Lo strano golpe boliviano

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12 Novembre 2019

Pubblichiamo questa cronaca di Andrea Cegna, che sta seguendo gli eventi boliviani dal Messico, luogo in cui ha chiesto asilol’ex presidente Evo Morales.
Una sola nota, che abbiamo concordato con Andrea. La parola golpe ha acceso dibattito in rete in questo caso. È, come scrive l’autore, un golpe facilitato, cioè una occasione irripetibile propiziata dagli ultimi passaggi imposti da Morales. Siamo di fronte a un golpe, ma un golpista che entri a palazzo non si è visto per diverse ore, anche se a molti ovviamente farebbe gola. Mentre il caos si è impadronito delle strade e le cariche pubbliche sono andate deserte dalle dimissioni a catena. Ecco perché parlare di golpe può sembrar strano, ma nell’articolo di Cegna leggerete anche chi si è infilato negli ultimi mesi di politiche sorde dell’ex presidente verso quegli stessi movimenti popolari che lo avevano sostenuto e che non hanno più avuto ascolto.
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La “strana” fine dell’esperienza politica di Evo Morales, in Bolivia, arriva con un golpe civile, militare e poliziesco. Ma ancora prima della postura militare e dell’opposizione sono stati i movimenti sociali a “consigliare” a Morales di dimettersi, tra questi anche Central Obrera Boliviana, suo bastione elettorale per molti anni. Abbandonato da chi l’aveva messo al potere (movimenti) e da chi lui ha in parte garantito (esercito) l’ex presidente non ha avuto altra scelta che dimettersi.

Lo spazio affinché le destre reazionarie del paese trovassero nell’esercito e nella polizia un supporto nella cacciata, manu militari, di Morales e del suo stato maggiore è stato fornito dallo stesso ex presidente, che con le forzature alla costituzione per ricandidarsi e “l’attacco sistematico ai movimenti popolari che lo portarono al Palazzo Bruciato” ha aperto uno squarcio tra di se e la popolazione boliviana.

Il 20 ottobre sono arrivate le elezioni presidenziali con una gestione folle dei risultati da parte del partito di governo, che ha fornito la benzina alle destre boliviane per agire. La mattina del 10 novembre, è arrivato anche il verdetto dell’Organizzazione degli Stati Americani sulle irregolarità delle elezioni, quindi Evo Morales ha annunciato il rinnovo dei membri del Tribunale Supremo Elettorale e nuove elezioni generali. Risultato: rifiuto delle destre e contrarietà dell’esercito. Il capo delle forze armate, Williams Kaliman ha dichiarato in diretta tv “dopo aver analizzato la situazione del conflitto interno, suggeriamo al presidente dello Stato di rinunciare al suo mandato presidenziale, permettendo la pacificazione e il mantenimento della stabilità per il bene della nostra Bolivia”.

Come evidenzia Raul Zibechi, su Desinformemonos, “non possiamo dimenticare che in questo momento la destra razzista, coloniale e patriarcale possa approfittare della situazione per imporsi e causare un bagno di sangue. La vendetta politica e sociale delle classi dirigenti è latente come negli ultimi cinque secoli e deve essere fermata senza esitazione”. Il golpe civile, militare, poliziesco si basa quindi su una matrice etnica e classista e cerca di imporsi come unica alternativa d’opposizione in Bolivia. Le destre, come in gran parte del continente, fremevano ma la stabilità politica, unita alla crescita economica della Bolivia, non davano loro spazi per portare attacchi all’esperienza del MAS. Allo stesso tempo non si placava l’opposizione a sinistra.

Il golpe, se si guarda in superficie, ha uno sviluppo quanto meno particolare: dopo le dimissioni di Morales, e di tutte le alte cariche dello stesso, il presunto leader dell’opposizione Camacho è entrato nel palazzo del governo, con bibbia e bandiera di Bolivia. Le destre hanno attaccato l’ambasciata del Venezuela e minacciato il corpo diplomatico di Cuba e Messico. Saccheggiavano la casa di Morales e di altri dirigenti del MAS. Né Camacho, né Mesa (avversario elettorale di Morales) hanno preso il potere, l’esercito si è apprestato a dire che non avrebbe attaccato la popolazione. Un colpo di stato senza che nessuno si proclami presidente. Certamente strano.

Ma se guardiamo attentamente vediamo che nelle stesse ore la Federazione dei consigli di quartiere (Fejuve) di El Alto si dichiarava in lotta contro il golpe. La potente organizzazione sociale, attiva nelle lotte sociale già prima dell’arrivo di Morales e epicentro dello proteste anti-governative proprio contro l’ex presidente nel 2010 , fu decisiva nella caduta, nel 2003, del presidente Gonzalo Sánchez de Lozada e dell’espulsione di Aguas del Illimani, sussidiaria della multinazionale Suez.

L’organizzazione, poche ore dopo la “rinuncia” di Morales, tramite una conferenza stampa, invitava a “formare comitati di autodifesa, blocchi, mobilitazione permanente e forte, in diversi settori del quartier generale del governo”. E ha “invitato” la polizia a difendere la popolazione boliviana “se no, daremo indicazione di costruire la polizia del sindacato per farlo”.

Come la Fejuve di El Alto altre organizzazioni prendevano posizione e si riversavano in strada, non per difendere Morales ma per fermare il golpe.

I golpisti incassavano la sconfitta di Morales ma non la pacificazione popolare, pare che proprio per questo si siano dovuti fermati. Forse l’asse opposizione-polizia-esercito non ha trovato una convergenza nello scontro armato con la popolazione. La destra reazionaria forse considera che la dipartita di Morales e la perdita di credibilità del MAS dopo la gestione elettorale del 20 ottobre lasci una parte importante di paese senza un riferimento elettorale e quindi il “banco” boliviano può essere ora conquistato aspettando le nuove elezioni. E forse non è un caso che il segretariato generale dell’Organizzazione degli Stati Americani abbia respinto “qualsiasi uscita incostituzionale alla crisi in Bolivia” e abbia esortato ad assicurare lo svolgimento di nuove elezioni, convocando una riunione del gruppo su spinta dei paesi governati dalle destre: USA, Brasile e Argentina.