L’invisibilità è un potere straordinario, da molti punti di vista, al pari dei personaggi detentori di questo superpotere. A partire da Susan Storm, la Donna Invisibile e la più potente dei Fantastici Quattro fino a Simon Bellamy, volto centrale di Misfits ed interpretato dall’ attore gallese Iwan Rheon, noto ai più per la brillante e terrificante interpretazione di Ramsay Bolton, il sadico Lord Protettore del Nord in Game of Thrones.
Simon Bellamy è probabilmente il personaggio con il quale Omar, il protagonista della serie Zero, in uscita su Netflix il 21 Aprile, esibisce maggiori punti in comune.
Sia Simon che Omar vivono una condizione di invisibilità pre-esistente alla manifestazione del loro potere, ma per Omar vi è anche un altro elemento, la sua identità afroitaliana, una identità che al pari di altre identità italiane non bianche viene costantemente oscurata dai media, dalla società e dalla politica che continua a voler mantenere oltre un milione di cittadini e cittadine italiane in un costante Limbo della cittadinanza.
La serie si basa sul romanzo Non ho mai avuto la mia età (Mondadori, 2018),di Antonio Dikele Distefano, scrittore figlio di genitori angolani, autore della serie, creata dal fumettista e sceneggiatore Menotti (co-autore di Lo chiamavano Jeeg Robot) insieme a Stefano Voltaggio, Massimo Vavassori, Lisandro Monaco e Carolina Cavalli.
Omar, interpretato dall’esordiente Giuseppe Dave Seke, vive con il padre Thierno (Alex Van Damme) e la sorella Awa (Vanessa Diop) in un appartamento al Barrio, quartiere fittizio della periferia meneghina e, al contrario della sorella minore non è popolare o uno sportivo in vista, ma resta nell’ombra, tra le ferite indelebili del suo passato, consegna pizze a domicilio e riesce a trovare la sua dimensione attraverso la sua passione di disegnare manga, fino a quando due incontri, quello con Sharif (Haroun Fall) Inno, Sara e Momo ( Madior Fall, Daniela Scattolin e Richard Dylan Magon) e Anna, ragazza di estrazione borghese, finiscono per cambiare nettamente la sua prospettiva e il suo mondo.
Le nuove relazioni di Omar, che attraverso l’incontro con Sharif stringerà amicizia anche con Inno, Sara e Momo ( Madior Fall, Daniela Scattolin e Richard Dylan Magon) e il rapporto con Anna rappresentano le chiavi di volta nella evoluzione della serie che alterna la centralità del ruolo del Barrio con lo skyline post Expo meneghino.
Il cast centrale è composto integralmente da attori e attrici al loro debutto, mentre abbiamo già visto i volti di Rico, interpretato da Miguel Gobbo Diaz, attore italiano di origine dominicana già visto al fianco di Claudio Amendola in Nero a metà su Rai Uno e della Vergine, interpretata da Roberta Mattei (Non essere cattivo, Polvere).
Dietro la macchina di presa si alternano Paola Randi (Into Paradiso, 2010; Tito e gli alieni, 2017; Luna nera, 2020), Ivan Silvestrini (Monolith, 2016; 2night, 2016; Arrivano i prof, 2018), Margherita Ferri (Zen sul ghiaccio sottile, 2018) e Mohamed Hossameldin (Yusuf, 2018) offrendo sguardi e prospettive diverse allo sviluppo della storia, ma con un approccio corale che favorisce lo sviluppo dei personaggi, nella loro unione e nella loro singolarità e soprattutto mantenendo ritmo e fluidità che invitano al bingewatching.
In un Paese dove essere Italiani e neri corrisponde, specialmente sul fronte dei media, all’ essere esposti a un linguaggio volto a svilire la dignità su base pressoché quotidiana, una serie come Zero ribalta la narrativa, focalizzandosi su una minoranza che, nella serie, come nella realtà, non ha alcuna intenzione di farsi etichettare, definire o analizzare, nonostante la costante ostilità diffusa nella società.
Si tratta di una minoranza che continua ad essere considerata invisibile, in un Paese che non riesce ad accettare la complessità e la diversità del suo tessuto, ma gli spazi neri culturali, dell’intrattenimento, del giornalismo, dei podcast crescono, a dispetto delle n-words e della Blackface.
Le musiche, composte da Yakamoto Kotzuga includono l’inedito di Mahmood, Zero, il brano Red Bull 64 Bars x Zero di Marracash, dal titolo “64 barre di Paura”, oltre a spaziare tra rap, urban, trap e non solo, in un caleidoscopio che ci fa immergere in una comunità vibrante e che rappresenta di certo una pietra miliare per la rappresentazione della diversità nelle arti in Italia.
Zero è una serie che prende fin dal primo momento e riesce totalmente ad abbracciare e soddisfare le aspettative degli spettatori.
Il fatto che il New York Times abbia dedicato un articolo all’uscita della serie con interviste a Distefano e ad Angelica Pesarini, docente alla New York University di Firenze, è indicativo di quanto lo sguardo della serie possa essere non solo Afroitaliano, ma Afroeuropeo o Afropeo, per parafrasare l’ accezione al centro dell’ omonimo libro di Jonny Pitts e globale, visti i 190 Paesi ove Netflix è presente; le voci Afroitaliane ci sono e non si faranno raccontare da altri.