di Irene Merli
7 Gennaio 2019
L’irriverente e caustico biopic su Dick Cheney, anima nera dell’amministrazione Usa di George W. Bush
VICE- L’UOMO NELL’OMBRA-di Adam Mc Kay, con Christian Bale, Amy Adams, Steve carrell, Sam Rockwell, Bill Pulmann (vincitore ai Golden Globes, premio per la miglior interpretazione maschile drammatica). Nelle sale.
Dio benedica Adam McKay. Perché è tornato sugli schermi per dar vita a un’altra storia vera e fortemente inquietante, quella del vicepresidente più potente che gli States abbiano mai avuto, un biopic montato con un ritmo indiavolato, scritto con uno stile irriverente e incisivo, capace di intrattenere e far riflettere, proprio come avvenne con La grande scommessa.
Solo che qui non si indaga sul più grande crac finanziario di ogni tempo, ma su un uomo che Henry Kissenger, dicesi Henry Kissinger, definì il più cattivo che avesse conosciuto. Ovvero Dick Cheney, il presidente ombra della seconda era Bush, quella dell’invasione dell’Iraq, delle torture a Guantanamo, della fine della par condicio televisiva, del controllo informatico e telematico sulla popolazione.
Periodo 2001-2009 per essere precisi: otto anni in cui le astute e segrete manovre del potentissimo vice hanno modificato il panorama politico americano in modo e modi che continueranno a riecheggiare per i decenni posteriori.
Wyoming, 1963. Richard Cheney è un ragazzone che lavora ai pali della corrente elettrica perché a scuola era uno studente scarso e un atleta pigro. Non solo. Gli piace bere e fare a botte, ma alla seconda condanna per guida in stato d’ebbrezza la sua amatissima e ambiziosissima moglie gli dà l’aut-aut: o smette con l’alcol e trova un lavoro nel mondo della politica o può fare a meno di tornare a casa da lei e dalle bambine.
E qui avviene la grande svolta: Cheney capisce di aver imboccato la strada giusta come “umile servitore del potere” quando inizia un tirocinio al Congresso e si trova ad avere come mentore lo spavaldo e spregiudicato Donald Rumsfeld.
In che direzione andasse già allora la destra americana si capisce bene da una scena del film, in cui il giovane portaborse chiede al rampante Rumsfeld:”Signore, ma noi in cosa crediamo?”, e per tutta risposta riceve una risata in faccia tanto fragorosa che lo spettatore faticherà a dimenticare.
Da li’ in avanti Cheney, costantemente sostenuto e spronato dalla moglie assetata di potere, si insinua nel mondo di Washington D.C. e a passi felpati fa un carrierone: prima diventa capo dello staff della Casa Bianca, sotto Gerald Ford, poi conquista ben cinque volte il mandato al Congresso, sino ad arrivare, dopo un periodo come Ceo in una multinazionale, al ministero della Difesa e alla vicepresidenza con George W. Bush, l’uomo che fu costretto dalla famiglia a candidarsi e non riuscì neppure ad avere alla reale consapevolezza del potere che il suo vice gli stava sfilando.
Attraverso vita e carriera del misterioso co- presidente, McKay racconta anche quasi 50 anni di storia politica americana che alla maggior parte di noi, anche i più informati, non erano poi così chiari. O forse non avevamo voluto o potuto vedere.
In Vice, tutto diventa tanto trasparente da far rabbrividire, ma senza che il film ceda a velleità ideologiche o tagli documentaristici. Nossignori, qui è tutto puro cinema, con un abile mix di generi, la rottura della quarta parete (nella storia il narratore è spesso un uomo comune, ma non riveleremo nulla di più neanche sotto tortura), un falso finale e una serie di siparietti che alludono alla passione di Cheney per la pesca a mosca, che richiede pazienza e molti ami per intrappolare le prede.
Insomma, le stesse “virtù” che lo stratega senza scrupoli mise in campo per spostare le pedine sullo scacchiere politico mondiale con la riservatezza e la discrezione di un personaggio quasi invisibile.
Ma Vice, biografia irriverente e ovviamente non autorizzata, è anche un grande film di attori. Cheney è interpretato da uno straordinario e camaleontico Christian Bale, la moglie Lynne è incarnata da una grandissima Amy Adams, perfetta nel suo ruolo di moderna Lady Macbeth, così come sono efficacissimi anche lo sprezzante Rumsfeld di Steve Carell e il George W. Bush di Sam Rockwell, impersonato come un burattino inesperto e inetto al limite dell’imbarazzo.
Insomma, McKay firma un’opera spiazzante, brillante, a tratti spietata, in cui si ride ma subito dopo arrivano il colpo allo stomaco e l’amara consapevolezza. E il suo film ha anche il pregio di farci vedere una società in cui già dai tempi di Nixon erano in nuce i problemi in cui l’America si dibatte.
Un’ ultima annotazione: non andate via appena si accendono le luci in sala. Vi perdereste l’ultimo siparietto, piazzato in stile Marvel verso la fine dei titoli di coda: ne vale la pena.