Dalla Bolivia all’America Latina

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24 Novembre 2019

Cronache da un continente in rivolta

In Bolivia la massiva mobilitazione contro il golpe civile-militare non si è mai fermata mentre nelle stanze del parlamento la destra golpista e la rappresentanza del MAS, il partito di Evo Morales, cercano una via d’uscita legislativa e cercano di fissare le elezioni per il 12 gennaio.

Se la “crisi boliviana” si affronta guardando alle stanze della politica istituzionale la storia sembra parlare di una convergenza democratica tra maggioranza e opposizione, e che l’autoproclamata presidentessa Anez stia guidando la transizione elettorale.

Ma se la stessa crisi si guarda dalle strade del paese si può vedere una realtà diversa, con morti, violenza di polizia, minacce, repressione. Non solo contro la popolazione che nelle piazze chiede la rinuncia dell’attuale governo, ma anche contro parte del partito di maggioranza come con l’arresto del vicepresidente del MAS Gerardo Garcia e con il mandato d’arresto della procura della repubblica contro l’ex ministra della Cultura Wilma Alanoca.

Dopo oltre un mese di blocchi e proteste la popolazione di Bolivia è stremata. In molto sono stati in piazza dal 20 ottobre, prima contro la presunta frode elettorale di Morales, e dopo contro il tentativo di golpe delle destre.

La pluralità non polarizzata della società organizzata di Bolivia ha di fatto aperto lo squarcio sociale che ha portato alla dipartita di Morales e poi bloccato il golpe.

Certo, tra i tanti in piazza in maniera costante, un certo numero di effettivi sono cambiati. Dopo il voto e l’inizio della protesta le destre hanno preso parte alle mobilitazioni, per poi sparire dopo il 10 novembre. Dal giorno della rinuncia di Morales poi sono scesi in strada i blocchi sociali masisti.

In questa unione di lotta, stanchezza, militarizzazione, morte e paura di una prossima fascistizzazione la voglia di pace attraversa anche i movimenti sociali.

Tanto che quotidiani boliviani scrivono “i leader della Federazione dei Comitati di quartiere di El Alto (Fejuve), oltre che i leader dei 14 distretti di El Alto hanno accettato la richiesta del governo di un dialogo per raggiungere accordi che consentiranno di pacificare il paese; Tra le richieste spicca la richiesta di dimissioni del presidente del governo di transizione, Jeanine Áñez.

“Risponderemo alla richiesta di dialogo e poi andremo al tavolo di lavoro”, ha detto il capo di uno dei Fejuve de El Alto, Fernando Condori, in una conferenza stampa. Giorni fa, il ministro della comunicazione, Roxana Lizárraga, ha convocato gli abitanti dei 14 distretti della Città Alternata e delle 20 province di La Paz per un dialogo e un tavolo di lavoro al fine di soddisfare le loro esigenze e quindi cercare soluzioni e pace per il paese”.

La necessità del governo golpista di cercare il dialogo, così come la scelta dei masisti di disconoscere Morales all’interno del parlamento per portare avanti il possibile processo elettorale racconta della forza messa in campo dai movimenti sociali di Bolivia, una forza oltre la polarizzazione che pare la miglior difesa immaginabile per un futuro di democrazia nel paese latino americano.

Una sorta di caso studio, che fa il paio con le nuove forme di colpo di stato che le forze reazionarie e del grande capitale stanno escogitando nel continente.

Allo stesso tempo la crisi boliviana mette a nudo il fallimento dei governi delle sinistre progressiste ma apre le porte alle nuove forme di protesta costituente che vedono nelle popolazioni originarie e indio, nelle variopinte forme del femminismo, e nelle studentesse e studenti un elemento di novità radicale diffusa lungo tutto il latinoamerica e che sta mettendo in grande difficoltà i poteri politici ed economici dal Cile, all’Ecuador, passando per la Bolivia e Colombia.