L’Italia è tra gli stati al mondo più colpiti dall’emergenza sanitaria della pandemia globale; a partire da Cina e Cuba stanno giungendo aiuti medici da tante parti del mondo. Anche dalla vicina Albania che il primo ministro Edi Rama ha sottolineato non è un Paese “privo di memoria” e oggi non può “non dimostrare all’Italia che l’Albania e gli albanesi non abbandonano un amico in difficoltà” e che “l’Italia è casa nostra da quando i nostri fratelli e sorelle ci hanno salvato nel passato”.
Il supporto sanitario albanese e le dichiarazioni di Rama sono arrivate il 29 marzo, un giorno in cui la memoria ritorna a 23 anni fa. Anche quell’anno si era alle porte della Pasqua, era addirittura il venerdì santo, quanto ci fu uno dei peggiori naufragi di quegli anni, quello della Kater i Radesh in cui morirono 81 persone che tentavano di giungere in Italia dall’Albania, 34 persone furono salvate mentre i dispersi furono tra i 24 e i 27.
La Kater i Radesh venne intercettata a metà pomeriggio dal blocco navale anti-immigrazione del governo italiano e intorno alle 18.45 fu urtata dalla corvetta Sibilla ribaltandosi e affondando in meno di mezz’ora.
La memoria della strage del venerdì santo 1997 è legata a due pugliesi d’eccezione che si batterono, indagarono, documentarono e raccontarono quanto accadde e il dramma di chi cercava di arrivare in Italia: Alessandro Leogrande e Dino Frisullo.
Alessandro Leogrande ha raccolto tutto il suo immenso lavoro, di giornalista d’inchiesta e scrittore dotato di una capacità di riflessione culturale e morale probabilmente unica, nel libro Il naufragio. L’affondamento della Kater i Radesh nasce dalla volontà politica del blocco navale e da ordini “impartiti dall’alto – denunciò Alessandro Leogrande, nel 2013 – “al governo c’era l’Ulivo, e il paese era attraversato dalla fobia dell’invasione. L’intreccio tra clamore mediatico per le vittime e volontà di continuare a praticare le politiche di respingimento nacque allora. Tale schizofrenia nazionale, che non è solo appannaggio della xenofobia leghista, ci accompagna da oltre sedici anni e ammanta oggi gli stessi discorsi dei maggiori esponenti del governo delle larghe intese”.
Giudizi simili su quanto accaduto in quegli anni, di cui furono vittime anche i migranti uccisi nella strage del Natale precedente, la cui esistenza fu vergognosamente negata per anni in Italia, vennero da Dino Frisullo in un articolo del 20 giugno 2011 su il manifesto. Dopo la strage di Natale, raccontò Dino, “Fu alla porta del primo centrosinistra, in quell’inverno del ’97, che bussammo insieme a Zabiullah, a Shabir Khan e ai tamil giunti da Palermo” per chiedere “il recupero della nave e del suo carico umano, ma anche un ripensamento delle politiche di chiusura”.
Ma rimasero di sasso di fronte alla “totale assenza non dico di solidarietà, ma di umana pietà” perché “ammettere la strage equivaleva a rimettere in discussione la linea della fermezza, che di lì a poco avrebbe colpito e affondato la Kater-i-Radesh”. In quegli anni “con i trafficanti messi in mora e denunciati dalle vittime, con un’opinione pubblica non ancora resa xenofoba, con un governo ai primi passi, quei poveri corpi riemergendo avrebbero potuto motivare una scelta coraggiosa: una nuova politica dell’immigrazione e dell’asilo, che sostituisse legalità e certezza del diritto all’illegalità, alla soggezione, alla morte”.
Non fu così e nacque la fortezza europa, l’immigrazione fu considerata solo una questione di ordine pubblico, di confini da difendere, di un’Italia e un’Europa che mentre si consegnava nelle mani della finanza mondiale, delle multinazionali e della più rapace e brutale globalizzazione dei ricchi considerò poveri, disperati, persone in fuga da guerre, miseria, dittature una minaccia.
E arrivarono i lager per migranti conditi da abusi, violenze e turpi traffici, gli anni del Regina Pacis e di tanti altri non luoghi disumani. Dino nel 1997 della strage della Kater i Radesh quasi da solo documentò e denunciò in maniera scrupolosa e completa le holding degli schiavisti che sfruttavano (e sfruttano tutt’ora) il dramma dei migranti, i governi italiani si inventarono leggi per le quali (scritto nero su bianco in una sentenza di assoluzione di Cesare Lodeserto, il padrone del Regina Pacis) chi si intascava soldi pubblici per la gestione dei centri poteva anche lucrarci sopra perché non aveva obblighi di rendicontazione.
Chi favorì quindi il “business dell’immigrazione”, chi fu complice di mafie e schiavisti, chi lottava per la giustizia e chi la calpestava? Una domanda che, lustri dopo e quando l’isteria denunciata da Alessandro Leogrande è peggio che egemone, andrebbe posta ancora oggi. Abbiamo avuto i Cara, come Mineo, centri sorti ovunque e in ogni regione, la lista degli abusi e delle violenze mentre alcuni portafogli si gonfiavano aumentare. E in tutto questo troppi cavalcare l’odio per il migrante, il proliferare (lo vediamo anche in queste settimane) di ogni bufala, menzogna e nefandezza mentre si era complice o si taceva dei nazisti e dei mafiosi che si sono arricchiti.
Mafia Capitale ne è stato uno degli emblemi: da una parte è diventata l’occasione per una certa propaganda razzista, neofascista e securitaria di criminalizzare la solidarietà, scatenare vere e proprie cacce al migrante mentre dall’altra si difendeva l’ex sindaco post fascista ma non troppo di Roma, si favorivano appalti e affidamenti diretti a determinate cooperative (realmente invischiate nel reticolo affaristico-criminale) e si proseguiva sulla stessa identica strada.
Fino a foraggiare con miliardi di euro un dittatore Erdogan, ormai impegnato in una guerra da “soluzione finale” nazista contro i curdi o i più efferati criminali come Bija in Libia. Sui decreti indegnamente definiti “sicurezza” ci sarebbe da scrivere tantissimo, negli ultimi anni sono state centinaia se non migliaia le denunce documentate di associazioni, movimenti, organizzazioni umanitarie. Alcune, anche negli ultimi mesi, hanno svelato l’ipocrisia e i veri effetti di misure che hanno buttato in mezzo una strada senza alcuna tutela migliaia di migranti, cancellato esperienze reali di integrazione e solidarietà e favorito lo stesso business alla base di “mafia capitale” e tanti altri della stessa natura affaristico-criminale.
Il 17 febbraio scorso è stato pubblicato il terzo capitolo, dedicato alla distribuzione e alle dimensioni dei centri in Italia, di Openpolis e ActionAid. Secondo Fabrizio Coresi di Action Aid si è andati sempre più, anche dopo le modifiche apportate negli ultimi mesi, “in una direzione peggiorativa, con ancora meno trasparenza”, l’adeguamento con l’ultimo capitolato per i bandi di gara di inizio febbraio “si adegua alle richieste dei grandi attori del mercato” e “apre a grandi gestorie all’immissione di capitali esteri. Spinge sugli oligopoli, sulle multinazionali del sociale, sui grandi centri che possono fare economia di scala”.
E infatti a Roma ci sono segnalazioni che la quasi esclusiva è di un’unica maxi società invischiata e intrecciata con una delle principali cooperative coinvolta nell’inchiesta Mondo di Mezzo romana. E in Abruzzo, dopo che un discusso consorzio campano ha dismesso molti CAS, è subentrata la stessa società che gestisce un Cpr a Milano e altri centri in tutta Italia.
E un caso clamoroso relativo alla stessa società viene sempre dalla Lombardia dove anni fa un’inchiesta della magistratura ha documentato che intascati i soldi pubblici non veniva fornito nessun servizio per l’integrazione dei migranti per cui venivano erogati i fondi e, addirittura, i migranti venivano sfruttati come muratori in nero per la costruzione di un immobile abusivo. Nonostante varie segnalazioni gli urlatori e odiatori contro i migranti, quelli che in questi anni hanno scatenato campagne quasi sempre menzognere e indegne al grido “basta col business” sono ovviamente rimasti in silenzio.
E sempre dai CPR parte l’ultima indegnità italica. Con il dilagare del contagio Covid19 su whatsapp, face book e altri social sono piovute copiose bufale di ogni tipo e i migranti sono al centro di molte: non sono contagiati perché tutti palestrati e forti, non sono contagiati perché è in atto un piano di “sostituzione etnica” e c’è un complotto che vuole sterminare gli europei e favorire l’invasione dall’Africa, noi siamo costretti in casa e loro invece bivaccano, spacciano, possono impuniti impadronirsi delle nostre città.
Di queste squallide menzogne se ne sono lette di tutti i tipi e ovviamente ‘l’utonto’ medio ha condiviso compulsivamente senza neanche un attimo provare ad accendere la materia grigia e facendo temere sulla sua reale esistenza. Ma la realtà ha la testa dura e, nonostante il silenzio dei compulsatori di cui sopra e della propaganda mediatica e politica xenofoba, sta emergendo lo stesso. Dimostrando tra l’altro, ancora una volta, quanto le politiche e i decreti “sicurezza” sono tra le più grandi minacce alla stessa.
La campagna LasciateCIEntrare per tutelare la salute e degli degli operatori ha lanciato appelli a “bloccare gli ingressi nei cpr e procedere alla progressiva chiusura dei centri” e “per la sanatoria dei migranti irregolari ai tempi del covid19”.
“In considerazione della diffusione del virus – leggiamo nel primo appello del 13 marzo – nonché della circostanza che i Centri sono, necessariamente e quotidianamente, frequentati da persone che vivono all’esterno (dal personale di polizia e dell’esercito, al personale degli enti gestori, ai mediatori, agli operatori, ai giudici e avvocati), e che non può certo ridursi o evitarsi tale afflusso, nonché del fatto che per quanto a conoscenza degli scriventi (e sulla base delle informazioni diffuse) il pericolo di contagio proviene anche da soggetti asintomatici, anche le misure eventualmente adottabili (autocertificazioni, uso di mascherine, mantenimento della distanza di almeno un metro tra trattenuti e altre persone) non appaiono idonee a scongiurare il rischio che avvengano contagi all’interno. Peraltro, tra i trattenuti non sarebbe certo ipotizzabile, per i limiti strutturali propri dei Centri, ipotizzare l’applicazione delle misure (distanze, misure igieniche, uso di mascherine) previste dalle disposizioni e raccomandazioni nazionali di tutela sanitaria”. “Un contagio – si sottolinea – all’interno della popolazione dei CPR avrebbe conseguenze drammatiche: le condizioni promiscuità renderebbero molto facile la diffusione del contagio nella popolazione trattenuta; molti trattenuti sono affetti da varie patologie, che ne debilitano il corpo, con conseguenti maggiori pericolo anche per la stessa esistenza in vita; un contagio in larga scala non potrebbe essere affrontato con misure di isolamento dei soggetti che risultassero contagiati, sia in quanto non sono normativamente previste aree siffatte, sia in quanto ciò significherebbe concentrare in condizioni di promiscuità, in aree isolate e con privazione dei diritti fondamentali, un numero sempre maggiore di trattenuti contagiati, con conseguente peggioramento delle loro condizioni, non impedendo al contempo la diffusione del virus, e non consentendo la somministrazione di adeguate cure di contrasto agli effetti del virus”.
“Una vera e propria bomba sociale – denuncia Stefano Galieni su Left – – rischia di esplodere negli otto centri di permanenza per il rimpatrio che rimangono aperti nonostante le richieste di chiusura della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Duna Mijatović e di sindaci come quello di Gradisca d’Isonzo”: “si fermano persone in strada e li si porta nei centri, incrementando il rischio di contagio e si risponde o con misure di isolamento dei “nuovi arrivati” o con la garanzia di migliori controlli sanitari che di fatto nei centri (di accoglienza o per i rimpatri) non sono mai avvenuti”.
A Ponte Galeria, Roma, i migranti sono rinchiusi “in stanze da otto persone. A nessuno di loro è stata data una mascherina o i guanti protettivi. Impossibile anche solo pensare di mantenere la distanza di sicurezza negli spazi comuni o nella mensa. E gli operatori sociali e le forze dell’ordine attorno a loro sono nelle stesse identiche condizioni”.