24 Ottobre 2019
Come fiction, tv, stampa e social raccontano il continente in Italia
Esiste un confine sottile tra la cattiva informazione e le fake news. Mentre le seconde sono diffuse con il preciso scopo di disinformare, nel primo caso – spesso – si tratta di mancanza di competenza.
Diventa sempre più importante, in questo senso, la collaborazione tra settori dell’informazione e della società civile per contribuire a informare correttamente, liberando il racconto della realtà da stereotipi e orientalismi, che ancora sono molto radicati nella stampa e nel giornalismo italiano, finendo poi per influenzare anche la proiezione sui social network di una realtà distorta.
Un esempio di come venga raccontata male una realtà complessa è l’Africa. A partire dalle generalizzazioni, quando si parla di un continente enorme e pieno di differenze, fino a una visione che tende a semplificare dinamiche intricate.
Due realtà competenti possono produrre un ottimo lavoro. E’ il caso del rapporto L’Africa mediata – Come fiction, tv, stampa e social raccontano il continente in Italia, nato dalla collaborazione tra l’ong Amref (fondata in Kenya nel 1957) e l’Osservatorio di Pavia, una delle realtà più competenti in tema di analisi dei linguaggi dei media in Italia.
“Da qualche anno ormai, attraverso i media, nelle nostre case entra un’Africa fatta di piccole imbarcazioni ribaltate, di teste che annaspano nel mare, di salvataggi di fortuna. Un’Africa che è più facile ritrovare tra le pagine di cronaca che nei reportage di viaggio o tra le rubriche culturali. Possiamo accontentarci di questo?” si chiede il rapporto nell’introduzione. No, non possiamo, anche perché i contesti di provenienza sono i grandi assenti del discorso pubblico sulle migrazioni.
Sono stati analizzati dai ricercatori dell’Osservatorio di Pavia 30 episodi di serie televisive, 65 programmi di informazione di 7 reti generaliste, 80mila notizie monitorate sui telegiornali di 9 reti televisive, 8mila notizie analizzate su 6 quotidiani nazionali, 21,6 mila post Facebook e 54mila tweet di 8 testate giornalistiche.
Quali sono i risultati? Una rappresentazione sommaria e dedicata troppo a elementi negativi, un racconto che parte da stereotipi acquisiti (fame, povertà, mancanza di storia) che non approfondisce nessun tema e che ne parla solo con gli strumenti dell’emergenza e della mancanza di approfondimento.
Questo lavoro di cattiva informazione rafforza e amplifica il discorso pubblico sui social network, con un effetto di amplificazione che genera e rafforza stereotipi e semplificazioni.
Esistono anche buone pratiche, che comprendono un giornalismo approfondito e competente e alcuni prodotti di massa, come le serie televisive, che lentamente iniziano a ‘normalizzare’ personaggi africani senza stereotipi. Resta molto il lavoro da fare, ma non è impossibile ed è necessario.
“Rappresentare l’Africa in un modo più consapevole, deontologicamente e intellettualmente onesto, si può. Esiste un modo più aderente alla verità per parlare non di “Africa” ma delle tante “Afriche” che il grande continente nostro vicino contiene. Questa ricerca vuole essere un gesto di stimolo, dunque di fiducia verso il mondo dei media, del giornalismo, dell’informazione e dell’intrattenimento.”
Iniziando dal racconto delle buone pratiche e delle storie positive, che ci sono e sono tante. “Queste buone pratiche vanno valorizzate all’interno delle reti, dei palinsesti, dei canali, perché possano contaminare il panorama mediatico italiano – conclude il rapporto – Oggi siamo noi a farlo, ma considereremmo una vittoria se un giorno non lontano fossero le reti e una fetta sempre più ampia dell’opinione pubblica a premiare chi lavora in questa direzione, attraverso la più semplice delle forme di riconoscimento: la scelta.”