2 Marzo 2022
Il nuovo progetto del governo di Rio de Janeiro per pacificare le favelas
Nel 2008 il Governo dello Stato di Rio de Janeiro insieme alla Secretaria de Segurança Pública concepirono un nuovo progetto di pubblica sicurezza che doveva rappresentare un cambiamento radicale rispetto alle politiche di lotta al crimine organizzato attuate fino a quel momento nelle favelas.
Le Unidades de Polícia Pacificadora (UPP) erano pensate come un progetto duraturo che mantenesse la pace e che permettesse l’integrazione sociale e l’accesso dell’ordine statale nei territori che si trovavano sotto il controllo dei gruppi criminali legati al traffico di droga.
Le UPP si ispiravano alle basi teoriche della polizia comunitaria, una filosofia nata tra gli anni Sessanta e Settanta negli Stati Uniti che aveva come obiettivo organizzare la prevenzione del crimine puntando sul rapporto con gli abitanti e aumentando la responsabilità delle comunità locali.
Questo approccio rifiutava il concetto di repressione e prevedeva strumenti come il pattugliamento a piedi (invece che con mezzi blindati), il dialogo e la consultazione con la comunità e puntava ad aumentare il livello di soddisfazione e delle condizioni di vita della popolazione.
Il progetto delle UPP era ambizioso e molto rischioso. Fino a quel momento la relazione tra la popolazione delle favelas e la polizia era stata improntata alla completa sfiducia, quando non all’aperta ostilità.
Nella capitale carioca gli agenti della Polizia Militare (PM) sono quelli che, insieme ai trafficanti, muoiono e uccidono di più nelle favelas.
Come ha scritto la studiosa Janice Perlman: “Il ruolo della polizia a Rio non è mai stato chiaramente definito. Fin dal periodo in cui essa era la guardia di palazzo della famiglia reale, ha sempre detenuto un senso di autorità assoluta, più adatta ad una monarchia che a una democrazia. La rigida gerarchia e la severa adesione all’ordine, che sono centrali nell’addestramento militare, diventano parte della cultura della polizia e questo mix ha finito per creare uno stile unico di polizia a Rio”.
A parte una breve parentesi durante gli anni ’80, quando il governatore Leonel Brizola impedì ai poliziotti di entrare nelle favelas, le pratiche della polizia militare carioca e dei suoi battaglioni speciali (il BOPE, famoso grazie al film Tropa de Elite, e il Batalhão de Choque) sono sempre state orientate dalla logica della guerra e della repressione armata. Irruzioni, retate, sequestri e massacri di civili sono stati all’ordine del giorno per anni.
Questa azione repressiva trova il suo fondamento e la sua giustificazione in un humus culturale secondo il quale “Bandido bom è bandido morto” (il buon criminale è quello morto). Ai poliziotti viene insegnato prima a sparare e poi a fare domande.
“Il mio vicino di casa è stato ammazzato mentre faceva dei lavori sul tetto di casa sua” mi racconta Jorge che abita nella favela di Andaraí. “I poliziotti hanno scambiato il trapano per una pistola e gli hanno sparato senza pensarci due volte”.
I poliziotti non si sono mai posti, agli occhi degli abitanti delle favelas, come soggetti che offrono protezione ma appaiono piuttosto come il braccio armato del potere, unica manifestazione di quello Stato che non è presente sul territorio con altre modalità che non siano la violenza e il terrore.
Anche per questo le UPP sono state inizialmente guardate con sospetto.
“La polizia è sempre polizia, anche se pacificatrice” mi ha detto un leader religioso della favela di Borel, nella zona Nord della città.
Perché il progetto funzionasse era necessario modificare radicalmente il comportamento dei poliziotti, riportandolo nei criteri che si addicono ad un paese democratico.
La prima UPP pilota è stata inaugurata nel 2008 nel Morro da Santa Marta, una piccola favela nel quartiere di Botafogo (zona Sud della città) e negli anni successivi il progetto si è espanso fino ad arrivare a 38 unità nel 2014.
Come ho detto l’obiettivo era quello di pacificare i territori strappandoli al controllo dei gruppi criminali, riducendo la presenza di armi da fuoco, restituendo alla popolazione la tranquillità necessaria al pieno e libero esercizio della cittadinanza e rompendo la logica della guerra.
Due i focus principali: la prospettiva dell’occupazione permanente e il ritiro delle armi da fuoco.
A lungo andare si sarebbe dovuta creare una routine che avrebbe permesso ai poliziotti di pattugliare le zone a piedi con armamento non letale, assistendo gli abitanti, raccogliendo richieste e reclami e organizzando l’arrivo di servizi di base come la rete elettrica, fognaria e la TV via cavo.
Se le infrastrutture sono migliorate nelle favelas pacificate il pattugliamento cosiddetto di prossimità è rimasto un utopia.
Durante i sei mesi che ho passato a Rio per studiare le UPP non ho mai visto un poliziotto che girasse senza armi da fuoco, anche nei territori che avevano ricevuto la pacificazione della prima ora.
È indubbio che gli indici della violenza e della criminalità sono calati drasticamente nelle favelas pacificate, ma negli anni non sono mancati episodi imbarazzanti per la PM, a dimostrazione che la possibilità di una perfetta integrazione tra i poliziotti e la popolazione era molto remota.
Alcuni di questi episodi hanno attirato l’attenzione internazionale, come il caso di Amarildo de Souza scomparso il 14 luglio 2013, prelevato da poliziotti dell’UPP della favela della Rocinha, dove viveva, e mai più ritrovato. Nel 2016 il maggiore dell’unità, Edson dos Santos, e altri 12 poliziotti sono stati condannati per tortura, omicidio, occultamento di cadavere e inquinamento di prove.
Nel 2018 il Governo ha iniziato a smantellare le UPP dando ragione a coloro che dall’inizio avevano sostenuto che il progetto fosse legato a doppio filo con i grandi eventi, i Mondiali di Calcio nel 2014 e le Olimpiadi nel 2016.
Le varie unità sono state trasformate in compagnie distaccate sotto il comando del battaglione dell’area e i poliziotti distribuiti in base all’indice di criminalità delle varie zone.
Già dal 2017 il numero di morti a Rio de Janeiro a causa di scontri a fuoco aveva ripreso a salire tanto che nel 2018 il Governo Federale ha deciso di intervenire con l’esercito, una situazione completamente anomala dal momento che ogni Stato è responsabile del mantenimento della sicurezza entro i propri confini.
Per far fronte alla complicata situazione della capitale la Secretaria de Segurança Pública ha deciso di inaugurare quest’anno un nuovo progetto per riprendere e correggere la rotta della UPP.
Si chiama Cidade Integrada ed è già iniziato con l’occupazione delle favelas di Jacarezinho e di Muzema il 19 gennaio scorso, sebbene non siano stati ancora forniti i dettagli su come funzionerà.
Quello che si sa per certo è che il Governo ha promesso, oltre al controllo del territorio da parte della polizia, interventi simultanei in ambito sociale, infrastrutturale, economico, di governo e della sicurezza e della salute pubblica.
Cidade integrada sembra voler recuperare là dove l’UPP ha fallito. Anche il precedente progetto non doveva limitarsi ad azioni di polizia ma prevedeva programmi sociali, educativi e di cittadinanza che però non sono mai stati pienamente realizzati.
Secondo Ignacio Cano, sociologo del Laboratorio di Analisi della Violenza dell’Università Statale di Rio de Janeiro, per risolvere la situazione di precarietà dei territori delle favelas e per eliminare la disuguaglianza c’è bisogno di un investimento economico importante e di un progetto politico continuativo. Entrambe le cose al momento mancano in Brasile.
Anche per questo Cidade Integrada è stato accolto con freddezza e scetticismo dagli osservatori e dalla società civile, e il sospetto che si tratti dell’ennesimo “progetto toppa” è rafforzato dal fatto che il governo statale di Claudio Castro è al suo quarto anno di mandato e si avvia alla campagna elettorale.
Un altro elemento di criticità è rappresentato dalla mancanza di partecipazione delle comunità coinvolte nel progetto. I leader comunitari di Jacarezinho hanno già lamentato l’imposizione dall’alto del progetto e la totale mancanza di dialogo con la comunità per capire quali fossero le reali necessità e i problemi della favela.
Secondo Ignacio Cano uno dei problemi maggiori di Cidade Integrada è che, a differenza delle UPP, non sono fatte ricerche né uno studio accurato del territorio, ma per ora sembra che la scelta dei territori su cui intervenire sia stata puramente simbolica.
Non sembra un caso che la prima favela a beneficiare del programma sia Jacarezinho dove a luglio dell’anno scorso si è verificato il peggiore massacro della polizia nella storia di Rio de Janeiro, con l’uccisione di 27 civili.
Cidade integrada sulla carta è sicuramente un progetto politico dalle grandi potenzialità, e ha il pregio di aver allargato il concetto di sicurezza pubblica, focalizzandosi sugli aspetti sociali, economici e infrastrutturali, ma andrà monitorato accuratamente per evitare che sia l’ennesimo fuoco di paglia.
Perché si possano ottenere risultati positivi e di lungo periodo il Governo dovrà mostrare la volontà politica di farlo durare nel tempo, destinando una buona fetta dei fondi pubblici a questo scopo.
Solo così si potrà sperare di migliorare le condizioni di vita delle comunità marginalizzate ed eliminare la disuguaglianza sociale. In caso contrario rimarrà un buon programma per mantenersi al potere. Almeno fino alle prossime elezioni.