mondo considerati tra i più corrotti dalla ong
Trasparency International ben dieci sono latino americani : Venezuela, Nicaragua, Paraguay, Mexico, Ecuador, Bolivia, Perù, Colombia, Brasile e Argentina.

In questi paesi il danno economico provocato dalla corruzione incide dal 5% al 10% del prodotto interno lordo. Si tratta di risorse drenate all’istruzione, all’assistenza sanitaria, modernizzazione e competitività che infatti in questi paesi sono estremamente precarie.

La conferma di questa situazione è data purtroppo da un altro indicatore negativo in America Latina, quello legato alle disuguaglianze: secondo dati della Banca Mondiale, tra i primi dieci paesi con maggiori diseguaglianze ben otto sono infatti latino americani.

La corruzione degrada e distrugge l’empatia e la solidarietà che costituiscono le basi della convivenza sociale. L’ultima indagine del Barometro Sociale per l´America Latina evidenzia che appena il 53% della popolazione peruviana crede che la democrazia sia il migliore sistema di governo. Oltre il 50% appoggerebbe un golpe militare; il 78% considera che tutti i funzionari pubblici siano corrotti e il 30% afferma di essere stato vittima di atti di corruzione durante l’ultimo anno. Sono dati agghiaccianti che però riflettono una realtà.

Una realtà che non può essere modificata solo con la detenzione di Presidenti della Repubblica ed altri arresti eccellenti. In realtà risulterebbe necessaria una profonda rigenerazione di valori, comportamenti sociali e culturali.

Rigenerazione che, non solo in America Latina, non si vede all’orizzonte. Al contrario si assiste a una apatia e rassegnazione generalizzata della popolazione, sommata a un disinteresse sociale e politico diffuso. Che non lascia presagire nulla di buono.