Abruzzo, in morte di tre operai

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7 Settembre 2021

Persero la vita otto mesi fa nell’impianto che lavora con Esercito e Nato

Morti sul lavoro, una piaga italiana che non si è frenata neanche nel 2020. Nonostante il lockdown, l’interruzione di moltissime attività economiche e una ripartenza spesso parziale i dati sono rimasti drammatici.

E dietro ogni numero ci sono persone strappate alla vita o segnate per tutta la vita, tragedie e anche responsabilità e colpe di datori di lavoro così interessati al profitto da mettere a rischio la vita dei lavoratori.

Sfruttati, malpagati, costretti troppe volte a lavorare in condizione disumane, soprattutto in settori dove l’illegalità e le mafie spadroneggiano.

Una delle ultime tragedie del 2020 è avvenuta in Abruzzo il 21 dicembre: a Casalbordino un’esplosione ha ucciso 3 operai in uno stabilimento di materiali esplosivi che lavora anche con l’Esercito italiano e la NATO di proprietà della Esplodenti Sabino.

Nei giorni successivi la Prefettura sospese la licenza alla società e fu disposto il sequestro dell’area. In quelle drammatiche ore i rappresentanti della società definirono inspiegabile quanto accaduto, i tre operai «stavano movimentando artifizi, contenenti sostanze e miscele esplosive leggere, quando c’è stato lo scoppio – le parole del titolare consegnate alla stampa locale. Inspiegabile. Non riusciamo a capire cosa è successo. Non era in atto alcuna lavorazione. Stavano solo facendo degli spostamenti».

In questi mesi varie volte la Esplodenti Sabino ha chiesto il dissequestro anche solo parziale dello stabilimento così da poter ripartire almeno in parte. A metà giugno il gip del tribunale di Vasto Pasquale ha autorizzato la messa in sicurezza e il recupero ambientale dell’area dello stabilimento. Successivamente è arrivato anche il via libera della Commissione tecnica regionale mentre gli operai della Esplodenti Sabino hanno portato avanti i lavori di recupero ambientale.

La proprietà ha chiesto le autorizzazioni amministrative per la ripresa delle attività, il 27 luglio è stato giorno di speranza e attesa in quanto stabilita la visita della commissione che dovrà valutare in merito. Nonostante sia passato un mese ad oggi non abbiamo ancora notizie ufficiali sulle valutazioni di questa commissione.

«Situazione drammatica», la descrizione che il procuratore di Vasto Giampiero Di Florio consegnò alla stampa dopo i primi sopralluoghi nelle ore successive all’esplosione.

Il 21 dicembre 2020 fu evacuata immediatamente un’area di diversi chilometri compreso il vicino distributore di benzina, bloccato il transito fino al giorno successivo sulla Statale 16 e sulla linea ferroviaria, per ore anche i soccorritori non sono potuti intervenire sul posto perché l’area era ancora fortemente a rischio.

Dopo la terribile esplosione all’interno dello stabilimento c’era stato un vero e proprio appello dei dipendenti, così da verificare le presenze temendo altri coinvolti. I corpi dei tre operai erano stati recuperati dopo oltre 24 ore dall’esplosione, ben sei ore sono state necessarie per le autopsie. L’area è stata sequestrata per una «minuziosa ricognizione» da parte di artificieri e vigili del fuoco. Dopo l’esplosione del 21 dicembre la Procura di Vasto ha aperto un fascicolo ipotizzando possibili contestazioni di reato per «omicidio colposo, crollo di costruzione o altri disastri colposi», l’indagine si sta interessando delle posizioni del titolare dell’azienda, di due dirigenti e della stessa società.

Tra le lavorazioni della Esplodenti Sabino ci sono anche la distruzione e dello smaltimento di munizioni ed esplosivi e di demilitarizzazione di bombe di aereo, sistemi d’arma, razzi e mine navali.

Lavorazioni che, come ha sottolineato la società nelle ore successive all’esplosione e hanno riportato in grande evidenza vari organi di stampa, relative soprattutto alla gestione della sicurezza. L’ultima certificazione ricevuta interessa il sistema di gestione per la qualità riconosciuto conforme ai requisiti stabiliti nella pubblicazione Nato Aqap 110, rilasciato dal ministero della Difesa – direzione generale degli armamenti terrestri. La Aqap 100 è la certificazione di conformità ai requisiti sulla qualità rilasciato per lo sviluppo, la costruzione e la produzione, sistema di gestione per i subfornitori dell’industria bellica rilasciato dalla NSA, la Nato Standardization Agency.

IL SECONDO SEQUESTRO DI MARZO 2021 E LA DURA PRESA DI POSIZIONE DEGLI AMBIENTALISTI

Un secondo sequestro con l’accusa di reati ambientali era stato disposto lo scorso 22 marzo. Chiesto, ha riportato l’ANSA, perché sarebbero stati stoccati «in assenza di titoli autorizzativi, rifiuti pericolosi e non pericolosi, posti su nudo terreno all’interno di cisternette in più aree dello stabilimento, in assenza di idoneo bacino di contenimento atto ad impedire/contenere eventuali sversamenti/dilavamenti in danno del suolo, sottosuolo e acque superficiali e sotterranee; per aver illecitamente smaltito, attraverso operazioni di incenerimento all’interno del forno statico: incenerimento a terra di rifiuti liquidi pericolosi, imballaggi pericolosi, panetti filtranti pericolosi e scarti di lavorazione pericolosi, costituiti da acque contaminate da miscele esplosive prodotte; omettendo altresì la classificazione come rifiuto, il tracciamento quantitativo e qualitativo dello stesso; per aver illecitamente stoccato e raccolto rifiuti speciali pericolosi di varia natura (tra cui ceneri pesanti prodotti dall’incenerimento rifiuti presso il forno 80, polveri sottili prodotte dai sistemi di abbattimento, bossolame bonificato, imballaggi contaminati) depositandoli rispettivamente sul nudo terreno, all’interno di big bags o in cassoni scarrabili scoperti, ammalorati, non a tenuta, senza adottare eventuali cautele atte ad evitare la diretta esposizione dei rifiuti agli agenti atmosferici ed il dilavamento di eventuali inquinanti in danno delle matrici ambientali (suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee), utilizzando le aree di piazzale non pavimentate individuate nelle pertinenze del forno 80, non autorizzate a tale scopo, in difformità al titolo autorizzativo; per aver illecitamente smaltito i rifiuti, in seguito alla realizzazione di un’area dedita alla riduzione volumetrica dei rifiuti (pressa), priva di qualsivoglia titolo autorizzativo e di presidi ambientali atti ad evitare sia il dilavamento che lo sversamento sul suolo di rifiuti liquidi inquinanti».

«Questione ambientale rilevante e strettamente connessa alla sicurezza», «guardare a cosa non hanno fatto il Comitato VIA regionale, il CTR regionale, l’ARTA e la Prefettura di Chieti, alle vicende penali affiancare verifiche amministrative», «incredibili le falle raccontate nei quattro esposti a cui abbiamo lavorato» e «ora serve piano di indagini ambientali per escludere contaminazione di suolo e acqua» le richieste del Forum H20 all’indomani del secondo sequestro.

«Riteniamo assolutamente sconcertante che nessuno tra gli enti di controllo, dall’ARTA alla Prefettura di Chieti, dal CTR retto dai Vigili del Fuoco al Comitato VIA della Regione Abruzzo, pare essersi accorto in questi anni delle evidenti anomalie che in pochi giorni di analisi dei documenti e delle foto aeree del sito sono emerse ai nostri occhi – ha dichiarato il responsabile del sodalizio Augusto De Sanctis – il Comitato VIA della Regione Abruzzo ha avuto la pratica di ampliamento dell’azienda per cinque anni (CINQUE ANNI) adottando un peculiare (eufemismo) parere favorevole alla riorganizzazione dell’impianto in cui allo stesso tempo si richiedeva di assoggettare a V.I.A. l’intero impianto esistente, senza ulteriori provvedimenti. Una evidente contraddizione messa nero su bianco solo un mese prima del terribile incidente rilevante in cui hanno perso la vita tre operai».

«Possibile che nessuno al Comitato VIA in questi 5 lunghi anni abbia fatto qualche verifica su un’azienda a rischio di incidente rilevante sottoposta – almeno sulla carta – a stringenti regole fissate dalla Direttiva Seveso? Possibile che il Forum H2O abbia impiegato poche ore di analisi delle foto aeree, disponibili sui siti WEB della regione e del Ministero, per scoprire che l’impianto in questione era stato largamente modificato negli anni senza procedere con la obbligatoria Valutazione di Impatto Ambientale? Come mai, visto che il Servizio V.I.A. per legge deve verificare la completezza della domanda fin dal suo avvio, nessuno ha chiesto dove fosse l’Autorizzazione Integrata Ambientale obbligatoria per le aziende che producono esplosivi? – gli interrogativi posti dal sodalizio ambientalista – a latere delle vicende penali, un serio ragionamento sullo stato delle strutture deputate alle procedure ambientali della regione è assolutamente necessario. Dal loro potenziamento, a partire dal personale impegnato e dalla trasparenza – non è possibile, ad esempio, che sui siti Seveso non vi siano documenti consultabili dalla popolazione online e che l’ARTA e il CTR non abbiano un sito WEB all’altezza in cui pubblicare i dati dei controlli e dello stato ambientale – ai meccanismi di funzionamento, come molte questioni sulla definizione delle responsabilità del comitato V.I.A. e del servizio V.I.A. rispetto alle procedure di legge, a partire dalle verifiche di ottemperanza alle prescrizioni. Infine, viste le problematiche che stanno emergendo dalle indagini, è urgente attuare per il sito della Sabino esplodenti e per le aree circostanti un piano di caratterizzazione ambientale per escludere contaminazioni di suolo e acque sotterranee».

«Dal confronto delle foto aeree del 2000, 2007 e 2017 sono emerse importanti modifiche allo stabilimento, che hanno comportato sia evidenti cambiamenti nelle strutture sia ampliamenti, mai assoggettati alla procedura di V.I.A – ricostruiva gli esposti presentati il Forum il 27 gennaio scorso –  Solo nell’agosto 2015 l’azienda deposita la documentazione per la Verifica di Assoggettabilità a V.I.A. ma esclusivamente per un’ulteriore modifica (lo spostamento di alcuni edifici per arretrare le curve di isodanno), procedura che rimane ferma in regione per ben 5 anni, fino a quando, a novembre 2020, il Comitato V.I.A. rilascia un parere favorevole a tali interventi, richiedendo però contestualmente l’avvio della procedura di V.I.A. sull’intero impianto da parte dell’azienda entro 90 giorni (nel giudizio si legge “Si ritiene necessario che la ditta attivi, entro 90 giorni dal presente giudizio, un procedimento di Verifica di Assoggettabilità a V.I.A. o V.I.A. esteso all’intero stabilimento, mai sottoposto alle procedure di nostra competenza, in quanto “impianto esistente”)». Pochi giorni prima di questo comunicato, a seguito dell’esplosione del 21 dicembre, l’azienda ha chiesto una propoga di 180 giorni.  La procedura che si stava seguendo, secondo il Forum H20 sarebbe «del tutto singolare in quanto la modifica dell’impianto per lo spostamento delle curve di isodanno (comprensiva di un edificio costruito abusivamente nel 2005 e per cui è stata richiesta la sanatoria nel 2012, originariamente destinato ad uso “agricolo” – come dichiarato dall’azienda al V.I.A. – ma situato nel perimetro dello stabilimento) oggetto del recente giudizio VIA favorevole rappresentava esso stesso una variante consistente dell’impianto. Era quindi proprio quello il momento di valutare l’intero stabilimento, senza poter rimandare a fasi successive tutte le valutazioni».  Esisterebbero, prosegue il Forum, «forse eventuali altre problematiche autorizzative, ad esempio sulla Seveso, dal Rapporto di Sicurezza al Piano di Emergenza Esterno per i cittadini, di cui la Regione era a conoscenza? Sapeva la regione delle modifiche realizzate negli anni riguardanti l’impianto già in funzione, visto che la consultazione delle foto aeree è ormai procedimento di verifica routinario per noi volontari, figurarsi per i funzionari pubblici che hanno il compito di valutare gli impianti (anche se di tali verifiche non vi è traccia nella documentazione del comitato VIA)? L’impianto non doveva forse essere assoggettato ad Autorizzazione Integrata Ambientale oltre che a V.I.A. producendo anche esplosivi?». «Purtroppo le inadempienze di vari enti sull’applicazione del D.lgs.195/2005 sulla trasparenza dei documenti in campo ambientale – attacca il Forum H20 –  non ci permettono di affrontare tutte le questioni che la situazione meriterebbe, per cui rivolgiamo un appello a tutte le istituzioni affinché vi siano risposte chiare nel più breve tempo possibile per sgomberare il campo da qualsiasi dubbio».

I PRECEDENTI E L’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DEL 1994 RIMASTA SENZA RISPOSTA

L’ultimo gravissimo precedente, che causò gravissime ustioni ad un operaio di San Salvo, all’interno dello stabilimento è avvenuto nell’ottobre 2009. Poco dopo mezzogiorno un forte boato proveniente dall’interno dell’azienda scosse l’aria. Secondo la ricostruzione dell’epoca durante l’inertizzazione di un razzo militare luminoso una miscela pirica, a contatto con l’aria, esplose provocando una violenta fiammata. Il quotidiano Il Centro, principale quotidiano abruzzese, nell’edizione del 13 ottobre riportò che l’esplosione era avvenuta in un piazzale dello stabilimento aggiungendo «ed è stata una fortuna che l’incendio non sia riuscito a raggiungere il fabbricato, “se ciò fosse avvenuto l’incidente avrebbe potuto avere proporzioni apocalittiche” sostengono i soccorritori». Nelle ore successive all’incidente di quest’anno lo stesso quotidiano, sul proprio sito web, ha riportato che il titolare dello stabilimento, dopo l’incidente di undici anni fa, sarebbe stato indagato «per lesioni gravissime e violazione delle normative antinfortunistiche». Indagini di cui non si hanno ulteriori riscontri ed eventuali sviluppi successivi.

Nel 1992 l’esplosione di una spoletta uccise un operaio, all’interno di una cava a Rapino durante un’operazione di inertizzazione di residui bellici persero la vita altri due operai quattro anno dopo: si legge in un articolo di Repubblica del 4 aprile 1996 « la deflagrazione è avvenuta all’interno di un fornello: almeno cento chili di una miscela di tritolo e T4 e parti di spoletta che non sarebbe stato possibile inertizzare in fabbrica».  Secondo quanto riportato in quell’articolo «La Esplodenti Sabino è coinvolta in un’inchiesta avviata alcuni anni fa dalla Procura di Vasto per un’ esplosione avvenuta in un suo deposito. Due dirigenti di allora – poi usciti dall’ azienda – furono arrestati in seguito perché fu trovato esplosivo sotterrato nel terreno circostante». Qualche anno dopo un operaio ebbe gravi danni alla vista durante un altro incidente in fabbrica. Dovette lasciare il lavoro ed ottenne un forte risarcimento per i danni subiti.

Un’ altra esplosione avvenne nello stabilimento di Noceto (Parma) nel 2015: nell’occasione, riportò Repubblica, il proprietario disse a caldo di essere in attesa di poter parlare con i suoi operai per «capire cosa è successo». «Può capitare durante la lavorazione» le parole riportate sempre da Repubblica riferendosi alla pericolosità delle operazioni di demilitarizzazione svolte. Una versione diversa fu fornita dai sindacati emiliani che, già immediatamente dopo l’esplosione, puntarono il dito sulla ditta: «procedure di sicurezza, mai dato chiarimenti» scrissero in un comunicato stampa.

Tra i primi a prendere posizione, presentando anche un esposto alla Procura della Repubblica di Vasto, c’è stato il segretario nazionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo. In un comunicato Acerbo ha anche ricordato l’interrogazione presentata nel 1994 in Parlamento dal Prc.

Il 20 ottobre 1994 Antonio Saia presentò un’interrogazione ai ministri della difesa, degli affari esteri, del commercio con l’estero, dei trasporti e della navigazione e di grazia e giustizia. Consultando l’archivio della Camera dei Deputati l’iter dell’interrogazione, 26 anni dopo, viene testualmente riportato «in corso». Erano gli anni post crollo dell’URSS, con moltissimi armamenti sovietici che furono trafficati nel mondo, della guerra nei Balcani che portò ad un fortissimo incremento del traffico di armi, in quei mesi furono assassinati in Somalia Ilaria Alpi e Miran Hrovatin mentre stavano indagando sui traffici italiani nel paese africano.

L’attenzione era quindi alta su temi inerenti esplosivi (erano tra l’altro passati solo due anni dalle stragi di mafia in Sicilia e un anno dagli attentati di mafia e non solo in varie città italiane) e simili, ma l’onorevole Saia non ha mai avuto la possibilità di ottenere una risposta.

L’IRES, organismo internazionale per lo studio del traffico internazionale di armi, aveva evidenziato «che dai porti abruzzesi negli ultimi anni sarebbero stati esportati grandi quantitativi di armi ed esplodenti, destinati alle aree calde del mondo, sia direttamente sia attraverso passaggi intermedi; in particolare, tra l’altro, attraverso un terzo Paese, i destinatari principali del traffico d’armi sarebbero stati il Medio Oriente e la ex-Jugoslavia».

Un traffico che «si sarebbe svolto attraverso i porti di Pescara, Ortona (CH) e Vasto (CH) e coinvolgerebbe in qualche modo anche la fabbrica Valsella di Brescia che avrebbe fornito l’esplosivo – sottolineavano gli autori dell’interrogazione – misteriosamente scomparso, alla Sabino Esplodenti che era autorizzata anche allo stoccaggio».

Saia e i suoi colleghi parlamentari riportarono che era in corso un’indagine dopo la «misteriosa scomparsa di dieci tonnellate di esplosivo T4 e per accertamenti riguardanti le condizioni di sicurezza» sempre secondo l’Ires e che il presunto «traffico di armi» interessava anche sospetti dell’invio di esplosivi in Olanda da dove «armi ed esplodenti» (secondo accuse delle dogane svedesi) sarebbero stati inviati nell’area del Golfo.  Dai ministri interrogati non giunse mai nessuna risposta e, oltre il testo dell’interrogazione di Saia presente negli archivi online parlamentari, non risulta esserci nessuna traccia e nessun riscontro.