Xi Jinping è arrivato in Italia e i giornali si riempiono delle sue fotografie. Come gli alberi quando si riempiono di colori, anche la visita del presidente della Cina richiama la nostra attenzione, ma nessuno sembra sapere quali frutti darà.
Mentre i mezzi di informazione ‘faticano’ a seguire la visita di Xi, l’articolo forse più illuminante è uscito sul Corriere della Sera e porta la firma dello stesso presidente cinese. Un passaggio recita così: «in Italia, i sinologi […] hanno svolto il ruolo di ponte nei rapporti tra Cina ed Europa a partire dalla prima grammatica della lingua cinese scritta per l’Occidente da Martino Martini a “Italia e Cina” di Giuliano Bertuccioli e Federico Masini»[1].
La frase ha sicuramente un senso positivo, ma è in sé sconcertante: il libro in questione, infatti, è stato pubblicato quasi 23 anni fa e, come ricorderà qualcuno che l’ha letto, quella ricostruzione dei rapporti italo-cinesi si fermava ai primi del Novecento, cioè alla caduta dell’impero Qing, crollato nel 1911.
Questo elemento non è che il sintomo della situazione in cui versano gli studi cinesi in Italia, sui quali c’è ancora molto da lavorare e le cui difficoltà si riflettono a livello di divulgazione.
Non a caso, molti articoli che compaiono sulle colonne di giornali più e meno conosciuti, spesso, sono poco interessanti per chi qualcosa della Cina già la conosce. Chiaramente, non si chiede a tutti i giornalisti e i divulgatori di compiere anni di studi e ricerche, ma bisogna capire che i rapporti italo-cinesi non sono iniziati ieri. Queste relazioni – prima informali e poi normalizzate nel 1970 – hanno cominciato a svilupparsi già negli anni Cinquanta[2].
Non solo. L’interesse italiano per la Cina è perfino passato attraversato fasi molto disparate. In altre parole, la Cina è stata discussa in Italia: ha sollevato consensi, ha sollevato obiezioni e ha stimolato in generale uno variegato insieme di prospettive. C’è insomma una storia dietro la Cina in Italia; e questo è vero sia in termini di idee sia in termini di proposte, efficaci o inadeguate che siano state.
Veniamo a oggi: cosa significa la visita di Xi per l’Italia? Tra le enumerazioni di dati statistici sul commercio italo-cinese, che scorrono negli articoli come i verdi flussi di codice nel film The Matrix, affiora costantemente almeno un elemento che ha poco a che fare con l’economia: quello del sospetto.
La Repubblica Popolare è vista da diversi non-esperti, esperti e politici come un partner inaffidabile. Ovviamente, non è possibile replicare a un simile interrogativo perché non ha senso (…). Però, per fidarsi si può cercare di capire. E oggi, per come cambiano gli equilibri in Cina, si deve cercare di capire Xi Jinping: chi è, cosa ha fatto e qual è stata la sua carriera politica?
È chiaro che un’elencazione cronologica e biografica, anche se fatta da autori ‘quotati’, non basta. Il problema non è parlare di Cina, ma come se ne parla. I temi d’attualità sulla Repubblica Polare – come il modello di leadership – non sono qualcosa di nuovo.
Nel panorama cinese, passato e recente, Xi Jinping rappresenta una continuità tanto quanto una discontinuità, a seconda del punto di vista da cui si guarda. Per esempio, basti a pensare a Chiang Kai-shek, a Mao Zedong oppure ai ‘Governi Nazionali’ degli anni Venti. Uno slogan nazionalista del 1925 oppure le Guerre dell’Oppio non sono sufficienti a spiegare le tendenze culturali della Cina del terzo millennio.
Sarebbe più utile ricordare come anche in Cina ci sia stata una discussione. Molte questioni sociali, su cui in Europa ci siamo a lungo scontrati, sono state ugualmente terreno di scontro in Cina. Guardando al passato e al presente in maniera diversa, si possono creare i presupposti per costruire nuove strategie.
Lo stesso discorso vale per la politica estera. Oggi, Pechino deve fare i conti con contesti difficili come il Mar Cinese Meridionale. Eppure, anche ieri, la Cina di Deng Xiaoping si era aperta a cooperare con l’Occidente su settori precedentemente protetti, come lo sviluppo tecnologico e la sicurezza internazionale. Pochi sembrano ricordare che, quando è entrata all’ONU, la Cina non è stata soltanto ammessa nel palazzo di vetro, ma ha ricevuto anche il seggio cinese nel Consiglio di Sicurezza.
Chiusura e apertura sono scelte quasi mai nette, ma nella maggior parte dei casi vanno viste in prospettiva. Proprio per questo, quando si parla di Italia e Cina, si dovrebbe parlare anche di Europa e Cina.
Il prossimo 9 aprile, infatti, è previsto un Europe-China Summit e, in generale, i rapporti con la Cina a livello comunitario sono iniziati ben 44 anni fa. Anche in questo caso, non si chiede a chi segue l’attualità l’improponibile fardello di fare studi in archivi italiani, europei e cinesi alla ricerca di informazioni e notizie per capire quel che è stato e come ha condizionato il presente. È però evidente, a questo punto, che gli esperti di Cina in Italia non sono poi così «numerosi» al momento.
Un veloce sguardo a think-tank e testate straniere ci mostra che, per coprire il viaggio di Xi in Italia, gli stranieri preferiscono usare fonti cinesi o anglofone. In parte, ciò è dovuto alla difficoltà dell’italiano come lingua. In parte, però, si tratta dell’incapacità nel fornire un quadro d’insieme in cui inserire la visita del presidente cinese. Il Financial Times è riuscito comunque a osservare come l’Europa abbia diverse inclinazioni nei confronti di Pechino e ciò crei attriti[3].
Per l’appunto, il problema esiste sia tra i singoli Paesi europei sia a livello di Unione Europea, ma non è nuovo: possiamo trovare controversie simili dopo il primo accordo commerciale sino-europeo, firmato nel 1978. Dunque, le questioni aperte che pesano sui rapporti Europa-Cina sono fenomeni di lungo periodo? Il versante problematico è quello europeo o è quello cinese? Il Diplomat ha sottolineato come la scommessa dell’Italia su Xi sia stata trasversale[4].
In effetti, i 23 miliardi di investimenti, che rendono la nostra penisola il terzo destinatario degli FDI cinesi in Europa, sono spalmati sugli ultimi dieci anni, coinvolgendo governi dal diverso orientamento. Tuttavia, il consenso su una partnership con la Cina rimane ancora frammentario: questo potrebbe pregiudicare a priori un eventuale successo della partecipazione italiana alla Via della Seta.
Lo scenario è complicato ulteriormente dagli Stati Uniti. La scelta di intralciare la visita di Xi è significativa. Donald Trump pone Roma di fronte ad alcuni dubbi: quale dovrebbe essere il rapporto tra Italia e Stati Uniti? E, soprattutto, quale direzione prenderà la politica americana in Asia?
Infatti, non bisogna dimenticare che, dopo il vecchio continente, il viaggio di Xi prevedeva una tappa negli Stati Uniti, ma l’appuntamento è stato rimandato[5].
La cosiddetta guerra dei dazi doganali tra Stati Uniti e Cina è ancora aperta e, probabilmente, Trump punta ad aspettare le decisioni dei Paesi europei. Il miglioramento dei rapporti con Pechino, infatti, può essere pensata come una porta: gli scambi commerciali rappresentano il problema di oggi, ma gli investimenti di domani si concentreranno apparentemente sul comparto produttivo legato alle energie rinnovabili, alla lotta all’inquinamento e alla preservazione delle risorse naturali essenziali.
Come è noto, l’amministrazione Trump sta facendo di tutto per bloccare questo tipo di iniziative e isolarsi sul tema della salvaguardia ambientale, ma i Paesi europei potrebbero non essere dello stesso avviso. L’Italia, per esempio, ha lavorato a lungo su temi ecologici in Cina.
Per tutte queste ragioni, la Via della Seta (Belt and Road Initiative, BRI, o One Belt One Road, OBOR), di cui si è discusso in questi giorni, rappresenta un interrogativo di grande complessità.
È vero: la firma dell’intesa è arrivata. Roma è il primo governo ad aderire alla Via della Seta, almeno tra quelli europei e tra quelli con le economie più sviluppate.
La parte più difficile però viene adesso perché sarà necessario portare avanti l’accordo e renderlo “a doppio senso”, come ha dichiarato lo stesso Xi. Non ci sono unicamente gli aspetti economici. Molti esperti, non soltanto quelli che si occupano di Cina, si sono interessati a questa iniziativa perché la forza di un eventuale accordo potrebbe non essere soltanto commerciale, ma si legherebbe anche all’aspetto culturale.
Infatti, la nuova Via della Seta, come il suo antico corrispettivo, passerebbe attraverso terre in cui vivono etnie, lingue, religioni e tradizioni differenti.
Quel mondo antico “che non esiste più”, tanto per citare Tiziano Terzani, non è deserto: attualmente è abitato da popolazioni che non sono state né americanizzate né sinicizzate; e ciò rappresenta una potenzialità. Sicuramente, di tutto questo se ne può discutere.
NOTE
[1] Xi Jinping, Italia-Cina, l’ora di nuovi accordi, Corriere della sera, 20.03.2019.
[2] Guido Samarani, Laura De Giorgi, Lontane, vicine: le relazioni fra Cina e Italia nel Novecento, Carocci, Roma 2011.
[3] Michael Peel, Lucy Hornby, Rachel Sanderson, European foreign policy: a new realism on China, «Financial Times», 21.03.2019.
[4] Philippe Le Corre, Carlotta Alfonsi, Italy’s Risky China Gamble, «Diplomat», 14.03.2019.
[5] Jenny Leonard, Jennifer Jacobs, Jeff Black, China and U.S. to Push Back Trump-Xi Meeting to at Least April, «Bloomberg», 14.03.2019.