Anote’s Ark è un documentario bellissimo. Una produzione canadese, affidata all’abile regia di Matthieu Rytz, realizzato nel 2018, pone chi lo guarda di fronte a una sorta di dramma distopico. Solo che è reale.
Il mondo sta per essere sommerso. Voi, la vostra famiglia, il vostro posto di lavoro e i posti dove vi divertite, vi rifornite, lavorate. Le scuole, gli ospedali, le caserme. Un leader politico e una cittadina come tante sono i due protagonisti di questa storia. Solo che questa storia è vera.
E’ la storia di Kiribati, un’isola nazione nel Pacifico. Il documentario riesce, da subito, a togliere qualsiasi velo di orientalismo o di esotismo. Non c’è nulla di romantico in una terra splendida che sta per essere inghiottita dal mare.
Kiribati, deve trovare una nuova soluzione per la sopravvivenza della sua gente. Anote’s Ark si racconta su un binario: Anote Tong, presidente dell’isola, che fa di tutto per trovare soluzioni, sostenendo i negoziati internazionali sul clima e persino indagando sulla possibilità di costruire città sottomarine; e Sermary, una giovane donna e una giovane madre, che affronta invece ogni battaglia con umorismo: deve decidere se lasciare l’unica cultura che conosce e migrare verso una nuova vita in Nuova Zelanda.
Kiribati è uno dei paesi meno popolati e più vasti del mondo: 33 isole sparse in un’area larga 4mila chilometri da est a ovest e 2mila da nord a sud, abitata da poco più di 100mila persone. È anche un paese che rischia di scomparire per sempre nell’arco di pochi decenni, perché l’innalzamento dei mari causato dal riscaldamento globale sta sommergendo a poco a poco il territorio delle isole e cancellando le scorte già insufficienti di acqua potabile.
Un documentario che riesce, come dovrebbe accadere sempre, a far sbattere tutti i dibattiti senza competenze sull’evidenza di un fatto: Kiribati e la sua gente affonda. E potrebbe essere la nostra storia, vissuta in anticipo.
Anote Tong, da anni, si batte come un leone contro i grandi della Terra, per salvare la sua comunità e il suo territorio.Che pure ha le sue responsabilità, nella gestione per esempio della falda acquifera sulla quale insiste tutta la capitale, Tarawa, che non ne ha cura. Questo però è una dinamica della società locale, che deve cambiare, in fretta e ovunque. Resta il fatto che, millimetro dopo millimetro, il riscaldamento globale eleva le acque del Pacifico e le isole rischiano di scomparire.
Il documentario, presentato al Sundance Festival, ha suscitato polemiche tra il regista e il governo, ma non è questo che importa. Quel che importa è quel che sta accadendo all’unico pianeta che abbiamo. La cortina di fumo dell’allarmismo è il viatico per un processo che – se non si interviene con prontezza – è destinato a riguardare comunità sempre più grandi. E nessun posto sarà troppo lontano.
Il documentario sarà proiettato SABATO 12 ottobre 2019 al Cinema Lumière, Via Azzo Gardino 65/b, Bologna, nell’ambito del Terra di Tutti Film Festival del quale Q Code Mag è media partner