Pesi e misure

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6 Giugno 2020

Avete scelto un mestiere in cui non è accettabile limitarvi a obbedire. Non nella formazione

Lettera sulla scuola: riceviamo e pubblichiamo

Qualcuno si movimenta. Per i diritti dei bambini. Anche qualche insegnante. Però pochi. Le voci che sento di più sono quelle di madri, blogger, attivisti. Cosa vuol dire «attivista»? Vuol dire che non osservi passivamente. Vuol dire che le direttive arrivano dall’alto, ma non le ingoi come si ingoia una pillola.

Eppure io continuo a vedere maestre, educatrici, professori, che impugnano il Programma scolastico, che di fronte all’emergenza (che non è più emergenza Covid-19, ma emergenza di diritti) si limitano a eseguire, che dinanzi ai divieti replicano: «Queste sono le regole».

Allora genitori si mobilitano, e va bene. Ma perché non si mobilita chi è dentro il sistema? Noi siamo meri consumatori.

Se vai dal medico non sei tu a suggerire come dovrebbe diagnosticare e trattare una patologia. Entri a fare una TAC in un ospedale e magari ti stupisci dei nuovi macchinari. «Non sapevo che si facesse così». «Sì, signora, adesso usiamo questi strumenti».

La ricerca va avanti. Non sta a noi, pazienti, occuparcene. Noi facciamo altro, ognuno fa il suo mestiere, in una società dove delegare è l’atto indispensabile per funzionare.

Allora mi domando: possibile che gli insegnanti stiano zitti?

E non è solo adesso. Il Covid-19 è uno specchio enorme, un’incredibile scommessa a guardare ciò che normalmente non vogliamo guardare. Di noi stessi, come individui, e del sistema.

Sono profondamente sconcertata nel sentire le educatrici di mia figlia riportare che è stato fatto loro divieto di vedere i bambini, e non reagire. Voi amate il vostro lavoro, amate i bambini che vi affidiamo, e tutto quello che mi sapete dire è che così vi è stato imposto?

E voi, cosa siete? Bracci meccanici? Giocattoli telecomandati?

Perché a me viene un dubbio, profondo, irriverente e che farà certamente incazzare, eppure a volte è necessario alzare la voce: io sospetto che spesso chi sceglie di insegnare sia una persona docile, regolare, remissiva, modesta. Chi ha un guizzo di creatività vera, di guardare oltre, di non scimmiottare una parvenza di innovazione solo perché per scienze si raccolgono due foglie in giardino, o perché per il ponte del 2 giugno acconsente a non dare compiti… Chi ha davvero una mente «altra», che non cambia i soprammobili, ma esce dalla stanza, dal paradigma: non insegna, non è tra i personaggi arruolati dal sistema.

I veri rivoluzionari sono pochissimi. Non venite a dirmi che è colpa del Ministro dell’Istruzione, del Programma, dei genitori apprensivi, delle direttive. E del Covid-19. Prima il Covid-19 non c’era, e voi, egualmente, avete sempre ottemperato a quanto imposto. La responsabilità è vostra. Perché siete miti, e avete scelto un mestiere in cui essere miti non basta. Avete scelto un mestiere in cui non è accettabile limitarvi a obbedire. Non nella formazione.

Allora non sto gridando che le educatrici adesso violino le direttive e facciano un rave party. Ma che, al pari di noi, si esprimano, rivendichino, si informino, chiedano ricerche, si attivino.

Smettiamola di scaricare le colpe su chi dà le direttive.

A riprova, alcuni temerari esistono. Qualcuno i suoi alunni si è inventato il modo di vederli. Qualcuno ha lanciato una campagna.

Quindi non è la direttiva, il problema. Non è lo spazio delle costrizioni, il problema.

Il problema è il vostro atteggiamento succube, lo stesso che, infatti, insegnate o perfino imponete ai bambini. Lo stesso per cui non pensate a rivoluzionare la scuola.

Chi ha detto che scuola = banchi + libri?

Nessuno si fa la domanda: ma il covid ha smesso le risposte che ci davamo. E ne ha fatte, di domande. Perché lui sì e noi… no?

Perché il covid ha messo in dubbio le aule ma non l’insegnamento frontale, i sussidiari, i compiti, i voti?

Si parla di banchi da distanziare, di mascherine, ma a nessuno importa pensare fuori dalla scatola che il covid, in verità, ci ha aiutato a smembrare.

 

Questa è una mail che ho inviato in tempi di DAD alla maestra di un mio figlio la quale spiegava le unità di misura fedele all’esempio riportato dal libro di testo.

«Sono la mamma di XXX: apprezzo la sua dedizione ma non posso esimermi dal constatare due cose. La prima è che essendo la DAD comprensibilmente meno coinvolgente delle vere lezioni, mia figlia si annoia ancora più che a scuola. La seconda è che questo potrebbe suggerire di staccarsi un po’ da questi sussidiari approfittando del fatto che si è a casa, ossia pieni di materiale! Perché illustrare sul sussidiario l’esempio del mobile e della cameretta da misurare… mentre si è in una stanza con un mobile? Diventa un paradosso, non trova? Non possiamo forse prendere un metro e mostrare ai bambini che misuriamo un armadio, invece? Non possiamo misurarci la temperatura, mostrare le tacche sul termometro, non possiamo prendere un cilindro graduato dal cassetto della cucina, con la nostra mano, mentre giriamo il video, invece di azzardare l’ennesima parola teorica? La scuola è talmente vecchia, di impartizione, di applicazione di nozioni sui bambini. Sento la sua dedizione, ma le chiedo davvero col cuore in mano… se si possa provare a non partire dai libri. Perché la scuola non è un concetto, e non è nemmeno un sistema: la scuola siamo noi, siete voi, cui noi affidiamo le menti morbide dei figli, la loro fantasia, la loro curiosità. Compito vostro non è assegnare lezioni e applicare informazioni. La stessa cura con cui fa questo, io spero si possa mettere nel far germogliare l’esperienza viva, che parte da poco, dal quotidiano, che tocca la materia, le cose, che si sporca. Adesso, che non ci sono i divieti della Dirigente. Adesso, che non ci sono i limiti tecnici e di sicurezza dettati dall’edificio scolastico e dalle paure di molti. Adesso, che non avete la strettoia di una responsabilità soffocante, dacché i bambini sono a casa… Adesso è il momento per staccarsi dalle pagine. Adesso è il momento per mostrare tutto il suo affetto, ma non solo con un bacio a fine corsa. Spero che la senta, la vibrazione accorata con cui le scrivo. Io sento mia figlia che piange. Sento i bambini che hanno bisogno di cose vive.

Grazie XXX, a presto,

Maddalena».

 

Si dice che chi non fa, insegna. Ma io professo: chi insegna, fa.

Chi insegna fa la differenza.

Chi insegna fa la vita. Fa la gioia e la dedizione anziché la fatica e il pianto.

Chi insegna fa il futuro.

Chi insegna fa lavorare teste e cuori.

Chi insegna crea. E deve fare bene, perché altrimenti, chi insegna fa male.

Fa soffrire, inaridire, spegnere, sacrificare, perdere.

Chi insegna fa.