11 Settembre 2019
Morto a 94 anni l’autore che ha reso contemporaneo il linguaggio fotografico.
Questo poster l’ho appeso in casa, in studio, in un’altra casa e in un nuovo studio: mi ha seguito per circa venticinque anni. L’ho preso proprio alla mostra fotografica che pubblicizza. Ero all’ultimo anno della scuola di fotografia e la prof aveva organizzato una gita a Lugano, con visita da lei guidata alle foto di Robert Frank. Per me fu un colpo di fulmine: quello che era un mio coetaneo all’epoca in cui realizzava le sue fotografie più celebri (metà degli anni cinquanta), aveva ribaltato la storia della fotografia e probabilmente la storia dell’arte.
È morto il 9 settembre 2019 Robert Frank, aveva 94 anni. E oggi leggo un sacco di stupidaggini sugli organi di informazione online, costretti a pubblicare tutto di fretta per avere la notizia prima o insieme agli altri. Per esempio su ansa.it sta scritto che il lavoro che lo ha reso celebre, il libro The Americans, “è un capolavoro in bianco e nero di ritratti”. Ma non è vero. Ci sono talmente tante cose dentro a The Americans che non è possibile ridurlo solo a dei ritratti. Oppure leggo su Il Fatto Quotidiano che Frank “con Jack Kerouac fece The Americans”. Ma non è vero. Kerouac scrisse l’introduzione al libro, e basta.
Robert Frank ha realizzato le fotografie poi raccolte nel libro The Americans a metà degli anni cinquanta, grazie a una borsa di studio della Fondazione Guggenheim. Da europeo emigrato negli USA rimase subito colpito dal clima di quegli anni. Un epoca di tensione internazionale, guerra fredda, maccartismo. Periodo in cui non passavano quindici minuti di un film hollywoodiano senza che si vedesse sventolare qualche bandiera a stelle e strisce o senza che suonasse l’inno. La fobia del pericolo rosso sovietico aveva fatto sbroccare un intero paese. E in quell’atmosfera ecco che arriva questo pivellino svizzero che comincia a far vedere quanto fosse ingombrante questa bandiera (sempre ostentata pubblicamente ma da lui fotografata come fosse fastidiosa, come se le strisce fossero sbarre dietro le quali stava un intero popolo) e questo nazionalismo che aveva fatto perdere la testa (spesso invisibile o coperta nelle persone da lui fotografate). Insomma non proprio un esempio di patriota americano Robert Frank, ma anche in questa sua critica, coraggiosa, visto il periodo in cui è stata condotta, sta la potenza delle sue immagini. Non c’era nulla da celebrare in quel paese, nessuna superiorità, e the american way of life non era poi tutto ‘sto granché.
Questo diceva Frank, quando non si poteva e non si doveva dirlo. Ma la sua anima artistica gli faceva dichiarare che “una critica è fatta per amore”. E in effetti l’essenza degli Stati Uniti è venuta fuori in quelle foto. The Americans uscì alle fine degli anni cinquanta nell’indifferenza generale, ma poi è diventato un classico della fotografia e della storia dell’arte.
L’atteggiamento libero e spontaneo, la ricerca della rottura con i canoni dell’epoca, e la frequentazione di vivaci ambienti culturali, fecero sì che Frank usasse la fotocamera come nessuno aveva mai fatto prima. “Le mie fotografie non sono decise o composte a priori, e non mi aspetto che lo spettatore debba condividere il mio punto di vista” disse.
Nel saggio Il tempo tecnologico della fotografia scrive Roberta Valtorta: “Si può assumere la destabilizzazione linguistica operata da Robert Frank come inizio di un processo di segno liberatorio che conduce alla contemporaneità. La sua fotografia provvisoria, ”sporca” fa cadere la coincidenza tra sguardo umano e sguardo della macchina, l’imperfezione dell’immagine desacralizza il gesto del fotografo, restituendolo a una quotidianità anche macchiata di vuoti e fallimenti, ripetitiva, insignificante, dalla quale non emergono momenti speciali ma momenti qualunque.”
Nel periodo in cui Bresson mette in pratica la teoria del momento decisivo, con immagini ricercate per la loro compostezza e armonia, ecco che il solito pivellino svizzero ti inventa quelli che lo storico della fotografia Jean-Claude Lemagny ha definito momenti ‘in between’, ovvero istanti ordinari e imperfetti che si trovano tra un momento decisivo e l’altro e che comunicano anche malessere, negatività, solitudine.
Tutto questo e molto altro (ma il web é tirannò) é stato Robert Frank, massimo rispetto per favore. RIP