Potrebbero essere molteplici i modi di ricordare Franco Battiato così come sono molteplici le “vite parallele” che egli ha vissuto in una sola eccezionale esistenza. La sua morte potremmo sicuramente rappresentarla come l’ultimo suo attraversamento di cui siamo a conoscenza.
L’attraversamento è stata la cifra della sua vita da quello dello stretto di Messina per emigrare a Milano, a quello dei generi musicali, delle modalità di espressione artistica, delle culture, delle scienze e delle filosofie.
Ciò che mi ha sempre colpito di Battiato è il suo essere libero come artista e come intellettuale. Oggi la sua figura enciclopedica si staglia su un paesaggio fatto di un sostanziale conformismo da supermercato globale che condiziona i pensieri e la vita di tutti.
Il suo è stato un andare non contro ma oltre le mode, al di là degli schemi mentali precostituiti, degli stereotipi. E lo ha mostrato nel lungo periodo sperimentale, nell’apporto di echi classici nella popular music, nella creazione di una forma canzone colta e filosofica, nel proporre musica spirituale ad un pubblico leggero.
Tra le tante cose che mi piace ricordare c’è la forza filosofica delle canzoni nelle quali concetti di alto valore venivano resi popolari grazie al suo talento comunicativo. Un musicista filosofo che è entrato nella mente e nel cuore di tante persone che ne hanno apprezzato non solo la poetica ma anche la profondità delle visioni.
Un intellettuale che scardinava il comune modo di pensare e che con pochi riferimenti apriva piste nella mente e nel cuore dell’ascoltatore.
Lo sperimentalismo iniziale in realtà non lo ha mai abbandonato e si è manifestato in ogni sua opera, fosse essa un quadro, una canzone, un film.
Quando avevo 13 anni una televisione privata locale trasmetteva spesso il video dell’Era del Cinghiale Bianco e prima di andare a scuola la ascoltavo facendo colazione e mi colpiva molto quel testo e quella melodia che descriveva mondi lontani ma suggeriva contemporaneamente profonde appartenenze interiori.
Da quei giorni non lo mollai più e ne seguii l’evoluzione comprando i dischi perché ne intuivo un potenziale evocativo che alludeva ad altri livelli di coscienza.
In questo senso il suo sguardo sulle cose era spesso fuori dalle solite prospettive, in questo senso è stato un vero artista ed intellettuale, che ha saputo far scorgere l’invisibile oltre la banalità del visibile.
Come molti posso, quindi, dire che Battiato è stato un elemento fondamentale per la mia educazione sentimentale, non penso che sarebbero nati gli Al Darawish e poi i Radiodervish se non ci fosse stato lui che già indicava con tanta chiarezza i numerosi fili nascosti che fanno dialogare culture lontane.
Una predisposizione alla curiosità per le culture altre che, nel mio caso, ha favorito il consolidarsi di amicizie con gli studenti arabi dell’Università di Bari che ha coltivato e formato negli anni una sensibilità artistica particolare.
Nel tempo è stato un onore poter ricevere il suo generoso contributo nella Messa Laica per Don Tonino Bello, la sua regia del videoclip di Amara terra mia e la sua amorevole e attenta supervisione del nostro percorso artistico. In diverse occasioni si è mostrato curioso delle nostre umili cose compresa la partecipazione nella canzone Lontano nel tour Diwan ed eseguita dal vivo insieme a Nabil.
Fino alla fine la sua ricerca non si è fermata davanti a nulla e anche la morte per lui è diventata una terra di esplorazione attraverso viaggi, esperienze interiori, incontri con uomini straordinari, che hanno prodotto il materiale per il suo ultimo film. Ho avuto modo di parlarne con lui a lungo quando l’ho invitato a presentare appunto Attraversando il Bardo a Bari nel 2015 e condividendo la sua intima consapevolezza che la morte è solo un passaggio verso altri mondi.
Nella eredità immensa che ci ha lasciato Franco Battiato vedo anche la nascita di una sorta di cenacolo de facto della “canzone spirituale” italiana che conta numerosi artisti come Juri Camisasca, Alice, Giuni Russo, Roberto Cacciapaglia ed altri.
Ma il lascito più prezioso, per me, è che Franco Battiato ha incarnato il modello dell’uomo rinascimentale aperto a tutte le manifestazioni artistiche, scientifiche, spirituali e filosofiche. Un paradigma che oggi dovrebbe tornare ad essere praticato per rimettere in circolo un sapere sclerotizzato e chiuso in compartimenti che non comunicano tra di loro.