Nessuna soddisfazione, nessun compiacimento. Perché di fronte alle macerie, non c’è mai nulla da festeggiare. Dopo anni passati a scrivere, raccontare, denunciare, a volte, si resta senza fiato.
I cosiddetti AfghanPapers – pubblicati dal Washington Post – sono l’inchiesta elaborata su oltre 2mila pagine di documenti riservati e interviste a ufficiali e funzionari Usa che mette in luce gli errori nei rapporti con i Taliban.
Tutto, ma proprio tutto, sotto gli occhi di tutti dal 2001. Un’avventura sbagliata fin dal primo giorno, quando i vecchi sodali dei tempi della guerra all’URSS, i Taliban appunto – diventano la rappresentazione stessa del male. Osama bin Laden, la mente degli attacchi dell’11 settembre 2001, si nascondeva là. Nessun reale ultimatum, nessuna reale trattativa, ma furia e pioggia di piombo.
Più che rivelare nulla, gli AfghanPapers sono solo la certificazione di una morte. Un po’ come il rapporto dell’autopsia che aiuta il detective a tirare le somme. Ma il morto, che è tutta l’architettura stessa della Guerra la Terrorismo, è da tempo freddato e al tappeto.
Negli stessi giorni in cui il Post pubblica questa inchiesta, il New York Times, con un tempismo che è facile immaginare ad hoc, pubblica un pezzo di data journalism sull’assurdo costo della guerra in Afghanistan: 2mila miliardi di dollari. Per dei risultati fallimentari.
Cosa aggiungono questi due grandi lavori giornalistici? Una pietra tombale sugli ultimi fuochi, fatui, della propaganda degli arruolati della Guerra al Terrorismo.
Alcuni dei punti chiave di questa autopsia.
I successi militari, in Afghanistan, non si possono neanche contare. In meno di un mese i Taliban sono spazzati via. Invece di concentrarsi sulla caccia e la cattura di Osama (morto in un’operazione speciale di intelligence solo nel 2011), gli Usa trasformano il paese in una base militare a largo raggio per preparare gli avamposti alla prossima tappa: l’Iraq. E si impantanano in una guerra che non avrebbero mai potuto vincere.
Obama, dopo Bush jr., cambia direzione, in uno scalcagnato disimpegno. E tutto precipita, giorno per giorno, fino a oggi, quando in un assurdo teatro grottesco i Taliban diventano degli ottimi interlocutori, come erano stati ai tempi della guerra all’URSS.
Come se dopo gli attentati degli anni Novanta, per battere la mafia, si fosse bombardata Palermo, invece che lavorare di intelligence. Non potevano vincere.
Infatti l’hanno perduta, uccidendo una generazione di afghani e di iracheni, ai quali hanno devastato il presente e il futuro. E l’hanno persa ovunque, soprattutto in Europa, dove il mondo è molto più insicuro del 2001. E negli Usa, dove i suprematisti bianchi uccidono molto più di Daesh, nutriti da vent’anni di islamofobia e razzismo.
A che costo? Parliamo di soldi, che per venti anni – senza esito – si è parlato di persone. Che sono gli oltre 38mila afgani morti e gli oltre 2400 militari morti. Parliamo di soldi.
L’oppio è quadruplicato, gli afgani sempre più poveri, i Taliban sempre più forti.
Un conto da 2mila miliardi di dollari. Quello di un piano di sviluppo globale che avrebbe tolto ad al-Qaeda il suo mantra chiave: le disuguaglianze del mondo, la violenza occidentale. E quei frutti avvelenati, oggi, son più maturi di ieri.
No, non c’è soddisfazione nel sentirsi dire, venti anni dopo, che si aveva ragione. Nel 2001 si diceva e si scriveva che la guerra sarebbe tornata indietro, sotto forma di attentanti e di profughi. Così è accaduto. Adesso lo dice anche il medico legale.