di Paolo Riva
25 Luglio 2020
A Venezia, la pandemia ha fermato i turisti, ma non chi, grazie alla cultura, fa gli schei. E ha in mente un’idea di città diversa
Filippo Ranchio parla di Venezia con grande trasporto. Ci è nato e cresciuto e, dopo un periodo all’estero, ci è tornato. Ora, a 36 anni, vive in centro storico, con moglie e figlia. “Con i prezzi che ci sono qui, l’affitto di casa è l’unico lusso che mi concedo”, dice ridendo. Scherza, ma fino a un certo punto. Anche a causa dei costi delle abitazioni, di residenti a Venezia ce ne sono sempre meno. Nel centro storico, nel 1950 vivevano 180mila persone, ora sono 50mila scarse. Per contro, i turisti, nello stesso periodo, sono passati da uno a trenta milioni. All’anno.
Pur lavorando vicino a Rialto, Filippo non è occupato in questo settore. È il responsabile per il mercato estero della Grafiche Veneziane, una tipografia storica costituitasi cooperativa che impiega 14 persone. Lui è uno dei soci lavoratori. “Facciamo prodotti di alta qualità e abbiamo una gran numero di clienti stranieri: svizzeri, tedeschi, statunitensi… Lavoriamo molto con l’editoria d’arte e indipendente”, spiega. In città, però, sono poco conosciuti. “Mi è capitato più volte di vedere gente del posto stupita di trovare in centro storico una realtà produttiva come la nostra”, ragiona Filippo.
L’economia di Venezia è ormai indissolubilmente legata al turismo. Persino alcuni abitanti si sorprendono che resistano altri tipi di imprese. Eppure ci sono. E, quando la pandemia è arrivata, hanno provato a farsi sentire.
“Il Coronavirus ha fermato completamente l’economia di Venezia, già provata dall’acqua granda di novembre”, continua Filippo. “Come azienda, abbiamo avuto un calo del lavoro di oltre il 50 per cento. I dipendenti sono in cassa integrazione e noi soci lavoriamo a turno”.
Ciò nonostante, Grafiche Veneziane è stata una delle realtà che, proprio nel momento di maggior sconforto, quando i flussi turistici erano totalmente azzerati e la Biennale di Architettura è stata posticipata da quest’anno al prossimo, ha lanciato il progetto Money Must Be Made.
“È una provocazione: abbiamo voluto mostrare che, anche a Venezia, c’è la possibilità di generare occupazione e ricchezza con il lavoro culturale. E non solo con il turismo, che nel frattempo si è fermato”.
“È una provocazione: abbiamo voluto mostrare che, anche a Venezia, c’è la possibilità di generare occupazione e ricchezza con il lavoro culturale. E non solo con il turismo, che nel frattempo si è fermato”.
Per farlo, alcuni studi grafici cittadini hanno realizzato il design di otto banconote false, a tema, e Grafiche Veneziane le ha stampate in 4mila copie, che sono state imbustate e, ad inizio luglio, consegnate nelle caselle della posta degli abitanti del centro storico. “Non è stato facile trovare 4mila case abitate”, ricorda Filippo. Da tempo, ormai, a Venezia, è molto più facile (e redditizio) usare gli immobili per i turisti che per abitarci.
Secondo Inside Airbnb, su Airbnb, per il centro storico, ci sono 12 annunci ogni cento abitanti e il ricavo mediano annuale di un proprietario che affitta un’intera casa supera i 17mila euro.
Il turista, secondo i promotori di Money Must Be Made, è come il cormorano ritratto su una delle false banconote. Da un lato, è una delle specie protette della Laguna. Dall’altro, è un uccello che ogni giorno mangia talmente tanto pesce da distruggere l’ecosistema in cui vive. Allo stesso modo, l’economia di Venezia, per come è oggi, ha bisogno di quei turisti che stanno disgregando il tessuto sociale cittadino.
“È un circolo vizioso, che però la tragedia del Covid ha fermato”, ragiona Filippo. “Il nostro progetto è un tentativo di far emergere quella Venezia alternativa che, attraverso il proprio lavoro, non si rassegna ad un’immagine stereotipata di città, priva di futuro e in balia di incontrollati flussi turistici”.
“Money Must Be Made – si legge nel manifesto che ha accompagnato l’iniziativa delle banconote ed è stato firmato da oltre mille persone – è un invito a riscoprire Venezia come una città normale, attiva sul mercato, dinamica pur nella sua intrinseca lentezza. È un tentativo di pensare a un futuro sostenibile che metta veramente al centro dell’agenda politica l’industria culturale come fonte di ricchezza, lavoro e occupazione”.
Per questo, le lettere con le banconote sono state spedite anche a tanti protagonisti della vita culturale cittadina, ai politici e alle istituzioni. “Abbiamo avuto molte reazioni, di affetto e soprattutto d’interesse. L’obiettivo di Money Must Be Made è stimolare una riflessione: vediamo cosa succederà nei prossimi mesi”, commenta Filippo.
“È un circolo vizioso, che però la tragedia del Covid ha fermato”, ragiona Filippo. “Il nostro progetto è un tentativo di far emergere quella Venezia alternativa che, attraverso il proprio lavoro, non si rassegna ad un’immagine stereotipata di città, priva di futuro e in balia di incontrollati flussi turistici”.
I soldi – o meglio, gli schei come si dice nel dialetto locale – in qualche modo bisogna farli. Ma il turismo non è l’unica possibilità, secondo i promotori del progetto. Venezia, che a settembre vivrà le elezioni comunali, può essere anche molto altro. E in parte già lo è, sostiene Filippo.
“Quando sono rientrato qui dopo anni in Germania, ero terrorizzato dall’idea di ritrovarmi in una città antica, ferma, che si crogiola nel suo passato. E invece no. Certo, i problemi ci sono, ma ho trovato molte teste, molti miei coetanei che vivono qui o che vogliono rientrare. Sento un senso di appartenenza e comunità rari. C’è una dimensione quasi da paese unita ad aperture internazionali importanti. Del resto, Venezia è sempre stata una città aperta, capace di intrecciare relazioni importanti. Dovrebbe tornare a esserlo”.