21 Aprile 2020
Nel mondo e in Italia, il contrasto al virus passa anche dai diritti (pubblici) sulla risorsa più preziosa (e scarsa)
La pandemia globale ha travolto tutto e tutti, ad ogni latitudine siamo chiusi in casa (rispettando le indicazioni vitali del mondo scientifico) e ci siamo ritrovati a dover rivedere tutte le nostre vite. In queste settimane già sono arrivate previsioni che lo stile di vita cambierà radicalmente, che i paradigmi delle nostre esistenze saranno stravolti.
Siamo chiusi in casa ma, per quegli strani paradossi della modernità, mai come ora il mondo può entrarvi. Un mondo diseguale, ingiusto, dove pochissime persone detengono la quasi totalità delle ricchezze mondiali e miliardi vedono negati anche i diritti più elementari, i diritti umani che sono alla base della stessa sopravvivenza e della dignità umani.
Tra questi, sancito anche dalle Nazioni Unite, c’è il diritto all’accesso all’acqua.
In queste settimane ci è stato ripetuto che una delle prime prevenzioni è l’igiene personale e degli ambienti, lavarsi spesso le mani lo sentiamo ripetere a tutte le ore dalle tv e sui nostri smartphone e computer. Ma se l’acqua non c’è? Se i rubinetti sono a secco o addirittura non ci sono? Nel 2020 quando ormai da decenni l’uomo è sbarcato sulla luna e le moderne tecnologie hanno regalato possibilità quasi infinite eppure i capisaldi elementari sono sempre più a rischio.
In un articolo del 28 marzo abbiamo raccontato un progetto di Un Ponte Per in Iraq dove il diritto all’accesso all’acqua è negato nella stessa area del mondo in cui in questi anni è diventato occasione di rappresaglie e azioni di guerra. La Mezzaluna Rossa curda ha denunciato che il 28 marzo scorso “il governo turco ha interrotto il flusso da un serbatoio che fornisce acqua alle aree in provincia di Hasakah, nel nordest della Siria, controllata dalle autorità locali curde”. Ad Alouk, vicino la città di confine di Serekaniye, dall’ottobre 2019 dopo l’avvio dell’ultima operazione militare, la Turchia si è impossessata del territorio e- denuncia l’organizzazione umanitaria – “da allora i gruppi sostenuti dai turchi hanno regolarmente interrotto il flusso d’acqua” e così “la stazione di pompaggio Allouk, che di solito serve più di 460mila persone a Hasakah e nei dintorni, non è operativa dal 30 ottobre 2019”.
L’acqua è uno dei primi diritti umani fondamentali minacciati nelle tante, troppe guerre in corso nel mondo: “l’uso dell’acqua da parte dei partiti belligeranti rappresentano una grave minaccia per la popolazione interessata – denuncia la Mezzaluna Rossa Curda -Attaccare l’acqua è attaccare un intero stile di vita e rende l’accesso all’acqua quasi impossibile o completamente impossibile, aumentando così i rischi per la popolazione civile nonostante la protezione garantita dal diritto internazionale” che sottolinea come “nei paesi devastati dalla guerra “il COVID-19 rappresenta una drammatica minaccia per la vita”: il sistema sanitario è già stato devastato dalla violenza, e la minaccia di un’ulteriore tensione per l’assistenza sanitaria dal coronavirus è un rischio enorme per le comunità” e “negare a centinaia di migliaia di persone l’accesso all’acqua è negare loro una fonte fondamentale di protezione contro Covid-19, dato che il lavaggio delle mani è un mezzo fondamentale per proteggersi dal virus”.
Una negazione che è comune a tante latitudini e colpisce soprattutto le aree più impoverite e devastante del mondo. In occasione della giornata mondiale dell’acqua (22 marzo) di quest’anno Amref ha lanciato la campagna “dove c’è acqua la vita scorre” sottolineando che “ci sono aree del mondo in cui la vita è appesa non ad un filo, bensì ad una goccia d’acqua. Nelle estese zone rurali, così come nelle affollate baraccopoli delle metropoli dell’Africa, donne, uomini e bambini sopravvivono ad una cronica mancanza di acqua pulita. Resistono ad ore di cammino in cerca d’acqua, combattono le insidie di virus e batteri che proliferano nelle fonti non sicure da cui sono costretti a dissetarsi. Milioni di persone che rischiano la vita, ogni giorno”. L’organizzazione non governativa ha lanciato una petizione online denunciando che “l’Africa sub-sahariana è tra le aree del mondo che soffre maggiormente la carenza d’acqua pulita e l’inadeguatezza di infrastrutture idriche.
Al consumo di acqua sporca e contaminata è collegato l’insorgere e il diffondersi di numerose malattie, spesso letali, che affliggono soprattutto le fasce più deboli della popolazione come bambini, donne incinte e anziani: ogni giorno ci sono nel mondo 2.195 decessi infantili a causa di malattie legate all’acqua”. Un dramma peggiorato dal water grabbing, l’accaparramento dell’acqua in cui ci sono potentati che “prendono il controllo – o deviano a proprio vantaggio – risorse idriche, sottraendole a comunità locali e/o intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle preziose risorse. È così che un bene comune come l’acqua, si trasforma in un bene privato o controllato da chi detiene il potere”.
La bassa qualità dell’acqua e dei servizi igienico-sanitari fa sì che ogni giorno nel mondo più di 700 bambini sotto i 5 anni muoiano di diarrea il grido dell’allarme dell’Unicef, entro il 2040 circa 1 bambino su 4 vivrà in zone con uno stress idrico estremamente elevato. Nel mondo, continua il Fondo per l’Infanzia delle Nazioni Unite, più di 3,5 miliardi di persone (la metà della popolazione mondiale) soffrono di grave penuria idrica per almeno un mese all’anno di cui 2 miliardi per almeno sei mesi all’anno. Davanti alla vastità di questo dramma mondiale sicuramente un Paese come l’Italia è fortunato e la sua situazione non può essere minimamente paragonabile. Ma anche a queste latitudini il diritto all’accesso all’acqua è vittima di una gestione pessima e limitata da società tutto tranne che efficienti. Sono passati quasi dieci anni dalla straordinaria vittoria referendaria in cui una maggioranza schiacciante degli italiani (e dopo decenni di fallimento di ogni tornata referendaria) stabilirono che l’acqua è un bene comune e la sua gestione deve essere autenticamente pubblica. Ma chi doveva agire non lo ha mai fatto e la volontà popolare è stata ignorata.
E così la situazione è peggiorata sempre più e nel 2020 secondo il Consiglio nazionale dei geologi “in questi giorni di emergenza sanitaria a causa del Covid-19, le temporanee sospensioni e/o limitazioni dovute ai disservizi di una distribuzione obsoleta e molto spesso irrazionale, tendono ad evidenziare più che mai l’importanza di un bene che troppo spesso diamo per scontato”. L’Abruzzo, per troppi anni definita come l’isola felice (che non c’è) e la regione verde (che non c’è più) come varie volte negli anni abbiamo raccontato, è la regione della maxi discarica di Bussi che inquinò per decenni l’acqua fornita a centinaia di migliaia di cittadini soprattutto in provincia di Pescara. Ma non solo perché, nonostante questo precedente, non sembra aver imparato la lezione: attualmente il più grande bacino, che arriva a servire centinaia di migliaia di persone in tre province, è il Gran Sasso.
E anche da questo bacino il servizio idrico è stato negli ultimi anni interrotto e potrebbe essere stato messo in pericolo da assurde gestioni delle infrastrutture e del territorio: nella stessa porzione d’Abruzzo convivono con il bacino idrico le gallerie di due autostrade e i Laboratori di Fisica Nucleare, una situazione che alcune associazioni e movimenti ambientalisti attaccano e documentano da anni chiedendo di porre fine alle situazioni di potenziale pericolo, a Teramo è in corso un processo penale per le accuse che non avrebbero preso le dovute precauzioni finalizzate ad impedire contaminazione delle acque nei confronti di dirigenti dei laboratori, del gestore delle autostrade e di una società di gestione del servizio idrico.
La scoperta della maxi discarica di Bussi e le denunce sulla contaminazione dell’acqua erogata sono partite nel 2007, gli stessi anni in cui emerse quello che fu definito il “partito dell’acqua”, accusato di essere un vero e proprio sistema clientelare e di potere che si spartiva incarichi e affari e oggetto di un lungo elenco di inchieste e processi.
A Pescara nelle scorse settimane l’Aca, la società di gestione del servizio idrico, ha lanciato l’allarme per una penuria d’acqua con vari distacchi. Decisioni criticate duramente da Corrado Di Sante, storico attivista del Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua e di tante vertenze ambientaliste e segretario provinciale di Rifondazione Comunista. Con l’emergenza dovuta alla pandemia e i cambiamenti climatici i nodi stanno venendo al pettine scrive definendo “senza vergogna” gli appelli ai cittadini mentre le perdite della rete superano il “55% con punte del 99%”. “L’Aca Spa – attacca Corrado Di Sante – è un carrozzone fallimentare, occupato e spolpato dal “patito dell’acqua” che ha pescato sia tra le fila del centrodestra che del centrosinistra.
Lo stesso ing. Lorenzo Livello ha riportato lo scorso anno una condanna in primo grado a 3 anni con interdizione per 5 anni dai pubblici uffici nel processo per tangenti e appalti truccati che vede va coinvolto e condannato anche l’ex presidente dell’Aca Ezio De Cristoforo (PD). Come fa un condannato ad avere ancora incarichi?”. Sconvolgente scrive Di Sante è la lettura delle “percentuali di acqua potabile immessa in rete e dispersa durante il tragitto”: 36.949.473 mc pari al 55,5% dell’acqua captata: più della metà dell’acqua che preleviamo si perde. 5 volte di più di quella che viene reputata una perdita fisiologica che in condizioni di corretta gestione si attesta al 10%.
A queste perdite sempre secondo Aca Spa vanno aggiunti furti d’acqua e errori di misurazione, che portano le perdite totali a 37.393.01 mc, un danno esorbitante per l’ambiente, per le sorgenti ma anche per le casse dell’azienda, un danno economico che stanno pagando i cittadini nella bolletta”. Non è migliore la situazione in provincia di Chieti e soprattutto nel vastese, un territorio dove addirittura restano ancora due le società in ballo: la Sasi, che effettivamente gestisce le reti idriche, e l’Isi che ne è soltanto la proprietaria. Il superamento di questo dualismo, anche perché la legge non consentirebbe l’esistenza di società meramente patrimoniali, è stato annunciato già anni fa ma pare finora non si sia realizzato.
La situazione della rete, secondo la stessa Sasi, è gravissima: a Vasto si disperde il 70% dell’acqua immessa nelle condutture perché, parole testuali che si possono verificare dalle registrazioni della seduta, a Vasto non c’è un solo metro buono di tubi e la situazione delle condutture sarebbe ferma a decenni fa.
E la gravità di questa situazione, portando alle decise azioni di protesta molti sindaci (a partire dal sindaco di Furci Angelo Marchione) e della deputata Carmela Grippa che ha portato la situazione all’attenzione i ministri dell’economia e dell’ambiente, non è cambiata durante l’attuale emergenza sanitaria: in poco più di un mese registriamo già 5 avvisi di chiusure programmate (che coinvolgono un’intera settimana ognuno), in alcuni comuni l’acqua viene distribuita solo 11 ore al giorno, a cui vanno aggiunti oltre 20 (al momento in cui viene scritto quest’articolo) avvisi di interruzione improvvisa per riparazioni urgenti o razionamento idrico.