24 Aprile 2019
Il Portogallo, la percezione esterna e quella interna alla vigilia delle elezioni europee
Alla vigilia del 25 aprile, 45º anniversario della Rivoluzione dei garofani, mentre si avvicinano le elezioni europee e con le legislative già fissate al 6 ottobre, la grande notizia dal Portogallo è forse l’assenza di novità.
Stando agli ultimi sondaggi, infatti, dopo quattro anni di governo delle sinistre siamo tornati al pareggio tecnico fra i due principali partiti, il socialista e il socialdemocratico (di centrodestra), ora guidato da un nuovo segretario, l’ex sindaco di Oporto Rui Rio.
Entrambi con poco più del 30% delle intenzioni di voto, non soltanto sono lontani dalla maggioranza assoluta, ma il Ps, con un vantaggio di uno scarso 2% (che nei sondaggi equivale a zero), sente il fiato dell’avversario sul collo.
Si sarebbe quasi tentati di concludere che anche il governo Costa, come il fado nei ristoranti e i film di Manoel de Oliveira, piace più agli stranieri che ai portoghesi. Buona critica all’estero, ma in casa molte critiche o indifferenza, che si traduce nell’astensionismo, di solito assai alto.
La stampa portoghese già parla del ‘fantasma del pochettino’, chiaro riferimento alle Europee del 2014, quando i socialisti, da cui ci si aspettava un exploit, vinsero per un pelo sulla coalizione che all’epoca governava a colpi di tasse e tagli.
Una vittoria di misura che diede l’abbrivio alla scalata di António Costa (all’epoca sindaco di Lisbona) alla segreteria del partito, perché con il Paese in rivolta non era ammissibile vincere ‘per un pochettino’, disse.
Eppure anche le successive elezioni politiche, nel 2015, videro un risultato elettorale anomalo nel panorama di un’Europa ancora immersa nell’austerità più rigida: tecnicamente i partiti di governo vinsero, sia pur senza maggioranza assoluta, mentre l’opposizione andò al tappeto e si rialzò solo unendosi.
Così, il Portogallo che non si lascia ammaliare dal canto dei partiti di estrema destra né dall’antieuropeismo ‘faraginoso’; (un po’ da farragine e un po’ da Nigel Farage) dà ancora una risposta statica al (falso?) movimento cui si assiste nel resto d’Europa. Ma le intenzioni di voto non sono tutto.
Sul piano sociale e sindacale più di qualcosa bolle in pentola, forse un vero e proprio ‘bollito alla portoghese’, celebre piatto nazionale fin troppo generoso di carni, salumi e verdure.
Il governo Costa ha dovuto, molto più dei suoi predecessori, far ricorso alla precettazione per tirar fuori la nazione dal caos degli scioperi a oltranza. È successo, ed è probabile che si ripeta a fine anno scolastico, con i docenti che boicottavano gli scrutini, poi con gli infermieri, che hanno bloccato le sale operatorie, e più recentemente con i camionisti.
Quest’ultimo repentino sciopero ha mostrato per un attimo scenari ‘cileni’ in un Portogallo già quasi in modalità vacanze pasquali.
Un ignoto sindacato, nato da pochi mesi, aveva unito i trasportatori di merce pericolosa mandando in palla le forniture di carburante, con conseguenti code ai pochi benzinai ancora attivi, aerei costretti a scali tecnici in Spagna, autobus fermi e tutta l’opposizione (inclusi quei leader che avevano aderito entusiastici ai Fridays for Future di Greta Thunberg) a esigere perentoriamente dal governo una risposta ai cittadini che avevano programmato la pasquetta.
I manifestanti chiedevano di negoziare con l’omologa associazione padronale un aumento di salario.
La cosa è sempre legittima nel Paese dei bassi stipendi, dove si è scoperto che i camionisti portano su e giù cisterne di materiale esplosivo per 600 euro al mese. Eppure, poco ragionevolmente, pretendevano subito il doppio, per poi accontentarsi della promessa di riparlarne con calma entro la fine dell’anno.
La sensazione che si trattasse di un’oscura prova di forza con il governo si è accentuata quando i giornali hanno puntato i riflettori sul vicepresidente e portavoce del sindacato, un avvocato che non guida camion ma una Maserati scura e avrebbe un passato professionale poco chiaro legato ad affari soprattutto con camere di commercio portoghesi all’estero.
Gli stessi strani movimenti si erano intravisti anche in altre manifestazioni marginali, eppure di sicuro impatto mediatico. Per esempio lo sciopero della fame di un agente di polizia e sindacalista di fronte al Palazzo del Presidente della Repubblica, conclusosi con un drammatico ricovero.
Si è ora scoperto che è nelle liste del neonato partito di estrema destra Chega (significa ‘basta’) e che la maggior parte del gruppo di poliziotti attualmente sotto processo per violenza razziale in un famoso quartiere suburbano di Amadora (pochi chilometri da Lisbona) è iscritta al suo sindacato.
Non a caso il programma del nuovo partito raccoglie i soliti numeri di repertorio: chiusura delle frontiere, deportazioni di zingari, carcere duro, castrazione chimica… Per ora non è riuscito neppure a farsi convalidare le liste dalla Corte Costituzionale e nei sondaggi preelettorali non è pervenuto. È il caso di dire: niente nuove, buone nuove.