di Andrea Cegna
23 Ottobre 2020
Il Movimento Al Socialismo torna al potere, nonostante le spaccature lasciate in eredità da Morales
Con il 95,2% delle schede scrutinate (fino a giovedì 22 ottobre 2020) il Mas, Movimento Al Socialismo, vince le elezioni boliviane con il 54% delle preferenze. Luis Arce diventa così il nuovo presidente del paese.
Il Mas è il primo partito sia alla Camera che al Senato, ma se nel primo ramo del parlamento potrebbe raggiungere il numero di 19 deputati, e quindi avere la maggioranza, alla Camera quasi certamente dovrà trovare forme d’alleanza per avere i 66 voti necessari.
Un nodo, forse è questo che ha spinto, nella regione di Santa Cruz, feudo elettorale del golpista Camacho, parte delle opposizioni a scendere in piazza contro il voto di domenica 18 ottobre.
Una giornata storica e inaspettata. Nessuno o quasi pensava che si sarebbe parlato di numeri e percentuali, tutti pronti a raccontare di tensioni e violenze. Invece no. Certo qualche scontro l’abbiamo visto, così come il fermo di un paio di giornalisti, ma nulla di solo vicino a quanto ci si aspettasse dopo che l’anno scorso la legittima elezione di Evo Morales a presidente fu spazzata via da un colpo di stato violento e assolutamente anomalo.
Le destre boliviane guidate da Camacho, speculando sulla forzatura anti-costituzionale di Morales di candidarsi nuovamente come presidente, dopo aver perso il referendum di riforma costituzionale del 2016, riempirono le piazze l’indomani del 20 ottobre 2019, si inventarono brogli per “giustificare” la distanza di qualche decimale percentuale esistente tra il conto rapido dei voti e lo spoglio ufficiale.
Morales aveva vinto. Ora lo sanno tutti e tutte, a parte l’Organizzazione degli Stati Americani guidata da Almagro, e aveva vinto in maniera pulita.
Il golpe però calò sulla Bolivia. A fermarlo non fu Evo, che salì su un aereo in direzione Città del Messico e poi Buenos Aires, ma fu il popolo di Bolivia che per le strade gridava “Ni Añez Ni Evo”.
Tanto che alcuni che saranno in piazza contro il golpe erano stati anche nelle piazze contro il (non) broglio di Morales. Dopo le imponenti manifestazioni di El Alto e La Paz, dopo gli scontri a Cochabamba, dopo i morti e le ribellioni il progetto delle destre si è trasformato in poco più di un governo di transizione, per quanto l’auto proclamata presidentessa Añez abbia legiferato più del dovuto oltre ad aver operato la trasformazione del Tribunale Supremo Elettorale (TES) e dei vertici delle forze armate.
A distanza, e con gli scambi avuti in quest’anno, mi pare che si possa sostenere che Arce ed il Mas abbiano stravinto le elezioni 2020 non grazie a Evo Morales ma nonostante Evo Morales. Anche perché Morales non voleva come candidato a vice-presidente David Choquehuanca, invece proprio la candidatura dell’indigeno ha fatto crescere nelle zone rurali il voto del Mas in maniera decisiva per garantire il successo.
Una frattura quella tra Morales e una parte del partito nata già attorno al referendum del 2016 e mai rimarginata: l’assenza di Morales e le imposizioni dal basso della componente indigena hanno invece creato un collante tra le diverse anime del partito, ritrovando unità e allargando i consensi dove i 14 anni di governo Morales Linera li avevano fatti perdere. Le organizzazioni indigene avrebbero voluto Choquehuanca candidato presidente, ma nella mediazione delle parti, per non spaccare nuovamente il Mas, hanno accetta la mediazione.
Anche il neo presidente ha mostrato questa distanza rispondendo con freddezza alle domande sul possibile ritorno in patria dell’ex presidente.
La vittoria di Arce – Choquehuanca è una vittoria contro le destre ma anche contro il verticismo interno al Mas. Non è detto che questo basterà per recuperare le fratture con le aree più radicali dell’indigenismo e della società boliviana, ma se il neo-presidente eviterà che ci siano tensioni proprio con quello spazio a sinistra e riprenderà una sorta di dialogo tra diversi allora potrebbe anche accadere una terza magia, dopo la strabiliante vittoria elettorale e lo svolgimento pacifico delle elezioni.
Di fatto una parte del golpe è stato assecondato dalla nuova borghesia nata grazie alle scelte economiche del Mas, una nuova borghesia che si è trovata poi colpita da alcune scelte dell’ultimo governo Morales, ora quindi il coraggio di accettare e sviluppare percorsi di autonomia e autogestione e quindi far crescere il peso dei movimenti sarà la chiave del successo del binomio Arce – Choquehuanca, così come la loro capacità di trovare una mediazione con il proseguimento del percorso iniziato nel 2005.
La vittoria elettorale di fatto rappresenta la ripresa di un percorso di cambiamento con l’accettazione del dibattito e scontro interno su come questo deve avvenire. Su questo, ed in questo, peseranno e molte le scelte di Morales e Linera che, probabilmente, sanno di non essere figure d’unione dentro le maglie delle sinistre plurinazionali di Bolivia.
Resterà certamente da capire come e perché le destre golpiste 365 giorni dopo aver preso il potere, tolto la whipala (bandiera simbolo dei popoli nativi) dai palazzi governativi, manifestato con la Bibbia in mano e preso il controllo del TSE e dell’esercito abbiano lasciato spazio alla loro sconfitta elettorale.
La grande domanda a cui occorrerà trovare una risposta è questa. Mesa, Camacho e la Añez non solo non sono riusciti a trovare una sintesi politica dopo aver cacciato manu militari Morales ed il Mas, ma hanno governato in maniera pessima i dieci mesi a loro “regalati” dall’arroganza di Morales.
Sono convinto che se Evo non si fosse candidato del 2019, il Mas avrebbe comunque vinto le elezioni, non solo, avrebbe tolto alle destre quasi tre anni di campagna elettorale sul rispetto della costituzione e della legalità. Le destre sconfitte hanno riconosciuto Arce ed il Mas.
Camacho ed i suoi provano a fare un po’ di rumore a Santa Cruz. Ma la sconfitta per loro è totale. Sotto ogni punto di vista. Una sorta di Guaidò in salsa boliviana, ma con l’aggravante di aver avuto le redini del paese per dieci mesi.
Si potrebbe certo pensare che “avendo il polso” della situazione avessero ben chiaro di non aver margini per governare se non con l’uso della forza e della violenza, ma nella storia sud americana i golpe sono sempre stati segnati da violenza e forza.
Lo capiremo e lo studieremo, perché da quella comprensione passerà molto della tenuta democratica della Bolivia, ma per ora guardiamo al trionfo del Mas, delle sue espressioni dal basso e così alla ripresa di un percorso di trasformazione che stava cadendo nella trappola dell’uomo solo al comando.