25 Maggio 2021
Dopo il cessate il fuoco, rimangono le macerie, le vittime civili, una normalità difficile da immaginare, una grande libreria rasa al suolo e la cultura come forma di resistenza
Migliaia di libri persi per sempre, schiacciati sotto il peso dell’edificio Kahil, in Al-Thalathini Street, a Gaza City.
Lo scorso 18 maggio, durante i bombardamenti israeliani, nell’ambito dell’operazione militare denominata Guardians of the walls, anche una delle più grandi librerie di Gaza, Samir Mansour, è stata ridotta in macerie.
Di fronte alla perdita di vite umane tra i civili palestinesi, la distruzione materiale di libri è senz’altro un fatto secondario. Eppure, per i suoi assidui frequentatori, che vedevano nella libreria un punto di riferimento culturale e un luogo di aggregazione, si tratta di una perdita enorme.
Un libro è libertà
“Lasciatemi spiegare cosa rappresenta per me”, ha raccontato in un lungo post sul suo profilo Instagram la giovane lettrice e attivista palestinese, Yara Eid, che oggi vive a Edimburgo dove studia Relazioni internazionali. “Quando ero una bambina, come ogni altro bambino, sognavo di girare il mondo – scrive –ma essendo nata a Gaza questo sogno sembrava impossibile. Così, ho iniziato a leggere romanzi, racconti e mi sono immaginata in viaggio attraverso quei libri” (…) “Andavo in libreria ogni mese con mia madre e compravo alcuni volumi, poi aspettavo con impazienza il mese successivo in cui sapevo che mia madre me ne avrebbe comprati altri. E quello per me era come un nuovo biglietto per un altro Paese”.
La libreria aveva visto la luce 21 anni fa. Tra le sue mura, avevano trovato spazio testi di diversi generi e in diverse lingue, insieme ai libri di giovani autori palestinesi, pubblicati dall’omonima casa editrice Samir Mansour.
Con la più grande raccolta di letteratura inglese e uno spazio dedicato ai testi per bambini, questo luogo era molto più di un semplice negozio. “Quei libri – prosegue Yara – hanno cambiato la mia vita e le vite di tanti palestinesi di Gaza. Questa libreria e questi libri erano l’unica via di fuga dalla nostra realtà”. “Ho letto romanzi stranieri, libri di storia, poesie di Mahmoud Darwish, storie d’amore e ho incontrato così alcuni dei miei migliori amici, discutendo di letteratura e scambiando quei libri. Questa libreria mi ha dato speranze, sogni, ricordi meravigliosi, una vita nuova”.
Sul profilo della libreria, le immagini di scaffali intatti e pile ordinate si alternano a quelle più recenti dei cumuli di macerie, che hanno inghiottito in pochi secondi libri di ogni età e momenti di vita quotidiana.
“Di solito venivo qui dopo la scuola (…). Ho saputo che gli israeliani hanno distrutto tutto. Potete restituirci la libreria?” chiede la piccola Leena, ritratta in una vecchia foto insieme al fratello Omar e al loro amico Jihad. Tra i volti più conosciuti, quello del proprietario Samir Mansour, fotografato mentre tiene tra le mani le poche pagine sopravvissute. “Abbiamo perso l’odore invecchiato della carta, le vecchie copertine spesse che molti lettori cercano. L’odore del caffè che veniva preparato quotidianamente e dell’incenso ad accogliervi – si legge – Abbiamo perso centinaia di migliaia di libri preziosi e insostituibili, che non è stato facile far arrivare nella Gaza assediata. Abbiamo perso le orme dei passanti avanti e indietro, studenti, adulti e bambini. Abbiamo perso molto, amici”. E ancora: “Perché combattere una generazione che legge un libro?”
La notizia del crollo è stata diffusa sui social network, sempre più utilizzati dalla società civile palestinese e dai giornalisti locali, per informare il mondo in tempo reale su quanto accade nella Striscia di Gaza, inaccessibile perfino ai media stranieri e al personale umanitario.
E adesso, per aiutare Samir Mansour e il figlio Mohammed ad affittare un nuovo spazio da trasformare in libreria, è proprio il web a mobilitarsi con una raccolta fondi online.
“Effetti collaterali” o target?
Non solo Samir Mansour Bookshop. Nello stesso giorno, è andata distrutta anche la libreria New Iqra, che per il proprietario Shaaban Aslem rappresentava un piccolo grande sogno realizzato, dopo anni di sacrifici. Come lui stesso ha spiegato ai microfoni di Middle East Eye, cercando di trattenere le lacrime. “Era il mio sogno. Onestamente, mi è costato tanto aprire questa libreria – spiega – Sono rimasto sveglio per lunghe notti, per tanti anni. Ho risparmiato anche nel mangiare per potermi permettere di aprire questa attività”.
Tra gli altri edifici colpiti direttamente o indirettamente dall’aviazione israeliana in pochi giorni: la torre Al-Jalaa che ospitava gli uffici dell’agenzia di stampa Associated Press e di altri media, come Al Jazeera English (episodio che ha spinto l’organizzazione Reporters Without Borders a rivolgersi alla Corte Penale Internazionale); una clinica di Medici Senza Frontiere, ora parzialmente inagibile; gli uffici del Ministero della Salute palestinese e del Palestinian Children Relief Fund; la Rosary Sisters School e la clinica Al-Rimal con l’unico laboratorio per i test Covid presente nella Striscia. Sono state danneggiate alcune linee elettriche, completamente distrutte diverse strade di accesso alle strutture sanitarie e edifici residenziali.
Ufficialmente, Israele dichiara di colpire in maniera mirata solo gli obiettivi militari, le basi e i tunnel di Hamas, in risposta al lancio di razzi. In realtà, come già accaduto in passato, i bombardamenti non risparmiano civili, giornalisti, medici, scuole, ospedali, associazioni, infrastrutture, moschee e luoghi di cultura. A dimostrazione del fatto che nessun posto è sicuro.
Quale normalità
Al termine dell’ultima operazione militare, nella Striscia di Gaza si contano 242 vittime, tra cui 66 bambini, oltre 1900 feriti, più di 100.000 sfollati interni, 71.000 dei quali ospitati nelle scuole dell’UNRWA. Il bilancio in Israele è invece di 700 feriti e 12 vittime, tra cui 2 bambini (dati forniti da OCHA – Occupied Palestinian Territories, aggiornati al 21 maggio).
Se Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per il cessate il fuoco, mediato dall’Egitto e iniziato nella notte tra il 20 e il 21 maggio, viene da chiedersi cosa possa significare per Gaza un ritorno alla normalità.
Da 14 anni, infatti, la Striscia è sottoposta ad un blocco aereo, terrestre e navale che di fatto non permette la libera circolazione di merci e persone. Con una superficie di soli 365 km2, nella Striscia vivono circa 2 milioni di palestinesi, di cui il 70% rifugiati. Già dopo l’ultima devastante offensiva militare israeliana del 2014, “Margine Protettivo”, le Nazioni Unite avevano descritto Gaza come un luogo che rischiava di diventare “inabitabile” nel 2020, per via delle drammatiche condizioni di vita imposte ai suoi abitanti e di una situazione socio-economica in continuo peggioramento.
Una prigione a cielo aperto, è stata definita più volte. Un luogo in cui perfino l’accesso all’acqua potabile, all’elettricità, alle medicine diventa una sfida quotidiana, in cui l’occupazione prima e l’embargo poi hanno creato un’emergenza umanitaria permanente, che sembra condannare i palestinesi di Gaza all’eterna resilienza.
Resistere. Ma questo fazzoletto di terra è anche il luogo in cui i palestinesi continuano con dignità a rivendicare il proprio diritto di vivere una vita dignitosa e libera. In cui giovani generazioni leggono libri, studiano, scrivono poesie, resistono ogni giorno attraverso l’arte e la cultura, identità di un popolo e da sempre il più grande nemico degli oppressori.