Fortezza Europa. Un progetto politico e sociale nato oltre vent’anni giunto al culmine negli ultimi due. Nel 1996/97 l’Italia era da tempo l’approdo di barche della speranza provenienti dai Balcani. Il crollo del “socialismo reale”, la guerra che sventrò e distrusse la Jugoslavia, crisi economiche feroci provocarono un vero esodo verso l’Italia.
Nel frattempo, già c’erano migrazioni dall’Africa e dall’Asia. Due tragedie furono il simbolo di quegli anni: il naufragio di Natale 1996 e la strage del Venerdì Santo dell’anno successivo. La prima, come già abbiamo raccontato su Q Code Magazine oltre due anni fa, fu negata e taciuta per anni. Parlarne avrebbe messo in discussione la nascita della Fortezza Europa. Quella fortezza che divenne il blocco navale nel quale, come raccontato nello stesso articolo, s’inserisce il “blocco navale” verso l’Albania e la strage della Kader I Radesh del venerdì santo successivo. Poche associazioni antirazziste, il compianto Dino Frisullo e pochi altri levarono voci indignate, documentarono e misero in discussione quel che sta succedendo. Moltissimi sottovalutarono, fino alla negazione, la svolta epocale che stava avvenendo: i flussi migratori divennero solo ed esclusivamente un problema di sicurezza, la solidarietà (concetto che fu esteso a tutti sempre più, a prescindere da nazionalità e sofferenze) una sorta di lusso per pochi. E in Italia e in tutta Europa la diffidenza, la rabbia verso gli ultimi, il rinchiudersi divennero egemoni.
Un processo che ha avuto il suo definitivo salto di qualità nel 2017. Un anno che non è mai stato analizzato fino in fondo, mesi che hanno definitivamente stravolto la società italiana. Un balzo nel vuoto che, probabilmente, sono le prossime generazioni potranno capire. In pochi mesi nel Paese si è diffusa, mentre i decreti Minniti-Orlando e altri provvedimenti governativi chiudevano definitivamente il cerchio legislativo della Turco-Napolitano, la Bossi-Fini e i decreti Maroni del 2009 e del 2011 (quelli che, in nome dell’emergenza NordAfrica dopo lo scoppio della guerra in Libia, crearono i CAS contro cui poi è cresciuta esponenzialmente una certa narrazione anti migranti), la criminalizzazione di ogni opera solidale, di ogni coscienza critica nei confronti del vero pensiero dominante in termini di sicurezza, umanità, integrazione, sguardo verso il mondo.
Dopo aver taciuto, sostenuto e foraggiato (con leggi e finanziamenti di ogni tipo) il vero business sulla pelle dei migranti (quanti di coloro che in questi anni hanno mietuto consensi su questo tema con campagne contro i migranti erano di casa, applaudivano e poi difesero il Regina Pacis di Lecce? Se non tutti, poco ci manca), si è scatenata una campagna contro ogni organizzazione impegnata nel mondo della solidarietà internazionale, ogni umanità e tentativo di andare oltre l’egoismo sociale e nazionale. Indistintamente, fino ad arrivare a trasformare in carnefici le vittime di tratte, business, mafie e ingiustizie sociali che – nella loro propaganda razzista e intollerante – affermavano di voler combattere.
Un processo (a)sociale che ha lasciato nell’ombra grazie al quale è definitivamente esploso il peggior nazifascismo di ieri e di oggi. Basti pensare a quante volte, sui social o sulla stampa, si è fatto riferimento a “Mafia Capitale”. Però neanche l’assassinio di Piscitelli, Carminati che si è vantato in tribunale di essere un “vecchio fascista” e i video di Gaudenzi hanno portato ad illuminare la zona grigia dove sono alleati neofascisti (nuovi o degli Anni Settanta, i primi a denunciare l’attività nello spaccio di Carminati furono Fausto e Iaio), mafiosi di varia estrazione e altri. Senza dimenticarsi le simpatie e le amicizie neofasciste degli Spada ad Ostia.
Recenti minacce ed aggressioni nel comasco
In questo quadro s’inseriscono anche i fatti di fine settembre nel comasco. A Tremezzina G.(nome e cognome estesi non sono stati resi noti), migrante che lavora in un hotel della zona e ospite di una struttura della cooperativa Simploké, lunedì 23 settembre è stato aggredito mentre stava tornando a casa dopo il lavoro. “E’ stato colpito alla testa – ha denunciato sul sito della cooperativa il presidente Stefano Sosio – probabilmente con un bastone o un oggetto simile, dagli occupanti di una macchina che, sopraggiungendo, ha rallentato per poi proseguire la sua corsa”. E, sottolinea Sosio, “non è la prima volta che uno o una dei nostri ospiti subisce minacce, insulti e altri episodi aggressivi, specialmente dopo che una certa politica ha nei fatti sdoganato come legittimi certi comportamenti”. Nei giorni successivi minacce di aggressione e morte sono stati spediti a Fabrizio Baggi, attivista di Como senza Frontiere e dell’Osservatorio Democratico sulle nuove destre e militante della segreteria regionale di Rifondazione Comunista. Condito dalla solita propaganda razzista (“perché non ti trovi un lavoro serio dove alla sera rientri con le ossa rotte dalla fatica”, ovviamente senza punto interrogativo finale perché come sempre i difensori della cultura italiana hanno qualche problema con l’italiano, e “noi il 99% x centro degli italiani non vogliamo mantenere tutti i clandestini”, percentuale frutto probabilmente di un sondaggio nelle fogne dopo aver visto al rovescio le loro solite marce bufale … risparmiamo il resto del nauseante delirio) e da insulti a Baggi, definito tra le altre “lurido schifoso vomitevole maiale”, “sai di cosa hai bisogno te di un manicomio brutto comunista dal cervello bacato”, “squilibrato che non sa neanche di stare al mondo” e “personaggio politico dei miei coglioni” che raglia “cazzate di ogni tipo”, ed esplicite minacce, “vedi di non farti mai trovare davanti a noi se non quella faccia da demente che ti ritrovi ti verrà cambiata a legnate”, “attento omuncolo che se ti becchiamo in giro ti linciamo” e altro ancora, con riferimenti offensivi oltre che a lui al suo partito, agli africani tout court e a Carla Rackete. Missiva anonima … Nel comunicato di condanna di quanto accaduto l’Arci ha sottolineato che non basta ovviamente un cambio di governo “per risolvere i problemi che in Italia sono posti dall’eversione nera, violenta e fascista” e (come evidenziato anche in quest’articolo) “la legittimazione dello squadrismo è stata criminalmente favorita nella società e gli esiti sono pericolosissimi”.
Squadrismo da Nord a Sud
Un vero e proprio squadrismo che in questi anni è stato protagonista di violenti raid in varie parti d’Italia. Il 9 ottobre 2018 la procura di Piacenza ha reso noto di aver aperto un’indagine contro 3 uomini per reati contestati con l’aggravante dell’odio razziale e che fanno riferimento ad una spedizione punitiva a Bettola, avvenuta un mese fa, culminata con il tentato incendio del balcone di una struttura che ospita migranti. Alcuni richiedenti asilo originari della Costa D’Avorio già nei giorni precedenti avevano subito aggressioni. A Messina l’anno scorso è finito nel mirino l’ex Hotel Liberty di via I Settembre che dal 2016 è stato riconvertito in centro di accoglienza per migranti. I fatti sono avvenuti a fine agosto, all’indomani della partenza da Messina dei migranti sbarcati dalla nave Diciotti. All’ingresso della struttura in piena notte è stata gettata della vernice color rosso sangue. Le frasi della rivendicazione del gesto, trovata sul luogo stesso, mettono i brividi e fanno tremare i polsi. Gli autori del raid razzista conclusero il testo con minacce di morte contro migranti e operatori del centro. Ai migranti che dovessero incontrare per strada «o gli mozzeremo la testa o gli spareremo a vista» e «se non rispettate il coprifuoco – riferito agli operatori del centro – ne pagherete le conseguenze anche voi». Il testo, prima di queste minacce, contiene ripetute offese ai migranti tra cui «parassiti, bugiardi, nullafacenti da mantenere, uomini senza palle» che «portano solo malattie in Europa ormai debellate da 50 anni, e delinquenza». Migranti (nel testo definiti «negri trogloditi ») di cui, si legge sempre nella rivendicazione, «né noi né il resto d’Europa» avrebbero «bisogno» perché – affermano gli autori del raid razzista – «nessuno di noi vuole che sua figlia sposi un musulmano e nessuno di noi vuole islamizzarsi né meticciarsi con la feccia del mondo».
In Molise i neofascisti invocano la “resistenza etnica”
Negli stessi mesi Forza Nuova Molise definì «resistenza etnica» un raid contro un centro di accoglienza. La notte tra il 3 e il 4 giugno fu incendiato uno stabile a Pescolanciano, in provincia di Isernia, dove era previsto un Centro di accoglienza temporanea per 15 richiedenti asilo. Nell’occasione, Forza Nuova Molise ha affermato di aver espresso solidarietà a chi si è opposto all’apertura del centro ma definita illazione ogni accusa di coinvolgimento. Meno di un mese dopo, il Molise è stato teatro di un secondo grave episodio. La notte tra il 12 e il 13 luglio a Belmonte del Sannio un raid ha tentato di distruggere un’abitazione pronta ad ospitare 8 richiedenti asilo lanciando della benzina, probabilmente una molotov rudimentale, contro il portone. Poche ore dopo, la sezione molisana del partito neofascista ha rivendicato l’opposizione «all’invasione della regione da parte dei balordi extracomunitari» ed espresso «massima solidarietà e vicinanza alla popolazione di Belmonte resasi protagonista di un’azione di legittima resistenza etnica». Il 28 luglio 2017, in piena notte, un ordigno ha colpito un centro di prima accoglienza dove stavamo dormendo 64 migranti a Dorgali in provincia di Nuoro. L’ordigno, costruito con esplosivo da cava, secondo gli inquirenti aveva causato un’onda d’urto così forte che avrebbe potuto uccidere. Se in Molise si è invocata la “resistenza etnica”, su pagine facebook che fanno riferimento a movimenti di estrema destra a Dorgali c’è chi ha plaudito all’attentato, chi ha invocato una «guerra civile» vicina, chi ha scritto che «è solo l’inizio» e persino chi è arrivato a scrivere che è stato un «peccato» che non sia morto nessuno. Nessuna rivendicazione esplicite dell’attentato, ma sono commenti dal netto sapore neonazista. Una rivendicazione esplicita, con una tavoletta marchiata da una svastica e una croce celtica, c’è stata invece per la bomba carta lanciata contro un CARA ad Appiano (provincia di Bolzano) nella notte tra il 19 e il 20 maggio 2018.
Yakob vittima della violenza razzista
Questi sono solo alcuni episodi di una lista lunghissima che potrebbe proseguire per pagine e pagine. Nel febbraio dell’anno scorso in Lussemburgo è morto Yakob, un ragazzo eritreo che era stato ospite a Roma del centro di via del frantoio gestito dalla Croce Rossa. Negli ultimi mesi era caduto in una fortissima depressione, e aveva deciso di lasciare il nostro Paese, dopo essere stato accoltellato la notte del 29 agosto 2017. Non è chiaro se la morte sia stata causata da un abuso intenzionale di psicofarmaci o dalle complicanze delle ferite causate dall’accoltellamento. Quella notte Yakob è stato aggredito da alcuni abitanti del quartiere Tiburtino III dopo che si era diffusa la notizia del rapimento di una donna, di sassi lanciati contro alcuni bambini e di un ragazzo dodicenne trascinato nel centro e vittima di abusi da parte di migranti. Notizie rivelatesi totalmente inventate, addirittura le ferite mostrate dalla zia di uno dei bambini erano precedenti di diversi giorni. Le notizie false quella notte scatenarono un vero e proprio assalto contro il centro della Croce Rossa, durante il quale una volontaria del Baobab è stata picchiata e altri migranti costretti a rimanere barricati nella chiesa di Santa Maria del Soccorso dopo la Messa organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio. Tra i protagonisti dell’assalto al centro i neofascisti Maurizio Boccacci – autore su Facebook di messaggi di solidarietà a Roberto Spada (l’autore della testata all’inviato di Nemo Daniele Piervincenzi) e di vicinanza a Massimo Carminati durante il processo in primo grado per “Mafia Capitale”, condannato nel 2012 in primo grado per «ricostituzione del disciolto partito fascista» e nel 2015 per violazione della Legge Mancino con iniziative contro la comunità ebraica per aver definito la Shoah «la più grande menzogna della storia» – e Giuliano Castellino di Forza Nuova – arrestato nel luglio scorso e posto agli arresti domiciliari con l’accusa di truffa al Servizio Sanitario Nazionale con la vendita di prodotti per celiaci – denunciati per manifestazione non autorizzata.
L’estate abruzzese del 2019
Due episodi simili a quello di Tremezzina hanno visto quest’estate vittima in Abruzzo due lavoratori migranti. Martedì 3 agosto Sadio Camara, un ragazzo giunto in Abruzzo nel gennaio 2018 dal Senegal, è stato accoltellato alla gola sulla strada tra Pettorano sul Gizio e Sulmona. Si stava recando al lavoro per il servizio civile quando è stato avvicinato da due persone. Dopo vari insulti gli hanno urlato “Ti insegniamo noi a campare” e l’hanno accoltellato alla gola. Dopo averlo ferito lo hanno caricato in auto e scaraventato in un fosso. Solo per un caso la coltellata non ha ucciso Sadio (mentre probabilmente i suoi aggressori erano convinti di averlo ucciso e non solo ferito gravemente). Sadio, dopo essere rimasto nel fosso un’intera notte e la mattina successiva, è riuscito a tornare nella struttura che lo ospita. Trasportato dall’ospedale di Avezzano a quello di Pescara, ha subito un’operazione urgente. Tantissime organizzazioni tra associazioni, movimenti, partiti e sindacati hanno partecipato il giorno successivo ad un’assemblea pubblica per esprimere solidarietà a Sado. E per dare un segnale forte a razzisti e nazifascisti, anche ad un anno dall’irruzione in un centro per migranti di due soggetti, coltello e pistola scacciacani in pugno che ferirono un ragazzo gambiano di 23 anni e urlarono “questi qua li uccido uno per uno”.
Il 10 luglio di quest’anno sulle strade di Civitaquana, in provincia di Pescara, ha trovato la morte Diallo Mamadou Thiana. Bracciante agricolo e iscritto USB, proveniente dalla Guinea, stava tornando a casa dopo il lavoro nei campi quando è stato investito da un furgone. Il conducente non si è fermato a prestare soccorso. “In Italia ormai si parla quasi esclusivamente di sicurezza, ma i fatti stanno a zero – ha denunciato l’USB – Un Paese dove le morti legate al lavoro si susseguono giorno dopo giorno non può dirsi sicuro per nessuno”. “Il ricordo di Diallo prende posto accanto a tutti quegli innocenti che pagano con la propria vita il costo di responsabilità che non gli appartengono” ha aggiunto il sindacato.