Casa Covid. In quarantena, aspettando Godot.

di

19 Aprile 2021

Una quarantena come le altre, in una famiglia come le altre

Giorno 22
E’ di nuovo lunedi’ e piove a dirotto. Finalmente e’ arrivata una squadra Acea che sta spaccando il marciapiede intorno al palazzo alla ricerca del guasto elettrico. Chiamo la pediatra e la DDB per avere le ricette per i tamponi. L’ASL non mi chiama da giorni, altrimenti li avrei fatti prenotare direttamente da loro. Decidiamo per di li’ a due giorni. A me sembra di non aver mai starnutito e tossito cosi’ tanto, e mi metto a fare inalazioni di vapore e bicarbonato mentre va in onda l’ultima puntata di Montalbano.

L’Ama stavolta chiama sia me che Marito, senza realizzare – dopo sole tre settimane d’altronde – che siamo nello stesso nucleo familiare e abbiamo lo stesso indirizzo. “Avete immondizia da buttare? Passiamo domani”. Per l’occasione, Pupo sforna uno dei suoi migliori capolavori intestinali.

Giorno 23.
Piove ancora, e il guasto non e’ stato ancora riparato. Ci districhiamo tra videoconferenze di lavoro e intrattenimento del povero Pupo. Io sto bene, ho ripreso a lavorare mattina e pomeriggio, penso che mi distragga e mi faccia bene. Marito sta bene, ma e’ ancora in malattia, dato che e’ ancora positivo. In realta’ lo sono anche io, ma ho pochi giorni di malattia rimasti, secondo il mio contratto precario, e non posso piu’ permettermi di stare male. Ci dividiamo i compiti: io lavoro fino alle 4, poi prendo Pupo – che nel frattempo sta con Marito – e tocca a lui lavoricchiare un po’. E’ un massacro fisico e psicologico. Pupo non e’ piu’ abituato a vederci “impegnati”, viene alla scrivania, vuole toccare i tasti, fare quello che faccio io. Provo a tenerlo in braccio, ma lavorare e’ impossibile. E in ogni caso, e’ giusto?

A che punto ci ha ridotto questo turbocapitalismo, se devo veder piangere mio figlio mentre io cerco di lavorare?

Potremmo lavorare la sera, certo. Ma chi ha l’energia? E poi, perche’?

La sera va via di nuovo la corrente. Poi torna, poi si ristacca, poi ritorna. Ci affacciamo dalla finestra. E’ la volta buona. Hanno finalmente staccato il camion-generatore e riparato il guasto. Tutta vita. Per festeggiare, mandiamo un ciclo di lavasciuga. La nostra casa e’ una perenne lavanderia, tra lenzuola, asciugamani, vestitini di Pupo sporchi di succo, pappa, colori, biscotto spiaccicato. Con il Covid non scherziamo. Laviamo tutto, tanto. L’impatto ambientale di questa pandemia e’ terrificante. I materiali di protezione individuale di medici e operatori e’ – e deve essere – usa e getta, la nostra immondizia non puo’ essere differenziata e deve essere smaltita in triplo sacchetto protettivo. Laviamo mani, vestiti, facce, nasi, compulsivamente. Mandiamo cicli di lavatrici e lavastoviglie a ripetizione, magari tolgono il Covid anche a noi. Ho le piaghette sulle mani e la sera mi devo ricordare di mettermi la crema, per non grattarmi tutta la notte.

Giorno 24
Io e Pupo torniamo a fare il tampone. Siamo ottimisti. Il nuovo manager dell’emergenza, il Generale Figliuolo, ha disposto il coinvolgimento dell’Esercito nella risposta al Covid, ed e’ un militare ad effettuare il tampone. Devo immobilizzare le braccia, le gambe e la testa di Pupo, che non ne vuole assolutamente sapere e piange e si dimena come un’anguilla, mentre il dottore-soldato gli mette il tampone per bene su su per le narici che pare arrivi al cervello. Pupo e’ talmente stranito che dopo non vuole nemmeno fare due passi al sole. Torniamo a casa e ricominciamo la nostra routine. Si addormenta in braccio mentre saliamo le scale.

E’ quasi un mese che siamo in isolamento, Pupo e’ sempre stato bene, sorridente, sveglio, allegro. Ha saltato poche volte gli orari, e quando e’ successo nessuno ne ha fatto un dramma. I bambini cosi’ piccoli devono essere assecondati, e sinceramente anche noi. Non e’ il momento di fare i duri gli uni con gli altri, anche se il nervosismo aleggia e siamo sempre noi con noi. “Ho voglia di litigare con qualcuno”, ma poi capiamo che non siamo noi i destinatari della nostra frustrazione.

Giorno 25
Nessun referto disponibile sul sito della Regione. Nessuna email. Scrivo alla ASL. Nessuna risposta.

Giorno 26
Arrivano i risultati. Io e Pupo Siamo positivi a due geni su tre. Quindi siamo ancora positivi.

Nella prima “ondata pandemica”, si considerava positivo chiunque fosse positivo a tutti i tre geni su tre. Con uno, o due, si era considerati negativi. Quindi, nella stessa situazione ma sei mesi prima, saremmo stati liberi. Ora i protocolli sono cambiati, e per essere ‘ufficialmente’ negativi, bisogna essere negativi a tutti e tre i geni analizzati. Il famoso gene N non e’ stato rilevato nel nostro caso, passo in rassegna tutta la letteratura scientifica disponibile su internet per cercare di capire cosa significhi.

Siamo ancora contagiosi? E se noi lo siamo, perche’ fino a sei mesi fa le persone erano considerate innocue con due geni rilevati su tre? Quante persone sono state certificate come guarite ma magari non lo erano del tutto, e del tutto involontariamente possono aver contribuito alla diffusione del virus?

Giorno 27
Marito esce a fare il tampone. Si porta Pupo, per fargli prendere aria. Ormai ogni scusa e’ buona per farlo uscire di casa. Io nel frattempo pulisco casa. Ormai siamo una macchina rodata. Aspirapolvere, straccio, bagni, Amuchina spray ovunque. In un paio d’ore la casa e’ sommamente ripulita. E’ weekend, cosa vogliamo fare di bello, ironizziamo. Una passeggiata? Un giro in bicicletta? Una gita fuori porta? Dormiamo, leggiamo, giochiamo. Infine, ordiniamo la solita pizza a domicilio, e stavolta e’ davvero buona.

Giorno 28
Come una doccia fredda arriva la notizia dell’istituzione della Zona Rossa nella nostra regione, dal giorno successivo, almeno fino a dopo Pasqua. E, tanto per cambiare, anche Marito e’ ancora positivo. Cosa mi preoccupo a fare, tanto siamo ancora tutti col Covid? E invece mi preoccupo. I nidi saranno chiusi per un po’, e Pupo non ci va da un mese. Gli spostamenti non essenziali sono vietati, e addio consegne a casa di pranzi cucinati da Amici e Parenti. Se anche ci negativizzassimo, non potremmo fare nulla. Ho dei capelli che sembro Crudelia Demon e la prospettiva – frivola ma confortante – di andare prima o poi a rilassarmi un’oretta in un qualsiasi parrucchiere sotto casa svanisce, chissa’ fino a quando. Mi sembra l’ennesima burla, l’ennesimo scherzo macabro. Murphy a confronto e’ un dilettante.

Giorno 29
Scrivo furiosa una email alla ASL, chiedendo un ricontatto. Non ci parlo da settimane. La Dottoressa ASL n.1, ormai chiedo sempre di lei, dice che potremmo chiedere alla DDB di certificarci la fine dell’isolamento, dato che sono passati piu’ di 21 giorni dal primo tampone. Chiamiamo la DDB. I miei nervi sono allo stremo e mi metto a piangere al telefono. Mi spiega – dolcemente – che non puo’ assumersi questa responsabilita’ se i nostri tamponi sono ancora positivi. Le chiedo del gene N, le dico che alla ASL ci hanno detto che dopo 21 giorni si puo’ uscire, che prima con un gene o due soli si poteva uscire. Lei ringhia furiosa “Alla ASL non sanno niente! Si devono aggiornare!”. Ci manda la prescrizione per il nuovo tampone, da rifare ad una settimana di distanza (un’altra!) dal precedente. Parliamo anche con la pediatra, e decidiamo di non torturare ulteriormente Pupo con altri bastoncini nel naso e nella gola finche’ almeno uno di noi genitori si sara’ negativizzato.

E’ ufficialmente cominciata la quinta settimana in quarantena. E Siamo in Zona Rossa. La fine del tunnel non la vedo piu’.

Giorno 30
Come nel film “Ricomincio da capo”, ogni giorno a Casa Covid e’ un giorno della Marmotta. Sveglia, colazione, pulizie – di casa e nostre – turni di gioco e lavoro, pranzo, eccetera eccetera. La sera, messo a dormire Pupo, abbiamo un pochino piu’ di energia per resistere svegli fino alle 10, e ci lanciamo su qualche film o serie tv. In realta’ crolliamo sempre dopo una decina di minuti.

“Come stai?”, chiedono le amiche. Io sembro un disco rotto. Non faccio che ripetere “non ne posso piu’”. “Non so come fai”. E come dovrei fare? Siamo programmati per sopravvivere, andiamo avanti perche’ lo facciamo da centinaia di migliaia di anni. Passa un amico a salutarci dalla strada. Mi affaccio alla finestra, parliamo al telefono e ci salutiamo sventolando le braccia. E’ venuto fin qui per vederci. Il cuore si scalda.

Giorno 31
E’ finalmente il tampone day. Stavolta lo facciamo solo io e Marito. Pupo rimane dormiente nel seggiolino posteriore, stavolta nessun cotton fioc turbera’ il suo sonno. Per tornare a casa facciamo un giro largo, e guardiamo la citta’ con il sole. Come in un bus turistico, con i nasi delle persone appiccicati al finestrino. Le strade sono semivuote. E’ davvero surreale. Torniamo ai nostri computer.

Giorno 32
Controllo ossessivamente il sito della Regione per vedere se il referto e’ disponibile. Ogni mezz’ora aggiorno la pagina. L’ansia mi sta divorando e non ho nulla di meglio da fare per tentare di farmela passare. La concentrazione e’ sotto i piedi, lavorare e’ impossibile e la motivazione e’ faticosa da trovare. Ormai le colleghe sono abitutate a vedere Pupo nelle nostre videoconferenze, e lo salutano calorosamente. Lui prende le cuffiette e prova a mettermele nelle orecchie. Io metto la musica, pianoforte, e provo a fargliela sentire. Lui preferisce staccare le cuffiette e portarsele in giro. Dopo un po’ ritorna. Gli do’ matite, post-it, gomme e fogli, sperando si auto-intrattenga sul pavimento. Ma stare su Mamma e toccare il computer e’ molto piu’ interessante.
Controllo il sito della Regione fino alle nove di sera. Niente di niente.

Giorno 33
L’email arriva alle otto di mattina. Leggo solo le prime righe, e quando vedo scritto in maiuscolo “NEGATIVO” salto dalla gioia. Ce l’ho fatta! Non ho piu’ mezzo gene di virus nel corpo. Se n’e’ andato! Giro il referto alla DDB. Mi scrive “ora ti firmo il fine isolamento. Marito invece deve rifare il tampone tra una settimana”. Lui e’ ancora positivo, ad uno o due geni, non mi ricordo.
Sono ufficialmente l’unica “guarita” della famiglia. Cioe’, anche loro sono guariti, ma secondo i risultati hanno ancora tracce di virus che girano – e che fanno risultare positivo il tampone. Sicuramente non sono contagiosi. Ma per sicurezza, devono rimanere ancora a casa. Io dalla felicita’ vado a fare la spesa, comprare bigne’ e gelato.

Sono negativa. E’ passato un secolo da quella mattina nel gazebo.

Giorno 34
E’ il giorno del tampone di Pupo, a un mese di distanza dal suo primo test. Ce lo porta Marito. La pediatra e’ fiduciosa. Tornando, si fermano a fare due passi – ben a distanza da tutto e tutti, per far ricordare a Pupo che il mondo fuori esiste ancora.
E’ di nuovo weekend. Il quinto.

Giorno 35.
E’ primavera, e siamo chiusi dentro casa. Fuori c’e’ un sole splendido, la Zona Rossa viene rispettata molto blandamente, dalla finestra vediamo famiglie scorrazzare in bici per il quartiere, beate loro. E’ la seconda primavera che accogliamo chiusi in casa. Mi dico che sara’ l’ultima. Controlliamo – sempre ossessivamente – il sito della regione per i risultati di Pupo. Alle nove di sera esce il referto. Positivo, ad un gene solo, il gene E, come Marito.
Deve essere davvero tosto questo gene, per rimanere fino alla fine. Iniziamo ad elencare tutti gli aggettivi che cominciano con la E.

Giorno 36
Inizia la sesta settimana di isolamento. Marzo sta finendo e lo abbiamo passato in casa. Era ancora Carnevale quando abbiamo cominciato l’isolamento. La pediatra ci dice che preferisce che il tampone sia negativo prima di far incontrare Pupo ai Nonni, alla Zia, e in generale ad altre persone. Niente baby-sitter, niente tata per le pulizie. E quindi, caro Pupo, ti tocca stare ancora con noi.

Giorno 37
L’educatrice del nido manda brevi video nella chat dei genitori, cosicche’ possiamo mostrarli ai bambini, “e’ la nostra DAD”, ironizza sorridendo. Pupo ride, riconosce le voci. Ormai gioca sotto la scrivania, tra i miei piedi, i cavi e la sedia. I giorni scorrono veloci, ma tutti uguali. Ormai nemmeno apparecchiamo piu’ la tavola a cena. Facciamo cenare Pupo, e poi, una volta messo a letto, mangiamo sul divano, a volte direttamente dai tupperware, a volte mettendo due tovagliette a casaccio e tenendoci il piatto sulle gambe.

Giorno 38
Marito torna a fare il tampone. Al Drive-In si ricordano di noi ed incrociano le dita. Io intanto mi preparo per una riunione nel pomeriggio. Realizziamo che abbiamo entrambi una riunione allo stesso orario, ed entrambi dobbiamo intervenire. Se tutto va bene, l’orario degli interventi dovrebbe coincidere con la pennica di Pupo. Io ho un’ansia per tutta questa organizzazione al minuto e per il fatto di dover sempre mettere Pupo in secondo piano in queste occasioni. Sono arrabbiata, stanca. Alla fine Pupo si sveglia mentre io sono chiusa dentro la stanza. Lo sento piangere, ma non posso proprio uscire, tra poco devo anche parlare. Mando un Whatsapp a Marito, che e’ in videoconferenza in soggiorno. Lo prende, e gli allunga l’Ipad, senza volume. E’ la decisione piu’ facile in quel momento, direttamente dal manuale “Genitori di Merda” che abbiamo tanto praticato in queste settimane. Ricevera’ complimenti per essere riuscito a gestire figlio e riunione allo stesso tempo. Penso che di strada ne dobbiamo fare ancora tanta, ma proprio tanta.

Giorno 39
Nessun risultato. Ci inventiamo un’altra giornata di incastri. Io esco per fare una visita medica e giro in motorino due ore per la citta’. Compro la solita vaschettona di gelato Extra large e due brioches siciliane appena sfornate. Nonna mi raggiunge fuori casa per passarmi dei vestitini per Pupo e allungarmi un tupperware di sugo con le polpette. Pupo adora le polpette. Ma chi non le adora?
Mentre sono fuori, l’ASL chiama Marito per passare a ritirare il famoso kit – smartphone e saturimetro. Marito chiede se, gia’ che ci sono, vogliono ritirare anche il mio. “Ah, non sapevamo che sua Moglie fosse negativa. Va bene, ritiriamo tutto”.

Giorno 40
Sto facendo colazione mezza addormentata, con Pupo che mi tira il pigiama, vuole mettere le dita nel te’ bollente, giocare con i cereali. Sembra una mattina come le altre, finche’ Marito lancia un urlo all’improvviso: e’ NEGATIVO! Mette la musica, inizia a ballare, telefona ai suoi amici. E’ finita! Ora aspettiamo solo Pupo, ma vediamo finalmente la luce. E pare che la nostra regione tornera’ in Zona Arancione tra qualche giorno. Chiedo conferma all’educatrice. Le dico che forse forse Pupo riuscira’ a rientrare. Scoppiamo di gioia. La sera, facciamo la pizza, con tanta, tanta mozzarella.

L’Ama ci telefona, vuole passare a prendere l’immondizia, spieghiamo che c’e’ solo il bimbo ancora positivo. “Vabbe’, passiamo lo stesso”.

Giorno 41
Porto Pupo a fare quello che spero sara’ l’ultimo tampone. Poi a fare una passeggiata. Siamo tutti certi che sia negativo anche lui, abbiamo solo bisogno della conferma ufficiale. Assaggia il suo primo gelato, e gli piace tanto. Gli piace tutto. Rincorrere i piccioni, schizzarsi con la fontanella, acchiappare una foglia di cicoria dal fruttivendolo e sventolarla sorridente, abbracciare i cani che incontra per strada. Sembra non sia mai stato chiuso in casa. La Vita lo aspettava, e lui aspettava la Vita. In realta’ e’ emozionato, ride come non l’ho mai visto ridere prima, e’ felice e a suo agio. Vuole camminare da solo, e cosi’ va, alla scoperta di quello che gli e’ mancato.

Nel pomeriggio andiamo al parco, incontriamo finalmente alcuni amici. Pupo e’ ubriaco di sensazioni ed emozioni. All’inizio sembra timoroso, poi si lancia verso l’area giochi, riconosce lo scivolo, l’altalena e sorride a tutti i bambini. Rientriamo due ore dopo, stanchi e impolverati, ma finalmente contenti. Fa caldo, le giornate si sono allungate e ci sembra di aver saltato un’intera stagione.

Voglio comprarmi una bici. Voglio fare tante cose. Leggere, correre, mettermi lo smalto di un colore acceso, prendere il sole, camminare, sorseggiare una spremuta sulla panchina, mangiare mille gelati. Ho voglia di Vita anche io.

Siamo ancora in Zona Rossa, ma ne usciremo a brevissimo. Vedo finalmente la luce in fondo a questo tunnel buio e surreale.

Giorno 42
Siamo di nuovo fuori, all’aria aperta. Ormai non ci ferma piu’ nessuno. Finalmente arriva il referto. Pupo e’ ufficialmente NEGATIVO!
Un senso di liberazione e leggerezza mi scivola addosso, come l’acqua fresca. Lui non se ne e’ mai accorto, e’ gia’ a scavare buche e strappare fogliette di prato, a rincorrere altri bambini che non conosce, e salutare con il suo “ciau” chiunque incontri. Lui non ha mai parlato con Dottori e Dottoresse, non ha visto le nostre lacrime e le nostre inquietudini. La bombola e’ stata restituita alla farmacia, la borsa per l’ospedale finalmente svuotata, “ah ecco dove erano le mie magliette”, dice Marito. Per scaramanzia non abbiamo toccato nulla fino all’ultimo momento.

Ma ora siamo liberi. Sopravvissuti. E anche immuni, almeno per un po’. La stanchezza e’ di colpo evaporata, rimangono le occhiaie, le rughe e qualche capello bianco in piu’. Vorrei prenotare un viaggio, prendere la macchina e girare l’Italia e andare a salutare tutti gli amici sparsi per lo stivale che non vedo da anni. E’ quasi Pasqua, e questa e’ la nostra resurrezione. Le sere passate a piangere, a fare la media dei dati sanitari, a contare i respiri e gli squat sono di colpo lontane, lontanissime. Siamo invecchiati, ma anche cresciuti, tutti, Pupo e noi con lui. Ci sentiamo di colpo invincibili, almeno per un po’. Ci sentiamo anche dei miracolati. Ci e’ andata bene, in tutti i sensi.

Un virus che e’ ancora largamente sconosciuto, che si replica in modi differenti da essere umano ad essere umano, che in una persona stritola i polmoni, in un’altra da’ un po’ di affanno, in una terza addirittura nulla. Siamo piccoli e impotenti, certo. Questo virus e’ il nostro male, nel senso che viene da noi. Doveva farci diventare migliori, e ci ritroviamo egoisti e cinici. Doveva farci trovare un’umanita’ condivisa, compassionevole nell’essere uniti dallo stesso male, e facciamo la gara ad accaparrarci i vaccini. Mors tua, vita mea.

Ma questo virus sballa tutto. Mors tua, mors mea. Il gioco e’ a somma negativa, ci rimettiamo tutti.

“Nessuno si salva da solo”, scrive la penna straziante di Margaret Mazzantini. Nemmeno noi. Ci siamo salvati grazie ai medici, per quanto sgangherati e scoordinati, e alla sanita’ gratuita e universale, anche se ti tratta come un numero e non come un essere umano. Grazie agli Amici che ci mandavano messaggi e video di supporto. Grazie alla Nonna che ci portava gli gnocchi di semolino e al Nonno che faceva due ore di macchina solo per venire a salutarci dalla finestra, lasciando sempre sulla porta un pacchetto sorpresa dalla nostra pasticceria preferita. Alla Zia che ci ha portato birre gelide e pizzette in un caldo pomeriggio di fine inverno. Ai Vicini che ci chiedevano mille volte al giorno cosa potesse servirci dai negozi. A chi ci ha mandato fiori, regali e libri e vestiti per Pupo che cresceva a vista d’occhio. A chi ci ha rassicurato di mettere il lavoro all’ultima delle priorita’.

Ci siamo salvati stando insieme, soffrendo e sorridendo, litigando e piangendo, giocando e cantando. Mettendo la crema alla calendula sui lividi e il gel all’aloe sulle gengive, insomma prendendoci cura a vicenda. Accettandoci cosi’ come siamo, chi russa e chi non dorme, chi sporca tutto e chi pulisce, chi cucina e chi lava i piatti, e facendoci forza tutti e tre gli uni con gli altri, aspettando pazientemente il nostro Godot.

Noi ci siamo salvati, per tanti motivi. Tante altre persone no, per gli stessi motivi. E questo no, non e’ piu’ accettabile. A loro e’ dedicato questo scritto.

Ad Elisabetta (32), Ugo (69), Francesca (73), Cesare (82), Michele (83).

(fine seconda parte)
[qui la prima parte]

Questo articolo riflette il punto di vista dell’autrice, espresso a titolo personale.