Patrick libero: diritti umani, interesse nazionale e violenza di regime

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27 Febbraio 2020

Sabato il regime di Sisi ha rinnovato la “carcerazione preventiva” dello studente egiziano dell’Università di Bologna

 

di Francesca Biancani e Andrea Teti, tratto da il lavoro culturale

 

Patrick Zaki è un ragazzo ventisettenne egiziano iscritto al primo anno di un Master Erasmus Mundus finanziato dall’Unione Europea presso l’Università di Bologna, nonché collaboratore di una delle più consolidate e prestigiose associazioni di difesa dei diritti umani in Egitto, la Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR). Patrick viene fermato il 7 febbraio al rientro in patria per una vacanza grazie ad un mandato di cattura mai notificato.

Proprio questa sua difesa dei diritti umani sembra l’abbia messo nel mirino del regime egiziano, un regime che tenta di reprimere letteralmente in carcere e sangue ogni dissenso, per quanto minimo o addirittura potenziale, e per il quale le parossistiche, violente reazioni a chiunque sia anche vagamente in odore di non-conformità servono come monito pour encourager les autres. Un metodo a dir poco mafioso. Tanto che immediatamente nelle prime venti ore della sua detenzione, prima ancora che fosse formalmente arrestato, Patrick ha subito violenze calcolate per non lasciare segni fisici.

Sabato un tribunale egiziano ha rinnovato la sua carcerazione ‘preventiva’, una detenzione che in Egitto è ormai diventata un notorio strumento di intimidazione nei confronti di personaggi considerati ‘scomodi’ dal regime, e che il più delle volte comporta maltrattamenti e torture.

La risposta italiana ed internazionale

Il caso ha fatto scalpore ben oltre l’Italia e la risposta italiana non si è fatta attendere e bisogna riconoscerne la tempestività ed il vigore. La società civile, Amnesty Italia in testa, si è mobilitata immediatamente con espressioni di supporto morale e pratico, dalle petizioni online ad una serie di manifestazioni a Bologna, Roma, Milano e molte altre città ed università italiane, e all’estero – Berlino, Bruxelles, ed altre città europee – senza dimenticare la tifoseria del Bologna calcio, squadra di cui Patrick era diventato tifoso.

Il mondo accademico, studenti e docenti in modo trasversale, pure si è espresso con forza, esprimendo sgomento e forte preoccupazione per la sorte dello studente. A fianco dell’ateneo bolognese, che immediatamente ha chiesto la scarcerazione dello studente e membro della sua comunità accademica, si sono mobilitate in Italia ed all estero varie conferenze dei Rettori (in testa SpagnaItalia, e Francia) ed associazioni professionali di settore (si veda il comunicato congiunto di SeSaMO, Società Italiana Studi Medio Oriente, e ASAI, Associazione per gli Studi Africani in Italia, associazioni di sociologi italiane (SCC-SSI ed AIS), della British Society for Middle East Studies (BRISMES), Scholars at Risk (SAR), nonché l’appoggio diretto dato dal consorzio di università europee del Master GEMMA a cominciare da quelle di Bologna e di Granada, dove era iscritto Patrick.

Il mondo politico, almeno a livello locale, ha sposato la causa di Patrick. Netta è stata la posizione del Sindaco di Bologna, che ha sottolineato il legame tra difesa dei diritti umani e il modello di comunità civica aperta plurale e democratica cui Bologna si ispira, mentre il sindaco di Milano ha proposto il conferimento della cittadinanza onoraria al ragazzo una volta rientrato in Italia.

La pressione pubblica funziona

Da tutto cioè possiamo concludere che la pressione pubblica funziona. Non sono pochi i casi nei quali la pressione pubblica della società civile nei confronti del governo egiziano ha funzionato – e di certo l’appoggio pubblico di politici e governi da’ a quell’azione una marcia in più.

Certamente, bisogna capire bene caso per caso come e quando meglio agire, ma un’attenzione pubblica e politica costante del governo italiano, con avvedute scelte per lasciare ben impressa al governo egiziano l’inaccettabilità di questi spregiudicati abusi dei diritti umani, sono fondamentali per sostenere casi come quello di Patrick Zaki.

Nel caso di Giulio Regeni, il governo non fece pressioni, il poco che fu fatto fu ad opera di parlamentari che raccolsero lo sgomento e l’indignazione della società civile italiana, la quale invece si mobilitò per chiedere giustizia e verità per Giulio e per la sua famiglia.

Pur nella specificità dei due casi, oggi il governo italiano ha l’opportunità di dimostrare d’aver imparato da quegli errori.

L’interesse nazionale italiano: governo contro popolo?

Un governo italiano dopo l’altro ha contrapposto le ragioni morali ed umanitarie alla ragion di stato: certo, si ragionava, si può sostenere la ricerca della verità nel caso di Giulio Regeni e la libertà di pensiero e di espressione in Egitto, ma l’ ‘interesse nazionale’ è prima ed oltre ogni altra cosa l’altare della sicurezza, e su questo altare, che piaccia o meno, bisogna sacrificare l’etica ed i valori. Nulla di più falso: non sostenere coerentemente i diritti umani non fa che dare mano libera ad un regime egiziano profondamente incapace di rispondere alle sfide del suo paese: il lavoro, la corruzione, la povertà, l’abuso di potere, per non parlare della devastante situazione dei diritti civili e politici.

L’unica risposta che il regime di Sisi è stata capace di esprimere è la repressione giustificata dalla paranoia ipernazionalista – per altro diretta soprattutto proprio a quei paesi occidentali che credono d’avere nel regime un alleato. Ma nulla di tutto ciò risolve le cause dei problemi del paese, anzi la manforte dei governi europei a Sisi non fa altro che destabilizzare l’Egitto, acuirne i problemi, e quindi, fra l’altro, anche le pressioni migratorie che l’Europa vorrebbe bloccare. Certamente, una politica che ignora questa destabilizzazione potrà anche essere nell’interesse economico di grandi gruppi industriali, ma gli interessi di questi gruppi non coincidono certo con l’interesse nazionale italiano.

Gli strumenti per intervenire

Nel Trattato di Lisbona, suo documento ‘costituzionale’, l’Unione Europea scrive che i ‘valori fondamentali’ dell’Europa, la democrazia ed i diritti umani, devono essere al centro di ogni azione dell’Unione. La c.d. ‘Primavera araba’ del 2010-11 aveva inizialmente sortito effetti positivi in tal senso: l’Ue riconobbe infatti che il suo passato sostegno ai dittatori in nome della ‘stabilità’ fu controproducente oltre che moralmente indifendibile, e che avrebbe d’allora in poi sostenuto le richieste di democrazia e giustizia sociale espresse dalle popolazioni ribellatesi ai soprusi dei regimi. Dal 2015 in poi, però, l’Ue ha rinunciato a rendere condizionale al rispetto dei diritti umani l’intensificazione dei rapporti commerciali con i paesi del ‘Vicinato meridionale’.

L’Ue, tuttavia, ha ancora l’obbligo di agire rispettando e facendo rispettare quei ‘valori fondamentali’. Gli strumenti per agire l’Ue li avrebbe, se scegliesse di usarli. L’Ue ha, inoltre, fondi per la difesa proprio dei cosiddetti ‘Human Rights Defenders’, difensori dei diritti umani proprio come Patrick Zaki. L’Italia, paese fondatore ed uno dei ‘Big Four’ dell’Ue, avrebbe i modi per premere sull’Unione in queste direzioni.

E di strumenti simbolici ma importanti anche l’Italia ne avrebbe: ritirare l’ambasciatore come molti chiedono, o designare l’Egitto paese ‘non sicuro’, come palesemente è proprio grazie al regime stesso. Per parte sua, l’Egitto, per quanto il regime di Sisi sia efferato, è comunque firmatario dei trattati internazionali sui diritti umani. Inoltre, il nostro governo e l’Ue hanno a disposizione anche strumenti informali: l’Italia è uno dei massimi partner commerciali dell’Egitto, ed i rapporti economici dell’Egitto con l’Ue sono fondamentali per quel paese, e non sarebbe difficile scegliere segnali da dare al regime che il suo comportamento spregiudicato non è gradito a Roma ed a Bruxelles.

Certo, concludere la vendita di due fregate alla marina militare egiziana proprio mentre un caso così eclatante come quello di Patrick Zaki è alla ribalta internazionale – per altro, una vendita invisa alla nostra stessa marina militare – manda un segnale molto diverso al Cairo, un ‘via libera’ senza foglie di fico.

Oltre questo, bisogna sottolineare che uno degli strumenti dei quali l’Ue ed in particolare gli Stati Membri si sono privati in questi anni è l’asilo politico, sacrificato sull’altare del ‘rigore’ sui flussi migratori sotto pressione della nuova destra xenofoba europea nonostante il fatto che con la migrazione non abbia nulla a che fare. Altro strumento sarebbe il conferimento della cittadinanza italiana ed europea – ma, di nuovo, i governi europei si sperticano nel tentativo di rendere sempre più difficile entrare in Europa invocando ‘rigore’ mentre abdicano ogni responsabilità di leadership in fatto di immigrazione.

Mano libera all’intelligence egiziana anche in Europa

L’inazione a livello europeo e dei singoli Stati Membri dell’Unione diventa poi lampante se si considerano non solo il fatto che nessuno degli strumenti suddetti è stato finora adottato né dall’Ue né dal governo italiano, ma anche dalle libertà di cui gode l’intelligence egiziana sulla sponda nord del Mediterraneo. Spie del regime egiziano agiscono praticamente indisturbati in Europa contro egiziani ma anche contro ricercatori ed attivisti europei: pedinamenti, hackeraggio, minacce a amici e familiari in Egitto. Per contro, studenti ed emigrati egiziani che gli stati europei non sono disposti a naturalizzare o proteggere rimangono altamente vulnerabili.

Il fatto che servizi segreti stranieri agiscano quasi indisturbati sul suolo europeo e nei confronti anche di cittadini europei dovrebbe sortire ben altre reazioni dalla politica italiana, inclusi i sovranisti che riversano tanto fango su questi casi quanto dicono di tenere alla sovranità nazionale.

Oltre l’indifferenza

Con la sua inazione politica nel caso di Giulio Regeni, l’Italia mandò un chiarissimo e pessimo segnale ai suoi cittadini ed ai suoi ricercatori, che nulla di concreto avrebbe fatto il governo italiano per proteggerli dagli eventuali abusi di regimi autoritari. Con il caso di Patrick Zaki, il governo italiano – assieme alle sue controparti europee – ha l’opportunità di inviare un messaggio di segno opposto: che è conscio del fatto che la stabilità, i diritti umani e gli interessi nazionali vanno di pari passo, e che è pronto a perseguire coerentemente una politica di sostengo a quei diritti e a coloro che li difendono.