Il testo che pubblichiamo è di un medico chirurgo che lavora in un grande ospedale lombardo.
Fa parte di una serie di cronache di come stanno lavorando i nostri medici, gli infermieri, tutto il personale che è in prima linea contro il Covid-19.
Perché lo pubblichiamo? Ci racconta dei fatti, è un piccolo film in soggettiva che ci aiuta a capire come pensa chi è per ore dentro la battaglia. E lo pubblichiamo, soprattutto, perché c’è un punto che dovremo avere chiaro quando le cose si saranno calmate e poi stabilizzate: la sanità pubblica andrà potenziata, il nostro welfare andrà rivisto, a scapito delle spese militari per esempio, perché forse ormai tutti hanno capito quali siano le priorità oggi.
Grazie al medico che ha scritto queste parole. Lo manteniamo in anonimato, così come omettiamo il nome dell’ospedale, per semplice riservatezza, perché abbiamo bisogno di ragionare e non di vendere notizie sensazionali.
Ad un mese dall’inizio dell’emergenza, l’organizzazione è quasi completamente lasciata alla componente sanitaria degli ospedali. Questo non vuole dire che si riesca a raggiungere vette di efficienza.
Troppi sono gli adeguamenti necessari conseguenti alla carenza di dotazione, alla saturazione degli ospedali e alla necessità di provvedere comunque a continui nuovi ricoveri, all’assenza di strutture in grado di mantenere l’osservazione su quei pazienti che hanno superato la fase acuta ma che ancora devono essere dichiarati guariti.
Si sta applicando un protocollo chiaro: il paziente apiretico per 72 ore, con una adeguata saturazione in assenza di ossigeno, deve essere osservato per 14 giorni. In assenza di nuove puntate febbrili o di peggioramento della saturazione al 14° ed al 16° giorno il paziente viene sottoposto a due tamponi. Se questi risulteranno negativi il paziente potrà essere dichiarato guarito. Tenere però un paziente che non ha più necessità di supporto di ossigeno e di isolamento in ospedale occupa un posto letto necessario ad altri pazienti in condizioni più gravi, con necessità di sostegno terapeutico più pressante, quindi il paziente dovrebbe essere inviato al domicilio o presso altre strutture che possono gestire il caso post-acuto.
Il giro visite viene fatto in doppio: nella stanza di degenza entra un medico, indossa calzari monouso sopra agli zoccoli in plastica, un camice idrorepellente sopra al quale un altro camice sottile, un paio di guanti sterili da sala operatoria e sopra a questi un paio di guanti in lattice o in nitrile, una mascherina FFP2 e sopra a questa una seconda mascherina chirurgica, un paio di occhialoni protettivi in plastica o una visiera, un cappellino da sala operatoria monouso. Il tutto per evitare che goccioline di saliva (Flugge droplets) dal paziente vadano a depositarsi su cute o mucose del medico e possano contagiarlo.
Terminata la visita con la valutazione delle obiettività generale e polmonare, la misurazione dei parametri vitali ci si dovrebbe spogliare secondo una precisa sequenza per evitare la disseminazione delle flugge droplets, andare in un’altra stanza, provvedere a scrivere in cartella i riscontri del singolo paziente e rivestirsi completamente per visitare il secondo paziente. Notevole sarebbe la perdita di tempo ed il consumo di materiale, quindi fuori dalla stanza di degenza un secondo medico, solitamente uno specialista (otorino, oculista, ortopedico, ginecologo, urologo), protetto dal camice leggero in tessuto non tessuto, guanti, mascherina chirurgica e cappellino, prende nota delle indicazioni del collega impegnato nelle visite. Concluso il giro visite, spogliati dei DPI ci si trova in un altro ambiente per integrare le cartelle, fare il punto sulla situazione del paziente, modificare eventualmente le terapie. Successivamente ci si attacca al telefono per informare i parenti dei degenti sull’evoluzione clinica dei loro congiunti.
Il giro letti del personale infermieristico deve essere gestito secondo le medesime modalità di sicurezza. Quindi li dove bastavano due figure professionali per distribuire la terapia, misurare i parametri vitali, valutare il paziente secondo i bisogni assistenziali infermieristici (BAI), occorre considerare almeno quattro unità.