29 Agosto 2018
Atene ha terminato il 20 agosto il terzo programma di aiuti. Qualche considerazione su una triste storia di austerità e letture miopi.
“La positiva conclusione del programma è la prova degli sforzi del popolo greco, dell’impegno del Paese nel perseguire un percorso di riforme e delle solidarietà dei suoi partner europei.” Così si legge nel comunicato stampa della Commissione europea del 20 agosto 2018, in occasione della conclusione del terzo programma di aiuti alla Grecia. Nel testo si auspica l’inizio di un nuovo capitolo per il Paese all’interno dell’Unione europea, grazie alle riforme intraprese che avrebbero posto le basi per una ripresa sostenibile all’insegna dell’efficienza. Eppure, senza scomodare riferimenti dotti al teatro greco, la situazione della Grecia lascia poco spazio all’ottimismo.
Questo terzo programma di salvataggio fu firmato tra numerose polemiche nell’estate 2015, ponendo fine a mesi di tensioni e trattative tra il governo di Tsipras e la cosiddetta “Troika” (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo Monetario Internazionale).
Come illustrato nel comunicato, dopo anni di sacrifici e riforme il tasso di crescita è passato da -5,5% nel 2010 (anno del primo programma di aiuti) all’1,4% del 2017 ed è previsto attestarsi intorno al 2% per il 2018 e il 2019. Dall’altra parte, i dati OCSE evidenziano un calo della produttività, significativamente al di sotto della media UE. In aggiunta a ciò, le operazioni di privatizzazione di una serie di asset pubblici attualmente in corso (inclusi porti e aeroporti) pongono non pochi dubbi su come le risorse saranno impiegate, specialmente nel caso di investitori stranieri.
La Commissione europea si complimenta per gli sforzi greci nel portare un deficit fiscale del 15,9% nel 2009 a un surplus dello 0,8 % nel 2017, evidenza che nel maggio 2018 il tasso di disoccupazione è sceso sotto la soglia del 20% per la prima volta dal settembre 2011.
Non solo, il settore informale è stimato tra il 25 e il 30% del PIL e, come riportato dalla rivista francese Alternatives Economiques, dal 2008 i salari reali si sono contratti di circa il 15%, mentre la disuguaglianza di reddito si sarebbe profondamente inasprita.
La crisi del debito greco è stata in più occasioni terreno di scontro tra opposte posizioni ideologiche. È pertanto difficile poterla commentare senza toccare nervi scoperti. Ma è ugualmente fondamentale farlo.
Innanzitutto, le cause di tale crisi. Certo, è sufficiente leggere qualche romanzo poliziesco dello scrittore Petros Markaris per rendersi conto che molti dei problemi strutturali del Paese, dal tessuto produttivo assai debole a fattori legati a pratiche e istituzioni (corruzione, iniquità, uso improprio di fondi pubblici o europei), erano osservabili già prima della crisi e dei tre programmi di salvataggio.
Molti economisti e osservatori si accontentano di questi elementi. Altri hanno più volte cercato di ricondurre la spiegazione ad altri fattori, cosa che Q Code Mag ha raccontato in diverse occasioni nel corso del 2015. L’assenza di sovranità monetaria all’interno della zona euro e la dipendenza dai mercati finanziari internazionali (ricordiamo in particolare l’esposizione di banche francesi e tedesche al debito greco) hanno avuto un ruolo determinante nel rendere possibile un afflusso di capitali che ha consentito alla Grecia di espandersi (anche per dinamiche legate al settore privato) in modo non sostenibile.
E poi ancora, il contenimento, soprattutto nel “centro” della UE (si pensi alla Germania e alle sue politiche neomercantiliste), della dinamica salariale rispetto alla produttività ne ha compresso la domanda interna e introdotto ulteriori ostacoli alla competitività della periferia. Infine, la mancanza di un’unione fiscale che praticasse politiche redistributive all’interno dell’Europa, mitigando le disparità tra centro e periferia, ha di fatto privato la Grecia di qualunque meccanismo di “riparo” dalla crisi stessa.
L’incapacità di riconoscere la complessità delle cause della crisi greca e il ruolo dell’architettura e delle regole dell’eurozona in essa ha determinato le draconiane condizioni dei tre programmi di “salvataggio”, i quali ammontano complessivamente a 288,7 miliardi di euro (256,6 da parte della UE o di Paesi Ue e 32,1 da parte del FMI).
Semplificando molto, questi programmi di prestiti si sono accompagnati a massicci tagli della spesa pubblica e considerevoli aumenti del carico fiscale, funzionali a rastrellare le risorse necessarie al ripagamento dei debiti contratti con i creditori e, inoltre, al ripagamento dei prestiti contratti con la Troika per onorare questi stessi debiti.
Si tratta in buona sostanza di uno scenario già osservato durante la crisi del debito dei Paesi in via di sviluppo negli anni Ottanta (altro caso da manuale di dipendenza dai mercati finanziari internazionali e dalle loro dinamiche), che anche in questo caso ha fatto del ripagamento dei debiti e dei conti pubblici in ordine le priorità di un’economia, con risultati decisamente insoddisfacenti.
Difficile credere dunque che la fine del terzo programma di bailout inauguri un nuovo corso per la Grecia, la quale ora torna sui mercati finanziari internazionali. E non per l’incapacità del Paese di “fare le riforme”: una rapida carrellata cronologica di quanto accettato e applicato è più che sufficiente a smentire queste argomentazioni.
Su questo paiono essere concordi molto osservatori, addirittura lo stesso FMI, che spesso si è trovato in disaccordo con le istituzioni europee riguardo alla questione greca nel corso dei vari negoziati. Tuttavia, sebbene l’eccessiva intransigenza della linea seguita nei confronti della Grecia trovi sempre più voci critiche, si è ancora lontani da un cambiamento di paradigma politico ed economico: da una parte non paiono esserci spazi per ridefinire le regole dell’eurozona, specialmente di questi sciagurati tempi, dall’altra persiste nel mondo economico un ostinato attaccamento, quasi religioso, al totem dell’efficienza, della stabilità dei conti e del privato, una sorta di corsa a una perfezione che non appartiene a nessuna società di questo mondo.
Fiat stabilitas et pereat mundus scherzava la pagina Facebook Gli Eurocrati qualche anno fa, ben prima del governo Tsipras. Ci è voluto un terzo programma di salvataggio, certo, ma la Grecia è rimasta nell’eurozona e i conti sono in ordine. Stabilità è stata fatta, la strada per l’efficienza è stata tracciata. Per quella dello sviluppo e della giustizia sociale pare invece sia ancora troppo presto.
(Questo articolo riflette il punto di vista dell’autrice, espresso a titolo strettamente personale. Si ringrazia il Prof. Alberto Botta della Greenwich University per i preziosi consigli)
La pagina dell'European Stability Mechanism per la Grecia, con una serie di informazioni sui programmi di salvataggio
Il 2015 greco raccontato da Q Code Mag [nei singoli link aggiungere /ARCHIVIO/ tra www.qcodemag.it/archivio2018-22 e il resto dell'url]
Intervista a Costas Lapavitsas, docente di economia presso SOAS ed ex deputato con Syriza (poi passato a Unità popolare)
Articolo del New York Times sull'emigrazione greca