16 Marzo 2020
Un convegno contro la tratta, una luce su un mondo di sfruttamento
“Sono venuta in Italia per fare la parrucchiera, invece mi hanno messa in strada. Ho cercato di scappare ma quando i miei sfruttatori hanno saputo hanno avvertito i loro amici in Nigeria, hanno preso una delle mie figlie gemelle, di 4 anni, e l’hanno uccisa davanti a mia mamma, a cui le avevo affidate. A questo punto cosa ho da perdere?”, sono le parole della testimonianza drammatica di Martina Taricco della Comunità Papa Giovanni XXIII ad un convegno contro la tratta a Montesilvano il 9 marzo 2019 e racconta un dramma che si consuma ad ogni latitudine d’Italia ogni notte e giorno, tutto l’anno, comprese le feste.
Da Pescara a Montesilvano, risalendo l’immensa area metropolitana, sono tanti i luoghi – dalle pinete alle camere d’albergo – dove lo sfruttamento della prostituzione è una piaga consolidata da decenni. Fino al confine con le Marche, nella strada nota come la “bonifica del Tronto”. Un vero e proprio non luogo dove il degrado e lo squallore sociale dominano, simbolo da decenni del turpe mercato criminale.
Le mafie nigeriane, per troppi anni sottovalutate e sottaciute, si arricchiscono e consolidano intrecciandosi con le mafie “autoctone”, smentendo così per chi vuol capire e/o non è in malafede tutto il vuoto chiacchiericcio di certa propaganda politica.
E di come trovano ovunque alleanze con le quali portare avanti traffici e sfruttamenti. In Italia, in Africa e ovunque, prosperando in Nigeria gestendo, per esempio, la sicurezza degli impianti petroliferi. In Libia e non solo stringendo patti con i boss che gestiscono i lager per migranti e le rotte verso l’Europa (con complicità istituzionali, o gestione diretta delle stesse, come denunciano da anni Nancy Porsia ed altri, Bija docet), arricchendosi sempre più in quanto unica strada per migliaia di persone in fuga per arrivarci .
In Italia con mafie foggiane, camorra e ‘ndrangheta. I libri d’inchiesta di Leonardo Palmisano Ascia nera, dal nome di una delle mafie nigeriane più forti e brutali, e Sergio Nazzaro, Mafia Nigeriana. La prima indagine della squadra antitratta, lo documentano in maniera approfondita denunciando non solo silenzi e complicità, politiche ed economiche, ma anche quanto le mafie nigeriane prosperano sul lato peggiore della italianissima società lucrando sulla vertiginosa “domanda” degli italiani di droghe (il consumo di eroina nel BelPaese sta nuovamente esplodendo) e dei più turpi appetiti sessuali (gli italiani sono da lustri nelle vette delle classifiche mondiali per il turismo sessuale, anche con sfruttamento di minorenni, e i numeri delle ragazze, sempre più giovani, prigioniere nelle strade e negli alberghi italiani sono sempre in aumento).
Per capire il degrado, lo squallore, la disumanità di tutto questo non dobbiamo farci catturare solo dai numeri e dalle inchieste. Importanti per inquadrare quanto accade, per averne i contorni più precisi possibili. Ma non basta, il cuore di tutto è quello violentato, scoppiato, dilaniato, senza più lacrime per quanto è forte il crimine ripetuto sulla loro pelle delle ragazze sfruttate.
Nel 2011 a Teramo scattò l’operazione “Sahel 2” partita dalle denunce di una ragazza di 23 anni costretta a prostituirsi prima in Lombardia e poi sulla “bonifica del Tronto” e ad abortire ingerendo medicinali ed alcolici Lilian Solomon.
Quando gli operatori di “On the road” la incontrarono per la prima volta soffriva da tempo di fortissimi dolori, i sintomi dell’avanzata di un linfoma Non Hodgkin. Il dolore la faceva soffrire così forte che aveva deciso di sfidare la paura e affidarsi a “On the road”. Ricoverata nel reparto di Oncologia dell’Ospedale di Pescara è morta il 1° ottobre 2011. Per un tempo infinito Lilian ogni notte continuò ad essere violentata, sfruttata, a dover nascondere una sofferenza inumana. Senza che nessuno di quelli che, con un termine abusato quanto del tutto inadeguato, si definiscono “clienti” si sia mai accorto di nulla.
Non servono altre parole per commentare la barbarie, il degrado, la disumanità imperante. Il dramma criminale di Lilian da solo grida alle coscienze. Così come quello di Vittoria. E di migliaia di donne, sfruttate a pochi passi da noi. Quotidianamente violentate e imprigionate. “Ogni santo giorno avrei voluto morire … ero stanca e depressa ma nessuno, dico nessun cliente ha avuto pietà di me. Alla fine del 2003 ero la controfigura di me stessa, sempre ammalata e febbricitante, ero ridotta ad uno straccio che avrebbe voluto chiudere gli occhi per sempre”. Potrebbe sembrare la testimonianza di Lilian mentre il linfoma avanzava.
Sono invece frasi tratte dal libro di Maris Davis, una ragazza nigeriana giunta in Italia giovanissima e per anni prigioniera delle mafie nigeriane. Non aveva ancora 21 anni e a Torino, appena arrivata, fu ripetutamente violentata per tre giorni dai suoi aguzzini. “Mi dissero che dovevo imparare il mestiere” il suo terribile racconto. Maris oggi si batte per dar voce alle vittime delle mafie nigeriane, ragazze sfruttate e che tutta la vita porteranno le cicatrici (fisiche e psicologiche) dei crimini che hanno subito.