Chi parte, chi torna, chi resta: Vado Verso Dove Vengo

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29 Maggio 2019

Un documentario sullo spopolamento delle aree interne dell’Italia dei borghi

“Chi sono io? Americano? Quello che è nato nel piccolo paese della Lucania, della Basilicata, della Campania? O quello che ha fatto successo nelle varie parti del mondo? Forse sono tutte e due le cose. O forse sono una cosa completamente nuova”.

Se lo chiede l’antropologo Vito Teti e la sensazione è proprio quella, che si sia davanti a qualcosa di effettivamente nuovo, se pure si verifichi da qualche anno, ancora non pienamente colto.Non che sia nuovo il fenomeno dell’emigrazione dal Sud, è nuova la tipologia di gente che parte e le conseguenze che questo determina.

Non più poveri, sporchi e analfabeti come negli anni’60, ma neodiplomati pronti per l’università o neolaureati che vanno nel mondo a prendersi ciò che spetta loro.

“Ragazze e ragazzi con trolley, biglietto Ryanair e Skype per parlare con i genitori lontani, residuo cordone ombelicale nella speranza di un ritorno
che forse non ci sarà mai”, così li ha descritti il giornalista Lino Patruno.
Ed è nuovo il fatto che chi al Sud ci rimane non fa più figli, ecco che adesso il Sud si svuota davvero.

I numeri sono tanto noti quanto impressionanti: dal 2008 al 2015, il saldo migratorio netto è stato di 653mila unità. Di questi, 478mila giovani, di cui 133mila laureati, in maggioranza donne.

E però, c’è un però, recentemente è iniziato anche un timido flusso di ritorno. Persone che dopo aver studiato e lavorato anni lontani dal paese di origine, decide di percorre al contrario la strada che li ha portati via: i pionieri del
ritorno.

Pionieri è la parola giusta perché anche il posto in cui si è nati, dopo averlo vissuto solo a Pasqua e Natale per anni, va esplorato di nuovo, e la nuova vita non può che assumere i connotati della conquista.

Questo andirivieni di vite, queste “storie di partenze e ritorni dall’Italia dei margini”, prova a raccontare Vado Verso Dove Vengo, docufilm da poco uscito, scritto da Luigi Vitelli per la regia di Nicola Ragone.

Proprio a Vitelli chiediamo di spiegarci meglio il senso del progetto. A partire dal titolo. “È un omaggio all’artista Nato Frascà, l’inventore della psiconologia, un’indagine attraverso cui metteva in relazione l’uomo e l’arte per rendere consapevole il pubblico sulle molteplici sfaccettature della realtà che cambia, a
seconda dei punti di vista e della posizione geografica in cui ci troviamo nel mondo. Mi sembrava un titolo emblematico per un racconto fatto di storie di vita che si situano all’interno della liquidità mobile del contemporaneo”.

“Il nostro documentario”, continua Vitelli, “parte dalla denuncia di un problema, dall’osservazione di una fotografia impietosa della realtà che vede circa il 60% del territorio nazionale, composto da piccoli paesi situati nelle montagne e negli Appennini, vivere un forte processo di spopolamento, che rischia di diventare
irreversbile e trasformare alcuni di questi luoghi, in città fantasma nel prossimo futuro. Dunque, partendo dall’esigenza di raccontare e denunciare questo fenomeno, ci siamo posti anche un’altra domanda: esiste una contro tendenza?”.

Vado Verso Dove Vengo prova a mostrare la risposta.
Ecco allora una narrazione di circa un’ora in cui a raccontare sono in tanti. Oltre al già citato Vito Teti, anche il poeta/paesologo Franco Arminio, il coordinatore della Strategia Nazionale delle aree interne Filippo Tantillo, la sociologa rurale Rita Salvatore, il poeta/performer John Giorno, la giornalista e autrice Helene Stapinski, la scrittrice e organizzatrice del Festival della letteratura italiana di Londra Claudia Durastanti, il coreografo di danza contemporanea Francesco Scavetta, l’operatrice turistica de Il Volo
dell’Angelo
 Antonella Amico, l’architetto e responsabile del progetto Wonder Grottole Andrea Paoletti e il maestro del Bibliomotocarro Antonio Lacava.

E a raccontare, oltre alle parole, ci sono le immagini, spietate cartoline dell’abbandono. “Quei pavimenti polverosi, le vetrate infinite dei grattacieli e le pietre ammassate su fiumi vuoti e asciutti a volte esprimevano più di ogni verbo o linguaggio”, spiega Ragone.

Così i punti di vista degli ospiti interpellati, si alternano ai punti di vista della telecamera, dando vita a un dialogo accurato, dove tutte le argomentazioni
risultano forti, come nei dialoghi tra filosofi antichi.

È forte anche l’argomentazione, quella sì triste, per cui l’inurbamento, e il conseguente svuotamento dei paesi, sarebbe un fenomeno ineluttabile, quasi osmotico.

È tanto forte che per rispondere serve l’ottimismo tragico del poeta, Franco Arminio, sul finire del film. “Io credo che a dispetto di quello che si scrive e si dice da un pò di anni, cioè che i paesi sono destinati a morire, che non andrà così. Anzi, in un tempo medio/lungo i paesi torneranno ad ospitare nuovi residenti. Io credo che la forma ideale per abitare il mondo sia proprio la forma paese, quindi si tratta solo di resistere in questo momento in cui ancora il paese non è riuscito a trovare una sua dimensione nell’economia globale. Io direi che bisogna essere ottimisti”.

Fin qui l’ottimismo. E poi il tragico: “anche se io stessi dicendo una bugia, è una bugia in cui è utile credere”.