Perù: un paese in bilico tra sgomento e speranza

di

14 Giugno 2021

Pedro Castillo, un maestro di scuola elementare di umili origini, appartenente a un partito politico che si dichiara apertamente marxista leninista ha ottenuto, pur se con uno scarto minimo, la maggioranza dei consensi nel ballottaggio per l’elezione alla presidenza della Repubblica del Perù. La sua designazione evidenzia la enorme frattura politica, sociale, culturale ed economica esistente nel paese. Genera paura in una parte della popolazione, certamente nei settori più agiati, ma anche in quella classe media più o meno benestante delle aree urbane della costa, che più ha beneficiato del modello economico neo liberista applicato in Perù negli ultimi 30 anni. In altri segmenti della popolazione che rappresentano i settori popolari soprattutto della provincia rurale andina, storicamente esclusa dai processi di sviluppo nazionali, Castillo è visto invece con fiducia e speranza. La speranza di un futuro più giusto e dignitoso rispetto a quello che è stato sinora offerto loro da un sistema politico ed economico che li ha obbligati alla emarginazione.


La seconda tornata elettorale del 6 giugno 2021 ha definito l’elezione al ballottaggio del presidente della Repubblica del Perù tra due candidati che si trovavano su posizioni politiche opposte: la figlia dell’ex presidente peruviano Fujimori, leader del partito di estrema destra neo liberista Fuerza Popular e il maestro di scuola elementare Pedro Castillo, rappresentante del Partito Perù Libre, dichiaratamente marxista leninista. 

Come succede con frequenza nella quasi sempre paradossale dinamica politica peruviana, anche grazie a una forte frammentazione dei partiti, oltre 20, che si erano presentati alle elezioni nazionali dello scorso mese di aprile, furono invece proprio Perù Libre con il 18.9% e Fuerza Popular, con appena il 13.4% dei consensi, i due partiti che ottennero percentualmente più voti, abilitando in questo modo i rispettivi candidati a partecipare al ballottaggio del 6 giugno per eleggere il presidente della Repubblica. 

In realtà alla prima tornata elettorale del mese di aprile nessuno dei due candidati era favorito per arrivare al ballottaggio.

In particolare Pedro Castillo, un maestro di scuola elementare rurale di estrazione contadina, sino al momento della pubblicazione dei risultati era di fatto un perfetto sconosciuto per gran parte della popolazione e la quasi totalità del mondo politico peruviano. L’unico momento precedente in cui si era fatto conoscere era stato nel 2018, anno in cui durante alcuni mesi aveva diretto uno sciopero nazionale dei docenti della scuola pubblica peruviana.

La improbabilità del risultato ottenuto da Castillo e dal partito Perù Libre è risultata chiara durante il periodo precedente al ballottaggio per la seconda tornata elettorale. In primo luogo proprio da parte dello stesso candidato, che durante la campagna ha evidenziato con frequenza la sua impreparazione, incoerenza e confusione su contenuti essenziali.

In secondo luogo dalle molto discutibili, anche in termini democratici, posizioni evidenziate dai principali esponenti del partito Perù Libre, che hanno con frequenza mischiato concezioni vetero marxiste con posizioni ultra reazionarie. Ad esempio su temi fondamentali relativi ai diritti civili o alle questioni di genere, proponendo una visione politico economica che, se implementata secondo i principi dichiarati, non avrebbe alcuna possibilità di essere applicata nell’attualità non solo in Perù, ma in nessun altro paese della regione. 

L’avversaria di Castillo, Keiko Fujimori, era invece molto conosciuta. A capo del partito per la terza volta in 10 anni arrivava al ballottaggio per l’elezione alla massima carica del paese.

Figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori, attualmente detenuto con una condanna a 25 di reclusione per corruzione e gravi crimini contro l’umanità, è a sua volta sindacata dalla procura anti corruzione peruviana che ne ha richiesto il rinvio a giudizio (che dovrà affrontare non essendo stata eletta) insieme ad altre 40 persone appartenenti al suo stesso partito, con una accusa di 30 anni e 10 mesi di detenzione per i presunti reati di riciclaggio, organizzazione criminale, finanziamento illegale e ostruzione della giustizia. 

La maggioranza dei rappresentanti dei partiti eletti in parlamento, che per oltre il 60% condividono posizioni liberiste di destra, hanno da subito evidenziato il loro sostegno in favore della candidata Fujimori, in difesa dello status quo e del mantenimento dell’ordine economico garantito dalla costituzione neoliberista promulgata nel 1993 proprio da suo padre. Ma soprattutto a favore della Fujimori si è schierato senza eccezioni tutto l’apparato economico finanziario dei grandi oligopoli peruviani, terrorizzati dal fatto che un candidato con dichiarate posizioni anti liberiste potesse vincere e promuovere un cambiamento del modello economico che ha permesso loro di dominare il mercato durante gli ultimi 30 anni.

Si sono quindi vissuti due mesi surreali dominati da una campagna di criminalizzazione, denigrazione e disprezzo, basata soprattutto su distinzioni etnico-culturali o di condizione economica nei confronti del candidato Castillo e dei suoi elettori, appartenenti in maniera assolutamente maggioritaria ai ceti popolari di estrazione rurale della società peruviana.

L’operazione mediatica e di evidente manipolazione, in sinergia con il partito Fuerza Popular, è stata orchestrata dai grandi gruppi economici e in particolare dagli oligopoli che dominano oltre l´80% dei canali di comunicazione scritta, radiofonica e televisiva nazionale. Canali che, pur di perseguire il loro obbiettivo, sono stati persino disposti a licenziare tutti quei giornalisti che si opponevano a una dinamica evidente di partigianeria politica che non dovrebbe essere possibile in un sistema formalmente democratico.

La campagna mediatica é stata definita da un articolo del New York Times del “terrore”. Perché ha consistito in primo luogo proprio in questo, nel terrorizzare la popolazione rispetto al pericolo comunista. Anzi peggio, rispetto al pericolo terrorista, perché arrivata persino a considerare l’eventuale elezione di Castillo con il ritorno di Sendero Luminoso, l’organizzazione armata responsabile del conflitto interno che insanguinò il paese tra l’inizio degli anni ’80 e la seconda metà degli anni ’90 provocando oltre 70mila morti.

Il preminente destinatario di questa manipolazione sociale, che nel gergo peruviano si chiama “terruqueo”, è stato il ceto medio dei principali centri urbani del centro-nord del paese.

In particolare di Lima, città che da sola raccoglie oltre il 30% dell’elettorato, che è caratterizzata da una classe media più o meno benestante, politicamente in maggioranza reazionaria e conservatrice, ma non sempre legata al Fujimorismo.
L’obiettivo era di convincere questi gruppi sociali ad andare a votare, anche se poco convinti, per
Fuerza Popular per evitare il caos e la violenza che avrebbe generato la vittoria dell’avversario.   

In parallelo alla campagna stampa e radio-televisiva, Lima e i principali centri urbani del paese venivano tappezzati da enormi cartelloni pubblicitari, il cui notevole costo per ora non è dato sapere da chi sia stato assunto, che richiamavano il pericolo comunista e il rischio per il Perù di finire come Cuba o il Venezuela; oppure la sicura espropriazione di proprietà nel caso avesse perso la democrazia (?); la perdita del lavoro; la futura mancanza di prodotti essenziali senza democrazia (?) e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo disastro nazionale, era implicito nei messaggi, sarebbe avvenuto ovviamente in caso di vittoria del candidato antidemocratico, considerando tale sempre solo il signor Castillo. 

Meglio poi non evidenziare ciò che è circolato nelle reti sociali durante i giorni della campagna elettorale, perché trovo davvero vergognoso persino ricordarlo. Per non farsi mancare nulla si è assistito poi a una speculazione senza precedenti per far scendere, con degli sbalzi mai visti almeno negli ultimi 30 anni, il valore della moneta nazionale rispetto al dollaro. E ancora supermercati, negozi e banche che senza ragione alcuna mettevano protezioni alle vetrate per fare intendere che era imminente l’arrivo di turbe di saccheggiatori. Che ovviamente non sono poi mai arrivati. 

Sono stati due mesi, tra la prima e seconda tornata elettorale, durante i quali si é assistito a una quantità enorme di azioni (e investimenti) per creare instabilità e paura, anzi spesso vero e proprio terrore, con l’obiettivo evidente di convincere gli elettori dubbiosi, ed erano in molti considerando l’alternativa delle opzioni, ad appiattirsi sul candidato che assicurava la continuità “democratica”, che ovviamente per la campagna mediatica era Fujimori.

Tutto questo non è servito. Castillo alla fine, pur avendo tutto e molti contro, ha avuto piú elettori a suo favore. Anche se di poco ha comunque vinto. 

Proprio mentre scrivo, con ormai praticamente il 100% delle schede elettorali scrutinate arrivano però reiterati messaggi diffusi massicciamente dalle reti sociali che continuano a ribadire che tale risultato é inaccettabile, che Castillo un contadino ignorante (in realtà i termini son ben più offensivi) non può diventare presidente del Perù, che i comunisti hanno organizzato brogli e la dittatura comunista, cavernicola, senderista si è appropriata dell’ordine democratico nazionale. 

Le elezioni sono finite da tre giorni, i risultati appaiono chiari, gli osservatori, compresa la OEA non certo amica dei partiti di sinistra latino americani ne ha confermato la regolarità. Ma visto che ormai sono stati contabilizzati tutti i voti, compresi quelli provenienti dall’estero nei quali Fuerza Popular riponeva la speranza di compensare la differenza a suo sfavore del voto nazionale, le reti sociali da un lato, gli studi di avvocati più importanti di Lima dall’altro, d’accordo con i soliti finanziatori e vari mezzi di comunicazione stanno diffondendo l’idea di una frode elettorale. 

E’ fondamentalmente lo stesso schema che ha tentato di applicare Trump solo pochi mesi fa. Denunciare brogli inesistenti aizzando i propri sostenitori con falsità e distorsioni della realtà per cercare di forzare la dinamica democratica. Il gioco non è riuscito a Trump e dubito riesca a Fujimori.

In ogni caso Pedro Castillo non credo dormirà tra due guanciali durante la sua prossima presidenza. E purtroppo temo che non riuscirà a farlo neppure il popolo peruviano.