24 Marzo 2020
Per la prima volta, causa pandemia, le madri non vanno in piazza. Ma non si fermano
E’ stato un 24 marzo decisamente particolare ieri in Argentina. Per la prima volta il Giorno nazionale della Memoria per la Verità e la Giustizia non è stato celebrato con la storica marcia in
Avenida de Mayo, a Buenos Aires, caratterizzata dal clima compatto di rabbia, dolore, commozione e lotta per il futuro in cui migliaia di persone ricordano, al grido di Nunca màs – Mai più – l’inizio, 44 anni fa, della dittatura di Videla.
Per la prima volta Plaza de Mayo non è risuonata dell’urlo collettivo e emozionato Presentes!, in ricordo dei 30mila giovani desaparecidos, uccisi e fatti sparire nei centri clandestini, nei campi, nelle acque del Rio de la Plata. E’ la prima volta che succede in 37 anni, da quando nel 1986, a soli tre anni dalla fine del sanguinoso regime, ci fu la prima manifestazione, che vide 5mila persone in piazza.
L’emergenza Covid19 è calata anche su questa giornata storica. Il Corona virus è infatti arrivato anche in Argentina, e il governo di Alberto Fernandez insediatosi a dicembre ha previsto misure di “isolamento sociale preventivo e obbligatorio” , sancite nel ‘Decreto di necessità e urgenza 297/2020’.
Ma la memoria non si può bloccare. E così diverse associazioni, prima fra tutte le Abuelas de Plaza de Mayo, insieme a, fra le altre, Madres de Plaza de Mayo Línea Fundadora, H.I.J.O.S. Capital, Lega argentina per i diritti umani, Centro di studi legali e sociali CELS, hanno pensato a un modo diverso di manifestare ed essere presenti, utilizzando il simbolo di sempre: il pañuelo bianco, con cui nel 1977 le Madri di Plaza de Mayo si coprirono il capo in ricordo dei figli scomparsi durante la dittatura, manifestando in piazza, con fermezza e coraggio, in pieno regime, il proprio dolore e dissenso.
“A 44 anni dal golpe genocida la situazione ci impone di non marciare”, affermano le Abuelas – le nonne – di Plaza de Mayo, associazione creata nel 1977 da un gruppo di donne alla ricerca dei nipoti, i figli dei propri figli desaparecidos dalla dittatura: oltre 500 persone strappate ancora in fasce ai legittimi genitori come “bottini di guerra”, spiegano le Abuelas, ricordando che “alcuni sono stati dati alle famiglie dei militari, altri abbandonati, altri ancora venduti”.
Un lavoro che continua incessante, ridando un’identità a tantissime persone cresciute spesso con gli aguzzini dei veri genitori. 130 i nipoti ritrovati dalle Abuelas finora, in una lotta che prosegue. “Facciamoci vedere. Riempiamo la giornata e il paese di fazzoletti bianchi, facciamoli sventolare dalle finestre e dai balconi, appendiamoli sulle porte di casa. Di tela, di carta, come si desidera: ma che ci sia”, affermavano il giorno prima le associazioni, sollecitando tutti ad aderire a questa nuova forma di manifestare.
La risposta è arrivata, e il pañuelo ha assunto un protagonismo ancora più forte, anche grazie alla tecnologia. L’hashtag #PañuelosConMemoria ha accompagnato la giornata, durante la quale migliaia di persone hanno diffuso in rete video e fotografie.
“La decisione di non scendere in piazza ci ha sconvolti, perché la piazza è il luogo dove ci incontriamo da 37 anni. Ma questo momento lo costruiamo insieme, è del popolo: e ora come popolo dobbiamo esserci l’una per l’altro. E’ necessario che la gente curi la salute pubblica in modo collettivo, e la decisione di non essere in piazza ha a che fare con questo: con la solidarietà. Anche perché le Madres e le Abuelas fanno parte della popolazione a rischio. E noi dobbiamo prenderci cura di loro”, spiega Giselle Tepper di H.I.J.O.S. Capital, dichiarando: “Decidiamo di non scendere in piazza per evitare il contagio. Ma lavoriamo per contagiare la lotta, affinché ciò che è avvenuto con Videla non si ripeta”.
Oltre alle iniziative sui social networks, Abuelas, CELS e Memoria Abierta hanno lanciato ‘desclasificados.org.ar’, un sito web in cui “sono accessibili i documenti legati alla dittatura di Videla, consegnati l’anno scorso dal governo degli Stati Uniti all’Argentina”.
Come evidenziano i promotori, si tratta di un progetto “di collaborazione con la Facoltà di Scienze Sociali e Comunicazione dell’Università di Buenos Aires, del Centro Antonio Gramsci, e del Centro di traduzione Lenguas Vivas”. La piattaforma web è di fatto lo spazio virtuale di un’indagine in
costruzione che coinvolge 4903 documenti, finalmente declassificati dopo la consegna avvenuta solo l’anno scorso da parte degli USA. Già 1000 i documenti indicizzati, in questo atipico ma sentito 44° anniversario della Memoria.