Lo scorso 16 febbraio tutto sembrava pronto per le elezioni presidenziali in Nigeria, ma ecco un colpo di scena che nessuno si aspettava.
Solo cinque ore prima dell’apertura dei seggi la commissione elettorale indipendente (INEC) decide di posticipare l’appuntamento di una settimana. Moltissimi cittadini e cittadine erano rientrate nel loro comune di nascita per votare, alcuni erano già in coda ai seggi quando è arrivata la notizia.
Le “complicazioni” causa del ritardo sono state attribuite a problemi logistici, in particolare alla mancata consegna del materiale necessario al funzionamento del nuovo sistema di voto elettronico.
Infuocata la dichiarazione di Atiku Abubakar (People Democratic Party), business man, ex vicepresidente e principale sfidante del presidente in carica Mohammed Buhari (All People Congress): “Il piano è quello di provocare la cittadinanza, nella speranza di innescare una reazione negativa e usarla come scusa per ulteriori azioni anti-democratiche”.
Una cosa è certa, questo slittamento ha avuto pesanti conseguenze sull’affluenza elettorale, che si è fermata al 35.6% mentre quattro anni fa aveva raggiunto il 44%. Non solo frustrazione e disillusione, ma anche problemi pratici per le persone che avevano viaggiato e sono dovute rientrare al lavoro.
Il 23 febbraio i seggi hanno aperto all’alba, in un clima tutto sommato tranquillo, seppure alcune violenze legate al terrorismo islamico sono state registrate nello stato di Yobe e del Borno (entrambi nel Nord-Est del paese), mentre nello stato del River ci sono state sparatorie presso i seggi tra gruppi armati e forze di sicurezza.
Lunedì cominciano ad arrivare i risultati per i singoli stati. In un primo momento Atiku sembra in vantaggio, poi però l’ago della bilancia si sposta in modo sempre più deciso a favore di Buhari.
Mercoledì ne viene annunciata ufficialmente la vittoria con oltre 15 milioni di voti, quattro in più rispetto allo sfidante. Nonostante il malcontento di larghe fasce della popolazione, il paese riconferma il presidente uscente in un’elezione che gli analisti hanno sempre considerato come una sorta di referendum sul suo mandato.
Lui vince, ma la Nigeria è spaccata: il Sud schierato con l’opposizione e il Nord fedele al presidente. A Lagos e Kano (i due stati più popolosi del paese) vince Buhari, mentre Atiku conquista per un soffio la capitale Abuja.
Un dato sicuramente interessante è la forte discrepanza nella partecipazione al voto. Nel Sud hanno votato davvero in pochi; molto più alta l’affluenza al Nord, anche in stati come il Borno dove, a causa dei conflitti e degli attentati, c’è un altissimo numero di sfollati (400mila secondo l’INEC) chiamati a votare in seggi straordinari all’interno o nei pressi dei campi profughi.
Il divario tra Nord e Sud è sicuramente emblematico dei problemi del paese. Per chi vive nel Nord la priorità non può che essere la lotta al terrorismo e il ripristino della sicurezza nazionale, nel Sud invece il malcontento verso l’operato del presidente è molto più forte e l’impatto dei suoi scarsi successi in ambito economico molto più sentito.
Fin da subito si comincia a parlare di irregolarità. In prima istanza viene contestata l’applicazione di un “doppio standard” per cui nel Sud si rispetta rigidamente il sistema di votazione elettronico, mentre nel Nord, dove l’APC spopola, si opera in deroga, permettendo il conteggio manuale dei voti che rende automaticamente più facile la manipolazione dei risultati.
In alcuni seggi il voto continua nella giornata di domenica, quando le urne dovrebbero essere già sigillate; in altri i voti sono maggiori del numero di votanti accreditati. Le testimonianze riguardo la compravendita dei voti sono numerose e bilaterali. Molto contestato anche l’alto numero di schede invalidate in luoghi dove il PDP ha vinto. In termini generali, l’Election Network denuncia il numero record di voti annullati – il doppio rispetto alle precedenti elezioni – cartina di tornasole delle diffuse irregolarità verificatesi in tutto il paese.
A fare ombra sul successo elettori di Buhari ci sono anche le molte morti causate da violenze riconducibili alle elezioni: 39 solo nelle giornate di sabato e domenica (soprattutto nel già menzionato stato del River) e più di 300 dall’inizio della campagna elettorale.
Atiku Abubakar dichiara il processo elettorale una farsa e rifiuta la sconfitta. Adesso ha pochi giorni di tempo per intraprendere un’azione di ricorso legale.
Terreno scivoloso su cui però Buhari ha giocato d’anticipo, attirando critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani e dalla comunità internazionale. Circa un mese fa, il presidente aveva infatti sospeso Walter Onnoghen – capo della Corte Suprema, chiamato a decidere in caso di dispute elettorali – sostituendolo con un uomo a lui più vicino, Ibrahim Muhammad Tanko.
Difficilmente il risultato potrà essere ribaltato, molti nel paese pensano che Atiku dovrebbe accettare la sconfitta e nessun osservatore internazionale si è schierato in suo sostegno. Sembra proprio che Buhari avrà a disposizione altri quattro anni per tenere fede al programma – incentrato soprattutto sulla lotta al terrorismo e alla corruzione – che finora non è riuscito a realizzare