Biografia di una statua

di

10 Giugno 2019

130 anni di Giordano Bruno a Campo dei Fiori

Quando ci si trova davanti alla statua di Giordano Bruno, in Campo dei Fiori a Roma, di solito si prova una specie di disagio. lo si prova anche senza sapere chi sia Giordano Bruno, o che quel frate, in quella piazza, fu bruciato vivo nel 1600.

Il disagio è perché comunemente le statue commemorative immortalano i personaggi a cui sono dedicate in pose fiere, nobili, auto compiaciute. Invece quella è una statua rabbiosa.

Lo sguardo è accigliato, difficilmente visibile per via del capo coperto, e l’atteggiamento con le mani incrociate sul davanti è di totale chiusura. Si capisce allora che si è di fronte a un’eccezione. Si cerca su Wikipedia e viene fuori che è una statua in bronzo, opera di Ettore Ferrari, eretta il 9 giugno 1889. Ma non è questo ad essere eccezionale.

9 giugno 1889

Per capire l’eccezionalità di cui stiamo parlando, conviene citare l’episodio raccontato da Massimo Bucciantini nel suo Campo dei Fiori. Storia di una statua maledetta, libro di 320 pagine interamente dedicato alla vicende toccate al monumento in questione.

La notizia è quella di un ragazzino di 16 anni che il giorno in cui la statua deve essere inaugurata sale su un treno proveniente da Ancona e diretto a Roma.

“Si nasconde aggrappandosi ai tubi del gas per l’illuminazione posti sotto le carrozze di prima classe. Prosegue poi il viaggio mescolandosi ai tanti manifestanti diretti a Roma. Ma arrivato a destinazione viene scoperto dagli agenti di polizia e subito rispedito a casa. […] Al commissario di polizia che gli chiese perché si fosse avventurato in un viaggio così pericoloso rispose semplicemente ‘perché volevo vedere le feste a Giordano Bruno’.”

La festa, quel 9 giugno di 130 anni fa, fu inattesa e incredibile. “Difficile ricordare qualcosa di analogo”, spiega sempre Bucciantini. Fra le 50 e 80mila persone arrivate da tutta Italia e altre parti d’Europa per vedere il monumento finalmente eretto.

Folle simili si erano avute solo per il pellegrinaggio alla tomba di Vittorio Emanuele nel 1884, o per i funerali di Garibaldi nel 1882. Il giorno successivo parlarono di quanto accaduto il Times, il Daily Chronicle, il Daily Telegraph, il New York Times, Le Figaro e addirittura giornali
australiani e neozelandesi.

Ma come fu possibile un clamore simile per l’erezione di una statua ad un filosofo fino a qualche anno prima misconosciuto a gran parte degli italiani? Fu possibile perché per erigerla, a Roma, nella città del Papa, proprio li dove quasi 300 anni prima la chiesa aveva ordinato di ardere Bruno l’eretico, che si era rifiutato di abiurare, ci vollero 13 anni.

Tredici anni in cui ‘l’affaire Campo dei Fiori’ fece emergere le anime di due Italie: da un lato quella laica e radicale, dall’altro quella del più intransigente clericalismo. La statua insomma svolse bene il suo ruolo di statua e divenne simbolo, e così, una questione di principio.

Tredici anni

Una prima statua in memoria di Giordano Bruno in realtà era già stata eretta nel 1849, durante la breve esperienza della Repubblica Romana di Giuseppe Mazzini, statua poi subito abbattuta da Papa Pio IX. A riprovarci nel 1876 furono due studenti de La Sapienza, Alfredo Comandini e Adriano Colocci, 23 anni il primo e 21 il secondo, i quali fondarono un Comitato ‘allo scopo di edificare un monumento a Giordano Bruno’, mettendo in moto una storia più grande di loro.

Molto più grande di loro. Lo divenne soprattutto quando a un libertario anticlericale francese, Armand Levy, esule in Italia poiché implicato nei fatti della Comune di Parigi, amico di Comandini e Colocci, venne l’idea che la statua sarebbe dovuta sorgere in Campo dei Fiori, a un passo dal Vaticano, in una delle piazze più popolari della città. A quel punto guerra fu.

Una guerra sfiancante, di posizione, fatta di autorizzazioni, permessi, delibere, concessioni, sottoscrizioni, mozioni, interpellanze, che alla fine del primo tempo vide in vantaggio i clericali.

Il primo comitato infatti cessò di esistere nel marzo del 1880. Il secondo tempo cominciò nel 1884 grazie a un misterioso studente bolognese, Giuseppe Vernazzi, di cui molto poco si sa, che ritirò fuori il sogno dal cassetto fondando un secondo comitato. Questa volta, forse grazie al mutato clima politico, e ad un approccio più furbo e consapevole, il tutto da subito prese la giusta piega.

L’appello per l’erezione del monumento fu sottoscritto da intellettuali come Hugo, Bakunin, Ibsen e dagli italiani Bovio, Carducci, Lombroso, Villari, ma più di tutto giovò il ritorno al potere di Francesco Crispi, anch’egli firmatario.

Crispi, Presidente del Consiglio nel 1888, sollevò il sindaco di Roma Torlonia dal suo incarico per l’esagerato attaccamento alle istituzioni ecclesiastiche. Le elezioni di giugno a quel punto furono tutte incentrate attorno alla questione della statua. Le vinsero i liberali e così, dopo 13 anni dalla prima richiesta, venne dato il nullaosta definitivo.

Vittoria

Tornando a quel 9 giugno, il corteo partì da stazione Termini e si concluse in Campo dei Fiori, svolgendosi in una Roma completamente militarizzata per paura di disordini. Del resto i  manifestanti non erano proprio dei mansueti chierichetti. Anarchici, socialisti, radicali, anticlericali, massoni, “1970 bandiere, 34 concerti, 2000 associazioni”.

Ma tutto andò avanti nel migliore dei modi. Una volta in piazza, davanti alla statua finalmente inaugurata spettò a Giovanni Bovio tenere il discorso commemorativo. Fu un discorso sentito e
retoricamente perfetto, che innalzò Bruno a simbolo della nuova religione del pensiero, contrapponendolo a quella dogmatica del cattolicesimo. Eppure le sorprese non finirono lì.

Quella più commovente ci fu la sera, durante il rinfresco finale per le autorità al Palazzo delle Esposizioni. A un certo punto Adriano Colocci, fondatore del primo comitato, prese la parola. Estrasse dalla tasca una lettera datata 20 giugno 1876, spedita a Roma da Caprera, e lesse: “Possa il monumento da voi eretto al gran pensatore e martire essere il colpo di grazia alla baracca di cotesti pagliacci che villeggiano sulla sponda destra del Tevere. Vi mando lire 5 pel monumento, e sono per la vita, vostro… Giuseppe Garibaldi”.

Al successo così si aggiunse la consacrazione: la vittoria dell’Italia laica, a quel punto, in quel frangente, fu definitiva.

Controffensiva cattolica

Agli apparati cattolici la cosa non andò giù assolutamente. Definirono subito quella statua ‘lo sfregio’ alla città eterna.

Papa Leone XIII passò l’intera giornata dell’inaugurazione in preghiera, poi minacciò che
avrebbe lasciato Roma per stabilirsi in Austria. Ma Crispi non batté ciglio. Per il 10 giugno, da parte cattolica, fu convocata una contro manifestazione promettendo speciali indulgenze a chi avrebbe partecipato: decine di migliaia di persone vi presero parte. Il 30 giugno, sempre Leone XIII convocò un concistoro e dedicò alla questione della statua addirittura un’enciclica, ossia “una lunga, feroce e implacabile invettiva”.

Ma il monumento, così posizionato, aveva assunto la sua posa naturale e non ci fu più verso di spostarlo. Non si riuscì neanche anni dopo, con i Patti Lateranensi.

L’abbattimento della statua fu un punto che la Chiesa provò a inserire nel concordato, ma Mussolini si rifiutò. “La statua di Giordano Bruno, malinconica come il destino di questo frate, resterà dove è. […]Ormai ho l’impressione che parrebbe di incrudelire contro questo filosofo, che se errò e persisté nell’errore, pagò”, disse il dittatore.

La statua viva

È così che oggi, 130 anni dopo, quella statua è ancora lì. E forse il modo migliore per rendere evidente la portata del pensiero di Giordano Bruno, quel mirabile capolavoro che fu la sua vita e la potenza del suo coraggio, è proprio parlare delle vicende capitate alla statua che lo ritrae. Una statua che ha messo radici nella parte maledetta del Paese, che dunque si è alimentata e per questo risulta viva.

Una statua divenuta simbolo di emancipazione, usata a mo’ di sorgente di senso ogni volta che l’Italia abbia provato ad andare oltre se stessa. Una statua che mette a disagio poiché è lì a testimonianza di un sacrificio a cui la maggior parte della gente che la guarda, in tutta onestà, non sarebbe disposta. È una statua che sfida, e a chiunque la rimiri, da più di un secolo, continua a dire quel che Bruno disse ai giudici del tribunale nel momento in cui lo condannarono a morte: “Avete più paura voi”.