Riace è la rotta

di and

2 Ottobre 2018

La disubbidienza civile dell’atto politico, che accoglie a tutti i costi, che accoglie contro la legge, non è e non può essere trattato alla stregua del crimine comune

Riace è un simbolo. Non siamo sicuri che sia anche un modello, perché non sappiamo se abbia le forze necessarie per sostenersi, né per riproporsi su scala diversa da quello che Riace è.

Ma Riace è la rotta. Perché la reazione all’arresto è stata così forte sui social, nel tam tam digitale, è presto detto. Nei murales di Riace, in questo nostro Mimmo Lucano che appare con semplici magliette, calzoni come quelli che tutti indossiamo, una parlata semplice, qualche consecutio che zoppica, ma parole dritte, che vanno sempre a segno, c’è l’utopia che vogliamo.

E l’utopia non è irrealizzabile, come una cattiva prassi linguistica ci fa credere.

La coerenza di Lucano, la semplicità del dire, la tenacia nell’additare come la burocrazia di leggi e cavilli spesso vadano ad adempimento dei desideri e ansie di vita di chi arriva sulle coste sperando di avere una chance in più rispetto a quello che ha lasciato.

Fra le strade di provincia astiosa, oppure anche generosa, nelle vie di metropoli che individualizza i percorsi, Riace diventa un luogo miraggio, quasi una leggenda in una terra, la Calabria, controllata dalla mafia.

 

Riace è un punto di ripartenza per chi vorrà ricostruire le sorti di una formazione progressista e di sinistra. Vuol dire avere una idea sull’immigrazione che contempli anche la possibilità che qui si vogliano fermare, qui vogliano imparare lingua e tradizioni e portarci in dono le loro.

Vuol dire che c’è una potenzialità di formazione e di dignitose occupazioni che possono portare se non sviluppo, almeno risparmio e una pratica di umanità.

La stessa umanità che spesso sta sotto le divise di chi salva, fa sbarcare o accudisce i migranti nei primi istanti dal trasbordo in mare e fino ai porti, quelli che devono restare aperti, perché chiusi è disumano, perché non si gioca alla politica europea con le vite delle persone.

Per questo Riace è uno dei primi punti programmatici per chi vuole capire come si fa; non i dettagli ma lo spirito che siamo chiamati ad avere, vada da Mimmo Lucano e si faccia due chiacchiere. Ci abbiamo parlato pochi minuti e l’abbiamo ascoltato in ragionamenti semplici, operativi, senza perdersi nelle ampie volute della prosa politica, né nella rassegnazione che, in fin dei conti, sono i peggiori nemici, ben più pericolosi di razzisti o fascisti di questo o quel partito.

È un sindaco e ha operato per il bene del suo paesino, ma prima di tutto è un uomo che rivendica l’umanità.

E questo è un momento storico nel quale, con forza, la criminalizzazione della solidarietà è processo evidente, che chiama in causa i tanti che in questi anni hanno voluto non vedere che dovremo rendere conto di questi giorni, di questi morti.

La disubbidienza civile dell’atto politico, che accoglie a tutti i costi, che accoglie contro la legge, non è e non può essere trattato alla stregua del crimine comune. Ancora si sente il boato dell’inchiesta sulle ong, finita nel triste silenzio della gratuita diffamazione.

Riace è un’idea, una delle poche, che possiamo vedere e toccare, mentre tutto attorno è solo urlare no, dirsi contro, predicare odio. Riace è fare, non solo dire. Se accogliere significa, in questo tempo, disubbidienza civile, è tempo di prendere una posizione. Senza innamorarsi di nessuno, rispondendo nelle aule giudiziarie, ma non restando indifferenti. Che sarebbe il reato più grave.