La lotta al Covid-19 in Cile

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17 Maggio 2020

Ancora una volta si privilegia l’elìte imprenditoriale rispetto ai bisogni popolari

Dopo aver conquistato l’interesse internazionale con le proteste popolari di ottobre e con la conseguente spietata repressione attuata dai poteri governativi, il Cile torna a far parlare di sé.

Anche durante la crisi globale dettata dal Coronavirus, il governo di Piñera non perde nessuna occasione per continuare a privilegiare gli imprenditori del paese, lasciando da parte le necessità popolari senza nessun freno morale, anche a costo di sacrificare la salute dei cittadini.

Al momento, il Cile si trova sotto stato d’eccezione per catastrofe, con un coprifuoco nazionale che va dalle 22.00 di sera alle 5.00 del mattino. Anche se stati limitrofi come Argentina e Perù hanno optato per una quarantena totale in tutto il territorio, il Cile, nonostante al momento dello scoppio del virus avesse più casi dei paesi vicini, ha scelto di imporre una “quarantena selettiva”.

Grazie a tale scelta governativa, è possibile chiudere o liberare varie aree del paese a seconda della quantità di casi presenti. Nella capitale, a Santiago, solo i quartieri più ricchi sono stati messi in quarantena, lasciando la libera circolazione in altre zone della città con una quantità di contagiati simile.

Le scuole sono state subito chiuse su tutto il territorio nazionale e sono stati lasciati in funzione buona parte dei negozi e delle imprese. In tutto il Paese non sono mancate le lamentele da parte del popolo che, considerando il tipo di quarantena imposta e considerando la decisione a livello nazionale di mantenere in funzione imprese non essenziali, accusa le decisioni governative. Lo Stato è sempre più accusato di proteggere i profitti delle imprese, mentre centinaia di migliaia di lavoratori mettono a rischio le proprie vite lavorando ogni giorno con minime condizioni di sicurezza sanitaria.

Nelle scorse settimane, il Governo ha realizzato progetti economici per far fronte alle difficoltà causate dall’emergenza sanitaria. Ha messo così in atto varie manovre economiche e, tenendo da conto il volere dell’élite imprenditoriale del paese, ha proceduto alla riapertura di varie imprese.

Il 19 marzo, il governo presenta il “Progetto di legge Covid-19 a protezione dei guadagni dei lavoratori”, un piano d’aiuto che, nonostante il nome fuorviante e ipocrita, aiuta ben poco la classe lavoratrice del paese. Grazie a tali direttive governative, gli imprenditori ricevono benefici da parte dello stato senza avere, però, alcuna obbligazione nel mantenere intatti i contratti dei propri lavoratori. Infatti, non solo le aziende potranno decidere di licenziare liberamente i propri impiegati, ma i salari di coloro che non saranno liquidati saranno drasticamente ridotti. Si conta che nei primi mesi i lavoratori riceveranno il 70% del proprio stipendio, per poi scendere nei mesi successivi a un misero 45%. Come se non fosse abbastanza, il governo annuncia che i ridotti stipendi saranno finanziati solo in parte da denaro pubblico, lasciando che il restante sia prelevato dai fondi utilizzati per i sussidi di disoccupazione di ogni lavoratore. Solo nel mese di marzo, 300.000 persone hanno perso il lavoro, mentre più di un milione di persone sono state sospese dall’attività lavorativa con gravi tagli agli stipendi. È importante sottolineare che per tale piano economico si investiranno 11.440 milioni di dollari, ossia 45 volte la somma prevista per sostenere la sanità pubblica (260 milioni di dollari).

L’8 aprile, con un nuovo pacchetto di manovre economiche, il Governo annuncia nuovi aiuti per le imprese: l’abbassamento dei tassi di interesse, imposte scontate e varie agevolazioni fiscali. In contrasto con i privilegi donati alle imprese, si annunciano anche azioni economiche blande per aiutare i più deboli. Il governo propone così il “Buono Covid-19” di 58 dollari, un aiuto economico previsto per le famiglie più bisognose. Inoltre, viene creato un “sussidio per ingressi minimi”, per coloro che ricevono uno stipendio che va dai 349 ai 446 dollari.

Per sopperire alle mancanze degli scarni provvedimenti di aiuto sociale già attuati, il 20 aprile si annuncia un nuovo piano, con lo scopo di far fronte alle emergenze economiche del 60% delle famiglie più vulnerabili del paese. In questo modo, una famiglia composta da 4 persone riceverà un aiuto mensile di circa 300 dollari per 3 mesi. Ma, nonostante i fuochi artificiali che accompagnano il nuovo piano, la realtà è che ogni persona facente parte della famiglia riceverà 75 dollari, ben poco se confrontato con le reali necessità di una famiglia in difficoltà economiche in uno stato neoliberista come quello cileno.

Per ultimo, il 17 aprile Piñera chiama “alla normalità” molte imprese private, annunciando nuovi settori nei quali si dovrà riprendere a lavorare. Viene inoltre espressa la volontà di voler riaprire i centri commerciali nei luoghi meno colpiti dal virus, sempre in vista di una graduale, anche se decisamente prematura, ripresa dell’economia. Per di più, il Governo richiama al normale svolgimento del lavoro anche tutti i dipendenti pubblici. Per motivare tale scelta, adduce la necessità di personale al fine di impiegarlo per una corretta e puntuale distribuzione dei buoni e dei sussidi destinati alle famiglie bisognose.

Con tali decisioni, incentrate sempre più sui profitti economici dei grandi imprenditori, ancora una volta a rimetterci sono i più deboli. Le parole del direttore di uno dei fondi speculativi più importante del paese, José Manuel Silva, riassumono bene la visione che molti grandi imprenditori hanno della situazione attuale: “Non possiamo continuare a fermare l’economia, dobbiamo prenderci dei rischi, e questo significa che moriranno delle persone”

Il grande spirito di lotta dei cileni, ormai noto a livello internazionale a causa della perseveranza delle proteste negli ultimi 6 mesi, non si è però abbattuto. Il giorno stesso, il sindacato dei lavoratori della catena di negozi al dettaglio Walmart ha realizzato un intervento pacifico in Piazza Italia, a Santiago.

Il comunicato inviato dall’organizzazione recitava così: “ Non sono state prese azioni preventive per tutelare i lavoratori e per le quali si possano riaprire i negozi e i centri commerciali. È una contraddizione da parte delle autorità; sottolineano l’importanza dell’isolamento sociale, ma allo stesso tempo vogliono che le persone vadano a fare shopping e che tutto torni alla normalità. I lavoratori stanno già subendo le ingiustizie della “legge di protezione dei guadagni dei lavoratori” e ora vogliono esporli a un possibile contagio”.

Il 20 aprile è la volta dei funzionari pubblici. Davanti a La Moneda di Santiago, la villa del presidente Piñera, 12 persone facenti parte del “Gruppo Nazionale degli Impiegati Fiscali” si organizzano per protestare in modo pacifico tenendo, però, le distanze e le protezioni necessarie per non esporsi al contagio. Nove dei partecipanti vengono detenuti in modo arbitrario dalla polizia per poi essere rilasciati varie ore dopo. Il fatto è stato categoricamente condannato dal Partito Socialista, che ha scritto su Twitter: “Condanniamo la detenzione dei dirigenti nazionali dell’ANEF. La legittima e pacifica difesa dei diritti dei lavoratori e della loro salute di fronte alla pandemia che stiamo vivendo non può avere come risposta la repressione”.

Purtroppo è solo uno dei tanti tentativi di silenziare la voce e le necessità del popolo. Il giorno stesso, ad esempio, era stata organizzata una manifestazione pacifica in Piazza Italia, smantellata poco dopo da ben 15 camionette della polizia. Fanno riflettere anche le scelte governative prese solo pochi giorni prima per far ripulire i monumenti della piazza, diventata ormai il fulcro delle proteste che hanno caratterizzato gli ultimi mesi in Cile. Una scelta abbastanza discutibile, in quanto si serve del lavoro di varie persone nel bel mezzo di una pandemia globale solo per l’ennesimo tentativo di smantellamento di ogni simbolo della ribellione.

Il Governo ha una tale voglia di tornare alla normalità che si è perfino parlato di riaprire le scuole. La data programmata per il ritorno a scuola era fissata per lunedì 27 aprile, ma si è poi optato per una forma più graduale, con data da destinarsi, a partire dal mese di maggio.

Secondo il ministro della salute, Jaime Mañalich, gli studenti delle zone più rurali del paese si trovano nelle condizioni per poter tornare progressivamente a scuola. A sua detta, facendo un tampone a tutti gli studenti, è poi possibile far tornare a lezione solo quelli risultati negativi al test, facendogli poi assumere ogni giorno tutte le precauzioni necessarie per evitare nuovi possibili contagi. Un discorso molto lacunoso, che lascia spazio a tante preoccupazioni e tanti dubbi sulla reale riuscita di questo prematuro ritorno alla normalità scolastica.
Sulla necessità di un pronto ritorno a scuola, il ministro si esprime così: “Maggio è un buon momento; Sta iniziando l’inverno e arriva la minaccia influenzale. Per questa malattia, paradossalmente, restare in quarantena è la peggiore idea che si possa avere (…) Curiosamente, l’unica cosa che si vorrebbe quando gira il virus dell’influenza è che le famiglie restino chiuse nelle proprie case”.

Non è ben chiaro se il ministro abbia capito che far tornare a scuola gli studenti significa esattamente rinchiudere più persone in uno spazio chiuso proprio mentre gira un virus mortale; è però evidente la poca consistenza delle sue argomentazioni e le contraddizioni presenti nei suoi discorsi. La presa di posizione di molti istituti scolastici è categorica.

La FIDE, una federazione di 800 scuole private, esprime così i propri dubbi a proposito dell’idea di riprendere le lezioni: “È troppo presto per parlare di un ritorno a scuola (…) dato che non ci sono le condizioni minime adeguate” aggiungendo poi che “La nostra realtà culturale è diversa da quella dei paesi “sviluppati” menzionati come esempio per giustificare tale decisione”.

Nonostante il governo abbia il desiderio di far ripartire completamente l’economia del paese e di tornare alla normalità, non esistono ancora le condizioni necessarie per validare tale decisione. A inizio maggio l’indice di contagio del paese resta alto, con un numero di casi esponenzialmente in aumento. Lunedì 11 maggio i casi arrivano a 30.063, con 323 decessi e 13.605 guariti.

Fanno parlare anche le modalità di conteggio dei casi e dei morti nel paese. Il 7 aprile il ministro della salute Mañalich informava che : “Al momento abbiamo 898 pazienti che hanno cessato di essere una fonte di contagio e li abbiamo inclusi nella lista dei guariti” aggiungendo però che “queste sono le persone che hanno terminato i 14 giorni di diagnosi e che, purtroppo, sono morte”. Sempre secondo le sue parole, l’inserimento dei morti nella lista dei guariti è stato attuato perché consigliata da “esperti internazionali”.

Anche per quanto riguarda il numero dei casi, la veridicità dei numeri riportati è molto discutibile. Come è ben noto, il numero di contagiati riportato nei conteggi ufficiali dipende sempre e comunque dalla quantità di test attuati sulla popolazione; basandosi su questo metodo di raccolta dei dati, quindi, si può facilmente manomettere artificialmente la curva dei contagi. Nel caso del Cile, prendendo in considerazione la quantità di test giornalieri svolti, è facile intendere che i numeri ufficiali siano molto arbitrari.

Nonostante il ministro Mañalich affermi che il paese ha la possibilità di testare 11mila persone giornalmente, nella realtà si realizzano dai 3 a 4mila test, con giornate eccezionali in cui si toccano i 7 mila test. In questo modo, è facile nascondere alla popolazione i conteggi ufficiali, ed è ancora più semplice ingannare sull’effettiva capacità del paese di far ripartire l’economia senza grandi contagi e, quindi, senza grandi perdite.

Il 29 aprile arriva una nuova scioccate rivelazione dal ministero della salute: “In data odierna inizieremo a conteggiare nella lista ufficiale dei contagi due categorie di persone risultate positive al Corona virus: la categoria che abbiamo da sempre considerato nei conteggi dei casi, ossia quella dei pazienti affetti che presentano sintomi, e una nuova categoria, quella delle persone asintomatiche che sono risultate positive al tampone”.

Con tale dichiarazione, il Governo ha esplicitamente fatto intendere di aver riportato per ben 55 giorni delle numerazioni incomplete, volontariamente sfalsate, includendo nei conteggi ufficiali solo una parte dei malati Covid del paese.

E mentre il governo falsifica i dati ufficiali, gli ospedali del paese si trovano in serie difficoltà nel dover affrontare un’emergenza sanitaria di tali portate. Se già il sistema sanitario pubblico presentava gravi crepe, è sempre più evidente la difficoltà delle strutture nell’accogliere le necessità sanitarie dei cittadini. Il paese al momento dispone di 677 respiratori e, secondo le parole del governo, saranno spostati da una parte del all’altra del paese, a seconda delle necessità.

Il ministro Mañalich rassicurava qualche settimana fa di star aspettando una donazione cinese di 500 respiratori; in realtà, la veridicità di tale dichiarazione è stata subito smentita dall’ambasciatore cinese in Cile, il quale ha fatto sapere di non saperne niente al riguardo.

Al problema dei respiratori si somma la mancanza di protezioni mediche basilari per il controllo della pandemia negli ospedali e negli altri centri sanitari. Lo denunciano tanti operatori sanitari in tutto il paese, i quali soffrono più di tutti le insensate scelte governative.

Gabriela, un’infermiera di una clinica di dialisi in un paesino nella regione del Bio Bio, nel sud del Cile, afferma così: “Ancora non abbiamo avuto casi di pazienti affetti da Coronavirus nel nostro centro, ma la preoccupazione è tanta. Qualche giorno fa è però uscita la notizia che la nostra clinica è stata destinata a diventare un centro di accoglienza per malati Covid”. Continua poi affermando che “Io e gli altri operatori sanitari del centro non ne sapevamo niente. Ci si è gelato il sangue al solo pensiero di dover affrontare una situazione del genere senza protezioni mediche adeguate. Nessuno ha avuto il buonsenso di avvisarci, abbiamo scoperto la destinazione del nostro centro a malati Covid tramite le notizie in radio e in televisione”.

Grazie alla sua testimonianza è facile capire la tragica situazione sanitaria negli ospedali: “Devo usare una mascherina clinica per tutta la durata della giornata. Prima ci hanno detto che teoricamente avremmo dovuto indossare una nuova mascherina ogni 3 ore, ma poi ci hanno obbligati a utilizzarne una sola al giorno”.

Il problema più grande del paese non è la mancanza di fondi per finanziare una migliore sanità, un’educazione più efficace, per fornire aiuti economici più completi alle classi sociali più deboli; la crescente economia di uno degli stati più sviluppati del Sud America riuscirebbe a sostenere tali spese, ma il governo neoliberista in carica preferisce investire il proprio denaro per privilegiare l’élite imprenditoriale e per fornire alle forze dell’ordine maggiore capacità repressiva.

Infatti, si conta che dal 2011 al 2019 il governo abbia speso quasi 6 milioni di dollari solo per l’acquisto di materiale anti-sommossa, di lacrimogeni e di proiettili a piombini. Solo nel 2019, per reprimere adeguatamente le grandi rivolte cittadine, lo stato aveva investito più di un milione di dollari. E mentre lo stato spende sempre più per reprimere con il sangue le richieste popolari, non smette neanche per un attimo di ricordare al popolo la mancanza di denaro per finanziare la creazione di un welfare state più equo e giusto.