25 Giugno 2018
Due Sotto il burqa è una commedia degli equivoci che riprende l’idea classica degli scambi di persona attraverso le maschere e il travestimento
“Per smorzare i toni severi del fondamentalismo islamico, la mia risposta è la commedia”. Così esordisce la regista Sou Abadi, ospite a Bologna del Biografilm festival per presentare il suo primo lungometraggio di fiction, Due sotto il burqa.
“La satira e l’ironia sono un modo per far riflettere gli spettatori”, continua Sou Abadi. “Ridere è un modo per combattere e allontanare la paura”. La regista è di origine iraniana e ha vissuto l’adolescenzaall’inizio della rivoluzione islamica di Khomeini. “Lì ho conosciuto in prima persona l’integralismo, anche per questo me ne sono andata in Francia. Poi l’integralismo ha attraversato le frontiere e ora è mi ha seguito fino in Europa”.
Due Sotto il burqa è una commedia degli equivoci che riprende l’idea classica degli scambi di persona attraverso le maschere e il travestimento. Il film parla dell’amore tra Leila e Armand, studenti di Scienze politiche alla Sorbona: i due stanno progettando di andare a vivere insieme a New York, quando improvvisamente arriva il fratello di lei, Mahmoud, appena tornato da un “corso intensivo” con i Fratelli Musulmani in Yemen. Barba lunga e tunica fino ai piedi, Mahmoud è ormai radicalizzato e lo stile di vita occidentale della sorella lo inorridisce, così la rinchiude in casa impedendole di vedere il fidanzato.
Ma Armand non si dà per vinto e per incontrare Leila indossa un velo nero lungo fino ai piedi e si spaccia per Sheherazade, ragazza molto devota che ha bisogno di lezioni per capire meglio il Corano. Il risultato è totalmente inaspettato: Mahmoud si invaghisce della “ragazza” e fa di tutto per conquistarla, finendo per tradire gli stessi rigidi precetti che lo hanno portato ad avvicinarcisi.
“Tutti i personaggi del film hanno delle contraddizioni”, spiega la regista. “La madre di Armand è una convinta femminista, ma per il figlio organizza comunque un matrimonio combinato; il padre invece è comunista ma appartiene alla classe abbiente. Per non parlare di Mahmoud, estremista islamico, che però ha bisogno di innamorarsi di una donna. Il velo è il simbolo di questi contrasti: nasconde e al tempo stesso svela, ad esempio rivelando la parte del carattere Mahmoud che lui vuole nascondere di più. In Iran, sono cresciuta con queste contraddizioni davanti agli occhi, non è stato difficile ideare questi personaggi”.
Il film ha già vinto il premio del pubblico al Biografim festival 2017, e quest’anno Sou Abadi è parte della giuria nella sezione documentari. “Io nasco come documentarista, questo è il primo film di fiction che ho prodotto. Il lavoro con gli attori è stato molto intenso: ognuno di loro ha dovuto leggere almeno 3 o 4 libri per entrare nella parte. Dovevano sapere tutto dei loro personaggi, il loro passato, il loro futuro, come mangiano, come camminano… alcuni hanno anche trascorso tempo con gli esponenti della comunità iraniana in Francia, per studiare come parlano e come si muovono”.
Prendendo di mira una a una le storture del fanatismo religioso, nel film la regista denuncia la repressione e la mancanza di libertà vissuta dalle donne nel Medio Oriente, senza mai scadere in stereotipi volgari o offese verso la religione musulmana. “In un film, non mi piace che il messaggio sia troppo forte o pressante: è lo spettatore che deve riflettere e autonomamente trarre le proprie conclusioni”, conclude Sou Abadi.