Argentina in sciopero

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6 Maggio 2019

A ridosso del 1 maggio, scendono in piazza crisi economica e rabbia popolare, ma Macrì può sperare nelle divisioni delle opposizioni

Il suono dei tamburi e dei piatti rimbomba già dal primo mattino nelle strade di Buenos Aires, in questo freddo ma soleggiato 30 aprile, mentre le numerose bandiere sindacali si raggruppano verso il centro della città.

Alla vigilia della giornata dei lavoratori e delle lavoratrici, in Argentina è
sciopero nazionale, il primo di questo 2019, ma già il quinto realizzato durante il governo Cambiemos presieduto da Mauricio Macri, contro la povertà in aumento, l’inflazione crescente, i licenziamenti continui, il debito con il Fondo Monetario Internazionale.

“Portatevi via Macri, lasciateci i dollari!”, è lo slogan che campeggia sotto l’Obelisco. Una signora urla: “Che se ne vada, ci sta uccidendo di fame!”. “I pensionati non arrivano a fine mese, i bambini hanno fame!” si grida in piazza.

Il clima che si respira è quello dell’attesa piena di tensione che precede la tempesta: circola lo spettro del default economico, lo scenario della crisi del 2001 è inciso nella memoria e nell’esperienza di tutti.

Si aggiungono le nubi pesanti della partita elettorale che si giocherà in
ottobre, con uno scenario ancora molto incerto sui candidati e le proposte politiche per un paese sull’orlo del tracollo economico.

Davanti al forte protagonismo dei settori popolari, l’unica risposta di questo governo è la repressione. All’alba dello sciopero, la ministra della sicurezza Patricia Bullrich affermava: “Non tollereremo nessun blocco stradale”. Alla fine della giornata si contano 19 arresti.

foto di Valentina Bacco

Del resto, questo è l’approccio del governo Cambiemos, che ben accomodato in un binario neoliberista associa alle politiche di taglio e smantellamento dello stato sociale il disciplinamento costante per impedire il conflitto: questo si traduce nei tentativi di smantellamento delle commissioni sindacali interne più combattive, attraverso la presentazione, da parte delle imprese, di falsi preventivi di crisi che abilitano i licenziamenti (come accaduto in Coca-Cola in febbraio), quando non si arriva ad arrestare direttamente i sindacalisti, come nel caso del Laboratorio Craveri in protesta contro i licenziamenti, o dei quattro autisti dei bus della Linea Este, nella città de La Plata, in carcere dal 3 aprile e ancora in attesa di un processo.

Il discorso politico-mediatico dominante suggerisce che il destino dell’Argentina dipenda dalla fiducia dei mercati internazionali; la sovranità nazionale è tenuta in scacco dal meccanismo finanziario, trattato come una questione tecnica che affrontano gli esperti, mentre viene sottratto all’ambito politico, l’unico che dovrebbe mettere in discussione le scelte del governo e imporre decisioni collettive in grado di cambiare la direzione della politica economica, come rivendicano le centinaia di migliaia di persone oggi in piazza, che chiedono che il cambiamento avvenga ora, e non tra sei mesi, quando potrebbero essere le elezioni a decidere le sorti dei lavoratori e delle lavoratrici.

Aderenti e grandi assenti: tra i promotori dello sciopero di oggi, la Corriente Federal de los Trabajadores (CFT), la Central de Trabajadores de Argentina (CTA), il Frente Sindical para el Modelo Nacional (FSMN), la Confederacion Argentina de Trabajadores del Transporte (CATT), i camionisti, la federazione docenti, la Asociacion Bancaria, i lavoratori degli ospedali pubblici. Manca la CGT (Confederación
General del Trabajo
), una delle sigle sindacali più grandi del paese, che dall’inizio di questo governo sta facendo la parte del pompiere, negoziando con la classe dirigente e smobilitando lo scontento di quella lavoratrice.

Un ruolo palesato dalla convocazione di uno sciopero per il 1 maggio: una presa in giro secondo i lavoratori, che negli ultimi tre anni hanno visto il proprio potere
d’acquisto ridursi vertiginosamente davanti alla costante crescita dell’inflazione (49,3% nell’ultimo anno), e al conseguente aumento dei prezzi e del costo dei servizi (in particolare luce, gas, trasporti), che ridicolizzano i minimi adeguamenti salariali, mentre le strutture sanitarie e scolastiche sono sotto attacco, con tagli e licenziamenti.

“Per un salario dignitoso”, si legge sui cartelloni portati dai manifestanti tra Avenida De Mayo e 9 De Junio, diretti a Plaza de Mayo. “Le politiche economiche del governo Cambiemos, insieme all’intervento del FMI, saccheggiano il paese e causano uno squilibrio sempre maggiore tra chi detiene la ricchezza e chi no. L’inflazione e la speculazione finanziaria danneggiano i lavoratori e le
lavoratrici: non ci lasciano vivere. Nelle mense pubbliche sono sempre di più le persone che vengono a chiedere di poter mangiare: la fame dilaga nei quartieri”, commenta un rappresentante della federazione delle organizzazioni di Base, mentre i movimenti sociali marciano sotto gli uffici del fondo finanziario JP Morgan, segnalando le responsabilità che il sistema bancario internazionale ha nella dinamica speculativa che soffoca la popolazione.

foto di Valentina Bacco

I dati della crisi

Il valore del salario minimo è sceso del 15,4% dal 2015, e nel 2018 è stato il più basso dal 2004.

Il braccio di ferro sugli stipendi delle diverse categorie professionali, a partire dai docenti, ha aperto quest’anno la stagione di lotte sindacali, mentre crescono i numeri del lavoro precario – anche in Argentina spopola il modello del lavoro a cottimo e senza garanzie dei rider – e si estende l’area del lavoro irregolare e informale, che riguarda il 31,8% degli uomini e 37,1% delle donne,
secondo i dati CEPA relativi all’anno in corso.

Nell’ultimo anno hanno perso il lavoro 400mila persone, che si sommano ai licenziamenti di massa dei due anni precedenti; l’ultimo caso che ha fatto scalpore è quello dei 65 lavoratori lasciati a casa da Clarín, il quotidiano con la maggiore tiratura nazionale, che dopo una settimana di mobilitazione e tre scioperi consecutivi ha ottenuto il reintegro di quattro giornalisti e un fondo per gli altri che continuano la protesta.

Sul fronte industriale la situazione è ancora più drammatica: l’attività
economica si è ridotta del 7% nell’ultimo anno; nelle ultime
settimane è stato annunciato il licenziamento dei 600 operai della fabbrica Metalpar, che chiude i battenti, e altri 400 lavoratori, dell’impresa di trasporti Ersa, verranno lasciati a casa.

La disoccupazione ha ormai raggiunto i 2 milioni di persone – con una percentuale dell’8,9% tra gli uomini, che arriva al 10,8% se si guarda alla popolazione femminile.

Lo fa notare il movimento femminista Ni Una Menos – portando come conseguenza un forte aumento della povertà: gli ultimi dati forniti dall’INDEC (Istituto Nazionale Statistiche e Censo) relativi al 2018 indicano che il 32%
della popolazione si trova sotto la soglia della povertà; il 41,2% considerando solo bambini e adolescenti (UCA, 2019).

Il 6,7% della popolazione è in uno stato di indigenza, non riesce cioè a
provvedere all’alimentazione basica. Nella sola Buenos Aires, 4294 persone non hanno una casa e sono costrette a vivere in strada, secondo i dati diffusi
dall’Osservatorio della Città relativi al 2017. Di queste, 594 sono minorenni.

Insieme al peggioramento delle condizioni di lavoro cresce il numero di incidenti, come denuncia lo spazio intersindacale Basta de Asesinatos Laborales: secondo i dati registrati durante il 2018, in Argentina muore un lavoratore o una lavoratrice ogni 20 ore.

foto di Valentina Bacco

In questo quadro, va ricordato che fin dalla campagna elettorale il discorso pubblico di Macri si è appoggiato sulla promessa di portare il paese al livello “povertà zero”.

La sproporzione tra la retorica del presidente e dei suoi ministri e la
realtà dei fatti è paradossale, e mostra un governo deciso ad affondare l’economia argentina, e con essa la popolazione, fin dove gli sarà possibile pur di favorire le grandi imprese transnazionali e gli interessi finanziari dell’élite economico-politica di cui fa parte.

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