Benvenuti a Gaza

di

3 Ottobre 2019

Recensione del documentario sulla Striscia di Gaza presentato al Sundance Festival di quest’anno

Spesso il racconto della Palestina, è in particolare di Gaza, è per sottrazione. Non c’è acqua, non c’è elettricità, non c’è denaro, non c’è libertà. Eppure Gaza è piena, chiassosa, indaffarata. Il documentario Gaza degli irlandesi Andrew McConnell e Garry Keane, presentato al Sundance Festival di quest’anno, ha come intento quello di mostrare la vita di due milioni di persone stipati in una striscia di 45 chilometri quadrati, una terra diventata suo malgrado il simbolo della negazione stessa della vita.

Dal 2007 Gaza è infatti sotto blocco terreste, marittimo e aereo da parte di Israele (con la collaborazione dell’Egitto), governato da Hamas e alla mercé della lotta politica tra quest’ultimo e Fatah.

Ingressi e uscite dalla Striscia sono regolati da un complesso sistema di permessi e regole, l’acqua potabile scarseggia, l’elettricità è disponibile per poche ore al giorno, la situazione si degrada inesorabilmente dal punto di vista ambientale, umano e sociale. Eppure ciò che è considerato invivibile si ostina a esistere.

La telecamera di McConnell e Keane segue la vita nascosta dalle numerose barriere che la opprimono e che spesso non è conosciuta nemmeno dai palestinesi di Gerusalemme e Cisgiordania, figurarsi da chi palestinese non è.

Si tratta di uno sguardo “esterno”, come già suggeriscono le prime immagini del documentario, riprese da un’automobile che si muove per la Striscia.

L’inquadramento di contesto è minimo, la scelta narrativa degli autori è quella di creare un mosaico di storie individuali che compongano un disegno ragionevolmente esaustivo della società gazawiyya.

Ahmed ha 14 anni, incontra grosse difficoltà a scuola e vive nel campo profughi di Der El Balah (il 70 percento della popolazione di Gaza ha lo status di rifugiato); suo padre ha 3 mogli e 40 figli, di cui tiene il conto su un foglio di carta che conserva nella tasche logore dei suoi pantaloni. Avrebbe voluto prendere una quarta sposa, ma il suo stato di indigenza e la mancanza di spazi (la famiglia vive in tre stanze) l’hanno fatto desistere.

Karma è l’ambiziosa figlia di Manal, membro dello staff Nazioni Unite a Gaza. Appassionata di musica, la ragazza sogna di studiare all’estero e diventare avvocato.

Un anziano sarto, dopo aver venduto la sua impresa per sopravvivere, lamenta le difficoltà della sua nuova, più modesta, attività, che arranca non solo per mancanza di clienti, ma anche per l’impossibilità di lavorare a causa della limitatissima disponibilità di energia elettrica.

Un tassista racconta di aver passato 20 mesi in carcere per non essere stato in grado di pagare una serie di spese e bollette per il sostentamento della sua famiglia, dividendo la cella con uomini d’affari e commercianti, anch’essi incarcerati per debiti e insolvenza.

Completano questo quadro scene di una vita quotidiana fuori dall’ordinario. Nonostante l’invivibilità, a Gaza si surfa, si rappa, ci si sposa, si festeggia. E si manifesta.

I registi dedicano doverosamente molto spazio alle proteste della cosiddetta “Marcia del Ritorno”: dal 30 marzo del 2018 (il Giorno della Terra per il palestinesi), ogni venerdì molti giovani di Gaza si recano al confine con Israele contro l’occupazione e il blocco della Striscia.

Secondo gli ultimi dati aggiornati dello UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (UN OCHA), al 31 agosto 2019  321 palestinesi erano stati uccisi e 34.943 feriti. Di questi, 8.171 riportavano ferite da arma da fuoco, in maggioranza agli arti inferiori. Il sistema sanitario di Gaza, già devastato dalle conseguenze del blocco, non è in grado di offrire un trattamento adeguato a questi pazienti, cosa che ha contribuito a numerosi casi di disabilità permanente (172, di cui 36 bambini, al 30 marzo 2019 secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità) e amputazioni (121).

 

 

I riferimenti all’occupazione israeliana nel documentario sono limitati all’essenziale, ma la presenza dell’oppressione dall’esterno pervade tutto il documentario.

Il blocco in cui i protagonisti sono confinati è onnipresente. È nell’impossibilità di uscire. È nei bombardamenti che dal cielo distruggono edifici e abitazioni. È nello stesso mare, verso cui Ahmed e Karma cercano rifugio – uno alla ricerca di privacy dalla numerosa famiglia, l’altra per dare libero corso ai suoi sogni di futuro -, ma che è delimitato a poche miglia nautiche dalle autorità israeliane, un limite che ha sostanzialmente distrutto il settore della pesca nella Striscia.

Meno evidente è invece l’oppressione interna generata dallo scontro politico tra l’Autorità Nazionale Palestinese e il governo de facto di Hamas, mancanza probabilmente dovuta alla delicatezza di girare il documentario in un tale contesto.

Gaza è tante, tantissime, cose e tessere un racconto che riesca a tenere insieme tutti i fili principali non è un’operazione semplice.

Lo spettatore ne trae comunque un quadro piuttosto esauriente, una finestra che si apre oltre la narrazione consueta della Striscia, spesso liquidata per il grande pubblico alla cronaca delle singole azioni militari israeliani o alla questione religiosa in una generica chiave anti-islamista.

Complice anche la bellezza della fotografia (cui si accompagna un uso piuttosto “furbo” della musica e dello slow motion, per aggiungere drammaticità alla visione), Gaza riesce a portare sullo schermo un messaggio tanto semplice quanto potente nella contraddizione stessa che lo anima: per quanto imperfetta, deformata e spietata, la vita resiste persino alle condizioni più disperate, inimmaginabili per la maggior parte delle persone che hanno visionato e visioneranno questo documentario.

Mare e muri, macerie e progetti. Benvenuti a Gaza, la parte di Palestina in cui più che altrove la resistenza si realizza nel fatto stesso di continuare a esistere.

Il documentario sarà proiettato Venerdì 11 ottobre 2019 al Cinema Odeon, Via Mascarella, 3, Bologna, nell’ambito del Terra di Tutti Festival, del quale Q Code Mag è media partner