di Andrea Cegna
24 Maggio 2020
Un commento e una lettera per gli operatori delle performance dal vivo
Fase 2, riaperture, turismo…di cultura, se non di quella “ufficiale” – museale e archivista – non si è mai parlato fino al discorso di Conte del 13 maggio.
E poi ancora presentando il DPCM del 17 maggio quando ha annunciato una “ripartenza” del mondo dello spettacolo dal 15 giugno. Qualche giorno prima aveva detto che anche gli artisti possono accedere ai 600 euro dall’Inps per marzo, aprile e maggio.
Centinaia di migliaia di persone che lavorano nei campi di cinema, teatro, e musica ora sanno qualcosa del loro futuro.
Il mondo dello spettacolo è storicamente segnato da una frammentazione contrattuale simile a quello della logistica, e in parte dal sommerso. Così non tutte e tutti possono accedere alle misure di ammortizzazione sociale, e se prendiamo a esempio quello dei lavoratori “autonomi” e dello spettacolo si potrebbe dire che è una piccola elemosina che permette di boccheggiare ma non di vivere.
Le voci parlavano di uno stop generalizzato fino al 2021. Ma il governo non sa come garantire la sostenibilità di tutti quei lavoratori che sarebbero fermi per troppi mesi. O meglio non è che non sa, non vuole impegnare i miliardi di euro necessari a garantire il reddito per queste persone.
Durante la fase del gran silenzio e del vuoto di certezze si sono moltiplicate virtuose idee fatte da chi nel rispetto del distanziamento fisico, e delle regole di cura collettiva, provava a strappare delle possibilità di lavorare anche nel breve periodo e non aspettare cura o vaccino.
Forse mai come oggi il mondo della musica ha provando a parlarsi, a ragionare su un breve futuro diverso e possibile.
Tra i progetti più interessanti citerei Bike-In di Shining Production, Slow Music progetto nato, pensato e alimentato da Claudio Trotta, fondatore di Barley Arts e incredibile appassionato di musica, e per chiudere La musica che gira, virtuoso progetto di sintesi tra diversi settori della musica e che ha scritto una lettera pubblica alla politica.
Il 15 giugno cinema, teatri e aree da concerto (ma non fiere e discoteche) ripartiranno. Il DPCM però ha una serie di punti problematici al suo interno, che non sono tanto i massimali di capienza (200 al chiuso e 1000 all’aperto) quando l’obbligo di distanza fisica anche per gli artisti (durante l’esibizione) e il divieto non solo di vendere cibo e bibite ma anche di consumarle.
Da una parte il punto è distorto per logica visto che in situazioni similari, per distanza e regole generali, a bar e ristoranti la somministrazione è permessa, ma soprattutto traduce l’idea di spettacolo asettico, svuotato di ogni contatto umano (posti a sedere distanziati, ingressi e uscite scaglionate, percorsi obbligati per raggiungere il posto pre assegnato, bagni divisi).
Di fatto non si avranno i commenti del/nel foyer ne quattro risate con amici che non ti aspettavi di vedere in quel luogo. Tutto questo rischia anche di ledere, in maniera importante, la sostenibilità dell’evento e l’avvicinarsi di rialzi sul costo del biglietto, che diventerebbe per l’organizzatore l’unica possibilità di ricavo, accrescono.
Ma tra chi ha preso parola sulla musica in questo momento, con una lettera, ci sono anche tre realtà autorevoli ma con una storia e ruolo particolare nel sistema musica. La festa di Radio Onda d’Urto, lo Sherwood Festival e il festival Alta Felicità hanno scritto una lettera dove pongono questioni importanti sul futuro della musica, affrontando quei problemi esistenti prima del Covid 19 e che con la pandemia rischiano di accrescersi.
Il caro concerti e la crescita dei costi per l’organizzazione dei concerti sono forse il problema più evidente e la lettera, senza giudicare scelte altrui, pone dei punti di discussione ampi che solo un dibattito collettivo, anche con alcuni dei soggetti sopracitati, può rendere “produttivo”.
La lettera delle tre realtà chiede di fatto al mondo della musica di ragionare sul come ripartire e sul ruolo sociale, e non solo economico, cha ha.
Riportiamo la lettera che in maniera puntale fa una disamina del mondo spettacolistico nel nostro paese
Cambiamo musica?
Una lettera aperta per aprire un confronto più che mai necessario
Il settore della cultura, e ancor di più dello spettacolo, è abbandonato e rimane sotto una coltre di imbarazzante silenzio. E’ un settore ad alta intensità di prossimità sociale perché la produzione culturale nel suo farsi ha bisogno di qualcuno che fruisce del suo “prodotto”. Gli eventi musicali (e spettacolistici in generale) dal vivo sono uno dei settori più colpiti dalle limitazioni imposte per contenere la pandemia Covid-19, anche per il loro perdurare. I tempi della ripresa della musica live sono colpevolmente indefiniti dal governo, la sorte degli “attori” di questo articolato mondo è più che mai incerta, il sistema è al collasso. Migliaia di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo, senza i quali questo mondo non potrebbe girare, sembrano essere invisibili: senza nessun tipo di tutela e sostegno economico.
Lo “shock” è profondo e l’impegno di ognuno finalizzato a “salvare il salvabile”.
Noi crediamo che sia importante cogliere questa occasione per riflettere, certo, sul qui e ora, ma allo stesso tempo siamo profondamente convinti che questa crisi può essere un’occasione straordinaria per ripensare completamente questo sistema. Ragionando di un’idea di resilienza che non sia, come da etimologia, il ritornare nella condizione in cui si era prima, ma che sia un’idea di resilienza che ti fa assumere un’altra forma. Questo trauma, questo schianto contro qualcosa che non ti aspettavi, potrebbe essere occasione per capire come ricominciare in maniera diversa, per aprire un confronto, una discussione.
A noi sembra evidente che qualcosa non funzionava perché è un “mercato” in cui vince il più ricco e il più forte. Da diverso tempo, prima dell’emergenza da Covid-19, abbiamo discusso e deciso che era arrivato il momento di prendere parola per denunciare la situazione, ormai insostenibile, in cui versa la musica live. Un tema di cui non si parla pubblicamente, soffocato da un silenzio assordante.
Questa lettera vuole lanciare un segnale per aprire un dibattito pubblico. Il tema è molto complesso, ne siamo consapevoli. Non vogliamo semplificare e molto ci sarebbe da dire e da approfondire. Per questo abbiamo scelto di partire da un dato oggettivo con il quale dobbiamo maledettamente fare i conti ogni volta che organizziamo un concerto o un festival. Da alcuni anni ormai stiamo assistendo ad un aumento importante dei costi della musica, in particolare dei cachet di artiste e artisti e delle produzioni. Ciò mette a rischio l’esistenza stessa della musica live, sempre più minacciata dal pesante monopolio esercitato dalle multinazionali.
Questa situazione è ancora più complessa per chi crede che i concerti, siano, prima di tutto, spazi di attivazione sociale e culturale. Per chi, nonostante tutto, crede che l’arte debba essere anche un diritto sociale. Il “sistema”, per come era prima, è destinato a far scomparire molte realtà medio piccole, che sono anche le prime a pagare questa crisi. Si rischia di snaturarne altrettante che invece vogliono rimanere libere e indipendenti nella proposta, nell’organizzazione e nel metodo. Si rischia di tenere in vita solo chi può permettersi di continuare a livellare, al rialzo, il costo dei biglietti. Oggi, poi, la posta in palio è decisamente più alta: ad essere messa in discussione non è “soltanto” la tenuta di un mercato già fragile di per sé; si sta rischiando non “solo” un patrimonio immenso e tangibile (monetizzabile dal mercato) accumulato da abilità professionali, capacità artistiche, creatività produttive, intelligenze e competenze, che, necessariamente vanno tutelate e salvaguardate.
Ciò che è in gioco è in fondo il “bene” più prezioso che sta alla base e fa girare la “giostra”, la natura e la funzione stessa dell’evento live, del concerto: lo stare insieme!
Sopra, sotto, dietro, ai margini, prima e dopo, fisicamente e metaforicamente… Su quello stesso palco ci vogliamo e dobbiamo tornare tutti e tutte, per emozionare ed emozionarci, per ridere, cantare, saltare, lavorare, litigare, sudare insieme. E per riuscirci non dobbiamo aver paura di cambiare, di metterci in gioco, di abbandonare interessi specifici, insomma di “guardare la Luna”.
In questo articolato mondo alcuni/e possono fare delle scelte, possono mettere in campo dei rapporti di forza, possono esprimere e rivendicare una differenza. Lo sappiamo perché noi lo facciamo da quando esistiamo. Giochiamo nella contraddizione, con passione ma anche con professionalità e competenza cerchiamo di costruire spazi dove la musica abbia una grande importanza ma allo stesso tempo non sia un “prodotto” senz’anima. Siamo riusciti a costruire festival o concerti, nei quali si crea un’atmosfera unica tra artista, pubblico e organizzatore, garantendo qualità e professionalità in quello che facciamo.
In sintesi i nodi che noi riteniamo più critici sono:
scarsa attenzione ai festival indipendenti e, in generale, alle realtà con un taglio più sociale
– aumento esponenziale dei cachet degli artisti e degli oneri di produzione
– prezzo dei biglietti d’ingresso in crescita incontrollata
– pratiche monopolistiche / di esclusività forzata imposte agli artisti dalle multinazionali
– cambiare la logica delle mega produzioni
– imposizione di canali di prevendita esclusiva
– nessuna tutela per tecnici e lavoratori dello spettacolo (fra i primi colpiti dallo stato di crisi, se non i primi)
– suddivisione iniqua dei rischi in caso di annullamento dell’evento per cause non imputabili al controllo o alla volontà dell’organizzatore
Noi firmatari siamo pronti al confronto con chi vorrà provare a costruire un futuro diverso e possibile per molti e molte, con e per la musica.
Chi volesse sottoscrivere questa lettera può scrivere a: cambiamomusica.italy@gmail.com
Salviamo il salvabile, ma cambiamo musica!
Festival Alta felicità, Festa di Radio Onda D’Urto, Sherwood Festival