I destini del Libano, della Palestina e di Israele sembrano così tanto legati che pensare alle vicissitudini delle Crociate, ed ai regni cristiani crociati, venga quasi automatico. Questi luoghi sono irreparabilmente intrecciati e interdipendenti.
Nonostante la Nakba (Catastrofe) abbia sfollato più di 700mila palestinesi (circa della popolazione araba della Palestina prebellica) spargendo profughi in tutto il mondo arabo, il Libano più di altri paesi ne ha assaporato le conseguenze.
Insieme all’odierna sconvolgente crisi economica e ai gravi sintomi di uno Stato fallito, il Libano deve ora fare i conti con le crescenti tensioni al suo confine meridionale: Israele e la questione palestinese sono tornati di nuovo, mediaticamente e politicamente, alla ribalta internazionale. La domanda è: quanto durerà questo momentum di mobilitazione globale pro-Palestina?
Dalla metà di aprile le tensioni sono aumentate drammaticamente sia in Cisgiordania che nelle città israeliane. Sembra che Israele stia scoprendo solo ora problemi quali razzismo, white suprematism e il suo stesso funzionamento come stato.
Dopo gli eventi non ancora conclusi di Sheikh Jarrah, gli arabi si sono particolarmente oltraggiati ed insultati dal comportamento dell’IDF (Israeli Defence Force) all’interno della moschea Al-Aqsa di Gerusalemme (uno dei luoghi più sacri dell’Islam) durante gli ultimi giorni del Ramadan.
Dopo la scadenza di un ultimatum, Hamas ha iniziato a lanciare centinaia di razzi verso Israele causando a sua volta l’inizio di una massiccia campagna di bombardamento aereo da parte israeliana. l’obiettivo è Hamas, come al solito però i civili della Striscia diventano le vere vittime. Oso immaginare che i giornalisti di Gaza e che vivono a Gaza non abbiano più incubi; tale è l’abitudine.
Se Sheikh Jarrah è stata la miccia di nuovo questo round di violenze, non bisogna dimenticare che il fenomeno “Sheikh Jarrah” e l’espansionismo dei coloni israeliani iniziò 73 anni fa.
Il 15 Maggio è ricordato infatti come l’inizio della Nakba: le tensioni crescono sul lungo periodo e si soffermano a volte sul vuoto ma potenzialmente in un attimo, la miccia è corta e la bomba denota.
Si registrano in questo proprio momento violenze diffuse con veri e proprio progrom attuati da estremisti ebrei israeliani (molte volte anche loro coloni), non solo però verso palestinesi non cittadini d’Israele; ma soprattutto contro Arabi-Israeliani, cioè cittadini arabi dello stato d’Israele. Scene che ricordano molto la Notte dei Cristalli in Germania e il Sud Africa dell’apartheid.
La questione risiede all’interno della società israeliana che tende ad essere razzista, sul modello USA, anche verso cittadini di origine africana o verso lavoratori stranieri che cercano fortuna, per esempio dalla Thailandia e paesi vicini.
Quello che forse più rischia attualmente in Israele non è tanto una nuova Intifada palestinese o un persistente stato di guerra tra Hamas e IDF, ma una vera e propria guerra civile tra cittadini israeliani (ebrei contro arabi). Se i primi rispecchiano gli oppressori, i secondi rappresentano gli oppressi e i discriminati. Razzismo e prevaricazione sull’Altro.
Il motore del razzismo è il motore dei coloni che cercano sempre nuovi quartieri, terre, cunicoli di Gerusalemme Est e zone cittadine della Palestina occupata. Per esempio, il 6 Maggio coloni ebrei di estrema destra hanno dato fuoco ai terreni coltivati da palestinesi e hanno attaccato case nel villaggio di Burin, vicino a Nablus, in Cisgiordania. Questa è una delle dinamiche che caratterizza il processo di colonizzazione, lungo l’intera storia umana.
Nablus è circondata da più di 40 insediamenti e avamposti ebraici israeliani con coloni che continuano a invadere terre palestinesi espandere insediamenti e avamposti illegali, moltissime volte sotto la protezione delle IDF, o esercito israeliano. Più di 600mila coloni ebrei vivono attualmente in più di 250 insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata. Secondo il diritto internazionale, la Cisgiordania e Gerusalemme Est sono territori palestinesi occupati e tutti gli insediamenti ebraici costruiti lì e coloni che vi abitano sono illegali.
Nel frattempo, si organizzano proteste a sostegno dei palestinesi in tutto il mondo. Ospitando più di 400mila palestinesi, il Libano non poteva mancare alla mobilitazione: marce e manifestazioni sono avvenute anche al confine meridionale con l’eterno scomodo vicino Israele.
D’altro canto, nella capitale Beirut l’11 maggio si è tenuta una marcia di solidarietà tra i campi profughi palestinesi di Mar Elias (storicamente abitato da palestinesi cristiano-ortodossi) e i campi di Sabra e Chatila. Quest’ultimo è noto per il massacro del 1982.
“Sono state le mosche a dircelo”. Così, il corrispondente di guerra britannico Robert Fisk iniziò a parlare del massacro di Sabra e Chatila nel suo Pity the Nation, le sue cronache della guerra civile libanese (1975-1990). Tra il 16 e il 18 settembre 1982, miliziani falangisti di estrema destra entrarono negli ex campi rifugiati palestinesi (ormai veri e propri quartieri della città) di Sabra e Chatila massacrando più di 3,500 civili libanesi e palestinesi, tra cui anziani, donne, uomini e bambini.
Un messaggio di un comandante di battaglione dell’esercito israeliano ai suoi uomini, apprendendo che i palestinesi venivano massacrati, affermava: “lo sappiamo, non è di nostro gradimento e non interferiamo”. 20 anni dopo, Osama Bin Laden includeva il massacro di Sabra e Chatila come causa dell’attacco dell’11 settembre all’America. Si quartieri, per le tende piazzate su quel terreno che ai tempi era l’estremità sud di Beirut, ora è cuore pulsante della vita popolare della città: sia Sabra e Chatila sono mercati durante il giorno, con tantissima gente che viene e che va.
Nel 1949 The United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA), la prima agenzia ONU nata per supportare profughi, fonda in pratica questi quartieri (ogni campo palestinese in Libano racconta questa storia) i quali vedranno le tende diventare palazzi altissimi, fatiscenti e precari. I campi in Libano non posso allargarsi costruendo vicino il campo perché quello è territorio libanese: bisogna costruire sopra i palazzi già esistenti; in altezza. Fognature inesistenti e sistema idrico più che al di sotto della sussistenza rendendo questo posto pressoché invivibile; tranne che per le persone che vi risiedono.
In molti campi le vie richiamo strade e luoghi dei villaggi in Palestina. All’ingresso di Chatila del corteo di solidarietà partito da Mar Elias, uomo alla testa del corteo partito da Mar Elias esclama: “Welcome to Chatila”. Ecco l’inizio dei cunicoli ed è spontaneo pensare alle foto del massacro.
La reazione degli abitanti dei quartieri è stata positiva; almeno per quei minuti l’orgoglio arabo ha trovato un po’ di ristoro. Nessuno a Chatila poteva immaginare una tale marcia, una tale folla di sconosciuti entrare nelle anguste e celate vie e vicoletti dell’ex campo rifugiato.
Da un lato sembrava che due diverse Beirut si fossero incontrate. Tutto addolcito da tante telecamere, giornalisti e fotografi. La gente sia di Mar Elias che di Chatila si è ricordata comunque ed ancora una volta quella terra che ormai in pochissimi hanno visto: la Palestina, la cosiddetta terra santa. Forse la stessa Beirut si è ricordata dei palestinesi.
foto di Sergio Attanasio