In relazione alla gestione della cosiddetta “fase della convivenza con il virus”, il dibattito si è incentrato sui concetti di prudenza e di ottimismo mettendo spesso i due atteggiamenti in antitesi, confondendo la prudenza con un eccesso immotivato di cautela (fino al catastrofismo) e l’ottimismo con una pericolosa minimizzazione dei fatti (fino al negazionismo).
Molti professionisti del settore hanno, invece, posto giustamente la questione della presenza dell’impostazione scientifica nelle affermazioni riguardanti gli atteggiamenti presi in merito al rischio di contagio, liberando così il campo dalla falsa contrapposizione tra catastrofisti e negazionisti e ponendo il problema su ciò che è giustificato scientificamente e ciò che non lo è.
Da psicoterapeuti vorremmo tentare di approfondire il dibattito proponendo alcune associazioni tra tali atteggiamenti e concetti propri della nostra professione.
Una possibile associazione che vorremmo proporre è quello tra eccessiva prudenza e istanza superegoica.
L’istanza superegoica è una rigidità e una severità di giudizio dettata da una realtà interna opprimente derivata dall’interiorizzazione di pensieri altrui (di persone o culture di riferimento), senza che vi siano state proprie elaborazioni personali. Provate ad immaginare una sorta di poliziotto sadico che vi segue tutto il giorno dandovi ordini.
Vediamo che, come la minimizzazione del problema non può essere considerata una risposta reale all’eccesso di prudenza, così all’istanza superegoica non possiamo rispondere con quella che potremmo definire “ribellione distruttiva”.
Per capire quanto la “ribellione distruttiva” sia l’altra faccia della medaglia e non una reale risposta, immaginatevi che per far dispetto a quel poliziotto vi mettiate a passare con il rosso a tutti i semafori che incontrate, finendo per rinforzare le ragioni del poliziotto stesso.
Quindi ciò che può realmente contrapporsi all’istanza superegoica è una valida capacità personale di rapportarsi con la realtà umana altrui, anche ribellandosi, ma stavolta per reale conoscenza e non per dispetto aprioristico.
Questo sottende una ricerca del latente (atteggiamento scientifico). Ossia, quando ascoltiamo un’affermazione che determina l’interruzione di un comportamento pericoloso, la possiamo considerare di per sé giusta ma, allo stesso tempo, dobbiamo sapere che potrebbe nascondere un senso diverso (latente).
Per fare un esempio: un genitore può dire di non sporgersi dalla finestra ad un figlio per interesse “Ti aiuto a capire qualcosa che ancora non sai per far sì che da solo saprai cavartela” o per intenti paralizzanti “ti dico cosa fare perché tu non sarai mai in grado di vivere senza di me”.
Sempre con lo stesso atteggiamento scientifico proponiamo anche l’associazione tra ottimismo minimizzante di stampo negazionista e fatuità, che vanno distinti da un adeguato rapporto con la realtà attraverso, anche in questo caso, la giusta attenzione a ciò che è latente. Prendiamo ad esempio questa volta un genitore che lascia una libertà ad un figlio; la domanda conseguente sarà: lo fa perché si fida di lui o, contrariamente, per disinteresse?
Una sana contrapposizione sarà possibile allorquando si riesca a scorgere e distinguere gli intenti delle affermazioni che ci vengono rivolte.
Solo un’adeguata conoscenza del latente ci permette di fare un rapporto con la realtà che non cada nella distruttività. Riprendendo gli esempi fatti: se riconosco un intento paralizzante saprò rifiutarlo senza precipitare dalla finestra, se riconosco un disinteresse saprò indignarmi senza rinunciare alla libertà.
Tutto ciò ci spingerebbe a fare maggiore attenzione al senso che può celarsi dietro agli aspetti politici e culturali attuali, ma per ora ci fermiamo qui.
Quello che ci interessa al momento è riflettere, e far riflettere, sulle dinamiche umane non sempre visibili, che si possono nascondere negli eventi della vita e della storia degli esseri umani. Nello specifico ci interessa mettere a fuoco che spesso non è tanto importante quanto un’affermazione sia corretta nel suo significato letterale perdendosi nei dettagli, ma con quale senso (spesso non cosciente) venga espressa. Perché noi esseri umani abbiamo come nostra specificità quella di vivere sempre cercando risposte oltre ciò che appare nella realtà; anche senza volerlo cerchiamo continuamente, a rischio costante dell’errore, di dare un senso che travalichi il primo significato di ciò che ci si presenta di fronte.
Per concludere, ribadendo l’importanza dell’atteggiamento scientifico inteso come vedere oltre le apparenze, affermiamo che questo “vedere” necessita di una particolare procedura conoscitiva che si basa innanzitutto su una sensibilità specificamente umana capace di cogliere soggettivamente il senso, l’intenzionalità delle comunicazioni altrui e di reagire affettivamente. Ma questo “sentire” ancora non basta per giungere alla conoscenza, occorre, inoltre, la capacità di tradurre le sensazioni in pensiero espresso con immagini o con parole, al fine di avere idee chiare su cosa e perché rifiutare o accettare.
Questa ricerca vive di speranza e di attenzione intrise di incertezza. Perciò, se proviamo a pensare all’ottimismo come ad una speranza e alla prudenza come ad un’attenzione, capiremo quanto sia necessario trovare la giusta armonia tra questi due atteggiamenti.
Cooperativa Sociale di Psicoterapia Medica – Roma
Matteo Reggio d’Aci, Francesco de Michele, Giovanni Del Missier, Piera M. Galeandro, Luana Testa