di Karim Metref
29 Aprile 2020
Tra emergenza sanitaria reale e repressione politica, il paese vive un momento molto difficile
La crisi del Corona Virus sta mettendo in grave difficoltà il moribondo sistema sanitario algerino. I numeri dei contagi non sono altissimi, ma il tasso di mortalità è il più alto al mondo: intorno al 14%.
La popolazione, cosciente dei limiti dello Stato, è mobilitata e in molti luoghi assicura tutto il necessario: controllo, sicurezza, solidarietà e sostegno al corpo medico che lotta con mezzi derisori.
Nel frattempo i vertici del governo e dell’esercito sembrano impegnati in ben altro: repressione del dissenso, controllo della scena mediatica da una parte, e purghe e profondi cambiamenti ai posti chiave della sicurezza di Stato. I piani alti sembrano prepararsi a un dopo crisi sanitaria, che si annuncia sicuramente molto più distruttivo della pandemia.
Annus horribilis
Il 2020 rimarrà negli annali del mondo intero come annus horribilis, principalmente per la Pandemia del Covid 19, ma non solo: guerre, siccità, cavallette, tensioni politiche al limite del conflitto nucleare, crollo dell’economia mondiale… Ma nel caso dell’Algeria questa nozione di anno di tutti i disastri è ancora più vera.
Il paese vive una delle siccità più gravi degli ultimi 20 anni. Un anno intero di proteste hanno portando il paese in una fase di forte incertezza e instabilità nel momento in cui la situazione economica è disastrata.
In effetti: le riserve di Gas naturale e di petrolio si stanno esaurendo e lo sfruttamento dei residui rimanenti costa sempre più caro, mentre, a causa dell’arresto di molte attività industriali nel modo, dell’anno particolarmente caldo e della guerra economica tra Russia e Arabia Saudita, il prezzo degli idrocarburi è ai livelli più bassi mai visti dall’epoca della prima guerra del Golfo. Il fronte libico che si è riacceso porta instabilità e insicurezza sui confini Sudest del paese.
Quindi esaurimento delle risorse, instabilità politica, guerra alle porte, aggiungi la malattia e le cavallette che sono arrivate nelle regioni sud del paese, manca solo l’invasione delle rane e hai tutte le piaghe d’Egitto in un anno solo.
La più alta mortalità al mondo
Sul fronte Covid 19, le cifre non sono catastrofiche, almeno così sembra. Al 28 aprile il numero di casi dichiarati è di 3649 per una popolazione di quasi 50 milioni (0,007%). Ma andando a vedere il numero dei morti, qualcosa non quadra. 437 decessi, indicano un tasso di mortalità che risulta tra i più alti al mondo: oltre il 12% (a metà aprile superava i 15%). Con un numero di malati leggermente più alto (4120) il vicino Marocco conta quasi la metà di morti (162) con un tasso di mortalità di soli 3,93 %.
Qui quindi c’è un problema. Anzi, più di uno. I numeri di malati sono probabilmente molto più alti. E le ragioni della dicotomia tra il numero reale e quello dichiarato può essere dovuto a vari fattori: strategia dello stato per nascondere le dimensioni del problema, oppure insufficienza dei controlli. Forse un mix di entrambe le cose, anche se la seconda sembra la più probabile.
La disorganizzazione e la mancanza di mezzi del sistema sanitario fa sì che non ci sia nessun controllo a domicilio. I test si fanno quasi sempre in ospedale. Ma in ospedale, visto il loro stato disastroso si presenta solo chi non ha scelta, chi è veramente mal messo.
Tra mobilitazione popolare e Stato di emergenza militare
In assenza di vera politica statale, in molti luoghi ci si organizza da soli, chi per far rispettare la quarantena, chi per distribuire beni di prima necessità, chi per pulire e disinfettare i luoghi pubblici, chi per confezionare mascherine o fabbricare gel disinfettante, e chi per portare aiuto e sostegno alle squadre mediche che stanno facendo l’impossibile con quasi niente. Ci si organizza ovunque: quartieri, luoghi di lavoro, università, villaggi…
E’ solo grazie a queste mobilitazioni che le misure di contenimento del contagio stanno in qualche modo prendendo forma.
Ma la situazione è difficile e in molte parti del paese cominciano a mancare i generi di prima necessità, cosa che crea code e assembramenti giganti per ottenere qualche litro di latte o qualche chilo di semola. Assembramenti in cui non sono osservate le regole del contenimento come la distanza e che rischiano di rendere quindi vane tutte le altre misure.
Nello stesso tempo, lo Stato che fa? Ebbene fa un sacco di cose. Militarizza il territorio, decreta un coprifuoco che prima era solo serale e adesso è attivo dalle 15 fino alle 7 del mattino. Reprime le opposizioni e soprattutto cerca di riorganizzarsi e rafforzarsi.
Pulizie di primavera ai vertici dell’esercito
Approfittando della chiusura della vita sociale e politica, i vertici dello Stato algerino fanno le pulizie di primavera. Alcuni osservatori attenti parlano di “deGaidizzazione”. Cioè cancellazione della rete di potere del defunto Generale Gaid Salah.
Durante il regno del clan dei Bouteflika, la struttura del potere in Algeria poggiava su 3 pilastri: Presidenza della Repubblica, Esercito e Servizi Segreti. Tre istituzioni rappresentate rispettivamente da Abdelaziz Bouteflika (poi dopo la sua malattia dal Fratello Said), dal Generale Ahmed Gaid Salah e dal Generale Mohammed Mediene (detto Toufik).
La protesta del Hirak iniziata il 22 febbraio 2019, per impedire al clan dei Bouteflika di presentare il presidente moribondo a un quinto mandato consecutivo, portò più forza al pilastro militare e permise al Generale Gaid di far arrestare da una parte il fratello del Presidente, Said Bouteflika, insieme a tutta la cricca di suoi collaboratori, complici e soci in affari, dall’altra parte il Generale Toufik, insieme ai vertici dei Servizi di controspionaggio e sicurezza nazionale. Rimasto da solo al potere, il Generale ha poi piazzato uomini a lui fedeli in tutte le istituzioni.
Ma il Generale Gaid, anche lui vecchio e malato, ha dovuto combattere una guerra su più fronti: contro la famiglia presidenziale e i loro alleati, contro la rete lasciata dentro l’esercito, l’amministrazione e la magistratura dai vecchi padroni dei potentissimi servizi segreti e infine contro il movimento di protesta popolare.
Con questo ultimo la battaglia per imporre la sua roadmap basata solo su un’elezione presidenziale, mentre la richiesta dei manifestanti era di un processo di transizione con costituente e riorganizzazione totale delle istituzioni di Stato, è stata lunga e dura.
Dopo l’organizzazione di una elezione presidenziale rifiutata da buona parte della popolazione, tre giorni dopo la proclamazione dei risultati, il Generale è morto, al termine di una riunione notturna dei più alti gradi dell’esercito. La causa ufficiale della morte è un arresto cardiaco.
Cambiamento e continuità
Alla testa dell’Esercito, e quindi di fatto dello Stato, con la morte del vecchio capo, è arrivato il Generale Saïd Chengriha, già Comandante capo delle Forze terrestri. Una personalità completamente opposta a quella dell’esuberante GAID. Calmo, discreto e poco inclino a intromettersi nella politica. La personalità e lo stile del nuovo capo dell’imponente apparato militare non potevano che portare cambiamenti importanti.
Questi cambiamenti sembrano andare a favore del neo (mal) eletto presidente della Repubblica Abdelmadjid Tebboune. Per molti il nuovo capo di Stato non era altro che una marionetta in mano ai militari. Ma la personalità poco invadente del nuovo Capo di Stato Maggiore e la nuova purga in corso nei servizi segreti potrebbero rafforzare la sua posizione e dargli, se vuole, più forza per dialogare con le opposizioni e trovare una via d’uscita positiva dalla crisi in corso.
Elemento chiave del Puzzle del potere
Gli equilibri politici in Algeria sono costruiti speso come dei veri puzzle, ma hanno sempre alcuni elementi chiave che permettono ai detentori dei veri poteri di non perderne il controllo. Il Generale Wassini Bouazza capo dei Servizi di Sicurezza interna era una di queste chiavi.
Piazzato a dicembre scorso dal Generale Gaid per assicurare il suo controllo sull’apparato amministrativo e giudiziario, la sua caduta nei giorni scorsi è un segno che non lascia equivoci.
In più di questa caduta, gli osservatori attenti della vita politica algerina fanno notare anche la recenti nomine alla testa delle forze terrestri, dei servizi di Sicurezza esterna (Controspionaggio) e di Sicurezza interna dell’Esercito di elementi appartenenti alla rete del vecchio capo dell’intelligence algerina il Generale Toufik.
Così come un sito di informazione appartenente a un ex Generale, Khaled Nezzar attualmente in fuga all’estero, ha parlato del probabile arresto del Generale Abdelkader Lachkham, direttore del Centro di trasmissioni militari. Un’altra delle chiavi della rete di potere del defunto Gaid.
A confermare che la caccia ai membri della rete dei “Gaidiani” sia aperta c’è anche la fuga negli Emirati Arabi dell’ex braccio destro del Capo di Stato Maggiore, il semplice (ma potentissimo) caporale Gharmit Benouira. Fuggito dicono, portando con sé tutto il database privato del Generale.
Verso un riequilibrio dei poteri?
Il ritorno a galla di quella rete che dal 1988 al 2019 ha sistematicamente falsificato ogni risultato politico e ha guidato il paese con manipolazioni, sparizioni forzate, terrore e corruzione, non è certo una buona notizia per chi lotta per più trasparenza e libertà.
Ma le manovre degli ultimi giorni, potrebbero essere solo un riassestamento dell’equilibrio dei poteri. Equilibrio che è sempre stato fondamentale per il funzionamento più o meno corretto delle istituzioni del paese.
Come si sa, spesso la lealtà in politica vale solo finché il leader è in piedi. Quando cade, come è caduto il Generale Toufik, la lealtà è raramente mantenuta da chi vuole rimanere nel giro.
La nomina quindi degli ex di Toufik potrebbe essere una riabilitazione sulla base delle competenze e dell’esperienza, ma per servire un nuovo padrone.
Fin che l’ex boss rimane in carcere, e se viene confermata la sua condanna per alto tradimento e complotto contro l’autorità dell’Esercito Nazionale, la nomina dei suoi ex caporali può essere considerata come una scelta tattica di chi tiene le redini del paese, e le vie per un dibattito aperto e inclusivo potrebbero in qualche modo aprirsi e portare a qualche miglioramento del clima politico nel paese.
La linea dura adottata durante le ultime settimane, con arresti e condanne di attivisti e giornalisti e censura di organi di informazione, sarebbe in tal caso attribuita ai soli fedeli al Generale defunto. E il Presidente, rafforzato nei suoi poteri potrebbe giocare la carta della riconciliazione e del dialogo.
Se invece esce e viene riabilitato il vecchio lupo dei servizi, vorrà probabilmente dire che il vecchio Clan dei generali degli anni 90 è tornato a far parte della santa trinità algerina e che la partita si giocherà tutta contro le opposizioni. E in tal caso il Hirak dovrà veramente spendere sforzi giganteschi e affrontare una repressione spaventosa, se vorrà continuare il suo cammino verso la modernizzazione e la liberazione del paese.