Bolivia, il futuro è incerto

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16 Novembre 2019

La risposta dei movimenti indigeni

La crisi boliviana prosegue vorticosamente. In una situazione complessa, in movimento e con diversi attori in campo dove a giocare la parte dei golpisti sono i soggetti di destra che per diverse ore mancavano del golpista, il golpista, meglio la golpista è finalmente arrivata.

Martedì, più o meno 48 ore dopo la “rinuncia” di Evo Morales, Jeanine Anez, vicepresidentessa del Senato, in una riunione parlamentare che mancava del quorum, si è autoproclamata presidentessa. A metterle la fascia tricolore, mentre teneva la bibbia in mano, un militare.

Il nome di Jeanine Anez girava da giorni, dal momento in cui oltre all’ex presidente, via via, in diretta televisiva o via social, le altre cariche del governo Morales annunciavano di rinunciare al loro ruolo. Così la vicepresidentessa del senato diventava la più titolata alla carica.

Da un punto di vista formale, però, è il parlamento che avrebbe dovuto, prima, validare il vuoto istituzionale e, quindi, eleggere un nuovo presidente. Il dettaglio non è secondario. Lo stress alle maglie del diritto diventa l’esplicitazione del golpe. Tanto che a riconoscere la Anez, oltre agli USA di un festante Trump, è arrivato Guaidò.

La risposta del Mas è stata quella di tentare di riportare in parlamento la presidentessa del Senato. Forze di polizia hanno a lei vietato di entrare, ma poche ore dopo i masisti sono riusciti ad entrare nella camera dei deputati, fare una seduta e eleggere il nuovo presidente della camera.

Il primo atto dell’autoproclamata presidentessa è stata cambiare gli alti gradi dell’esercito, forza considerata vicina a Morales. Poi istituire un governo, senza alcun voto parlamentare. Il risultato è che le forze militari sono scese in strada definitivamente, sono iniziati rastrellamenti e spari. E si iniziano a contare i morti.

Il colpo di stato, ora, è servito. Evo Morales, intervistato dalla radio di Uruguay, nel suo esilio in Messico dov’è arrivato martedì mattina, dice “fino a domenica, prima delle mie dimissioni, non ci sono stati morti, dal giorno seguente già due o tre. Non si capisce come la polizia e le forze armate, con gli oppositori, decidano di uccidere il popolo boliviano”.

La ministra della comunicazione del “nuovo governo Anez”, Roxana Lizárraga, ha dichiarato “la legge boliviana sarà applicata contro quei giornalisti o pseudo-giornalisti che stanno facendo sedizione, sia nazionali che stranieri” . La ministra ha chiesto un “giornalismo di onestà” ed evitare lo “sconvolgimento sociale” alimentato, secondo lei, da Evo Morales.

Giovedì 14 novembre migliaia di persone sono arrivate a La Paz per pretendere che l’autoproclamata presidentessa si dimetta. Lo scontro, in Bolivia, è variopinto, come i colori della Whipala, e va oltre la polarizzazione tra i sostenitori di Morales e la destra golpista boliviana.

Indigeni e movimenti sociali denunciano, con forza, il rischio di fascistizzazione con il golpe in corso. Pur restando critici con il governo Morales, per le sue forzature costituzionali e per le politiche estrattiviste del MAS e le questioni di genere i movimenti rispondono alle mosse razziste e classiste della destra e ad esse si oppongono con nettezza, forza e dignità.

Se il colpo di stato non è finito, e la trattativa tra i filo Morales e la destra è iniziata, probabilmente è perché una consistente parte della Bolivia indigena, campesina e non polarizzata, è stata attrice fondamentale delle proteste attorno al voto del 20 ottobre e poi ha rifiutato con forza, dignità e coraggio, il tentativo delle destre di prendere il potere. Una massa convinta a guardare avanti, con la certezza di non volere tornare a quando gli indigeni e le indigene erano escluse.

Martedì 12 novembre, in una La Paz quasi deserta, dove a prendere le piazze e le strade sono stati quasi solamente i movimenti indigeni che con la Whipala in mano hanno rotto il “blocco” che si potrebbe definire un “coprifuoco della paura”, si è svolta la prima assemblea pubblica del “parlamento delle donne di Bolivia”. La sala è quella di un cinema, e nonostante militari, posti di blocco, polizia ed elicotteri, è piena.

Intervengono in tante. La riunione è importante e carica di forza, coraggio e dignità. Desinformemonos riporta molti interventi, mentre Radio Deseo e i social media trasmettono l’incontro in diretta. Yolanda Mamani dice “Voglio dire che la lotta delle popolazioni indigene non è iniziata con il presidente Morales, così come le sue dimissioni non sono la fine della nostra lotta. Siamo donne in lotta, quindi continueremo” – e poi aggiunge – “È vero, in questi giorni mi sono sentita male. Tutti gli slogan della destra sono razzisti, classisti, misogini, sessisti. Camacho usa chola come insulto. Essere chola è un modo di vivere, è una forma di ribellione. Quando ero più giovane, la gente mi diceva: “Sei una chola di merda”. E questo mi ha dato la forza di dire: “Sì, sono chola, e allora?” È un modo per ribellarsi, indossando gli abiti tradizionali, di fronte a una società che non vuole vederti. Essere chola è idea. Chola non è ornamento o un paesaggio di sfondo, come professato dal governo Morales. Essere chola è idea, ribellione e pura dignità”.

A chiudere l’importante consesso femminista, è stata la sua fondatrice, Maria Galindo “Abbiamo paura, ovviamente. Le donne conoscono la paura e grazie alla capacità di avere paura ragionano molte volte sui fatti. Oggi, come atto di disobbedienza e ribellione, abbiamo pensato molto insieme, davanti al cielo pieno di aeroplani, le strade militarizzate e il paese in procinto di cadere sotto una dittatura fascista e razzista. Vogliono metterci all’angolo, vogliono intimidirci, vogliono zittirci. Nella disobbedienza contro la fascistizzazione della società boliviana e della regione – perché questo non è un problema che finisce ai confini boliviani – e contro la privatizzazione della politica, che è la ragione per cui ci troviamo in questa crisi profonda, noi ora usciamo dalla porta principale. La machocrazia non è democrazia! Mille Grazie”.