Interrogato sul significato dell’essere scrittore in una società ancora instabile, lo scrittore ucraino Markjian Kamyš ha detto “L’instabilità è turbolenta e la turbolenza fa emergere la natura umana meglio che in tempi di calma”.
Non c’è dubbio alcuno che le turbolenze degli ultimi anni, se da una parte hanno scosso nel profondo la società ucraina, soprattutto quelli che la osservano con uno sguardo più profondo e penetrante, dall’altra hanno acceso la scintilla che ha fatto emergere nuove consapevolezze e nuovi linguaggi.
A testimonianza, una stagione feconda per le arti, in particolare per la letteratura, si è generata nel caos e sulle macerie della guerra iniziata nel 2014 con le proteste di piazza contro il presidente filorusso Janukovyč, poi deflagrate in un conflitto armato che ha lasciato sul campo 14mila vittime e una serie di tensioni mai risolte.
Come scrive Yaryna Grusha, studiosa di letteratura ucraina «Dove domina l’esperienza traumatica e distruttiva nel comportamento e nella coscienza di una società afflitta dalla guerra, come in Ucraina, la letteratura diventa una zona di lotta sulla propria identità: dell’estrema esigenza di raccontarsi e descriversi che pone un inizio alle nuovi narrazioni».
Centrale, quindi, nell’universo artistico dell’Ucraina contemporanea, è stata la riflessione sull’esperienza della guerra. E lo sarà ancora, visto che il ritorno della guerra ha chiamato nuovamente all’appello scrittori e artisti ucraini. Che hanno risposto senza farsi attendere.
Fra questi, lo stesso Kamyš, nato nel 1988 e figlio di un ingegnere fisico nucleare e “liquidatore” della centrale di Černobyl’ (Čornobyl in ucraino). Kamyš è arrivato al pubblico italiano per il suo reportage/romanzo edito da Keller Una passeggiata nella Zona, (2019), dove la zona è ovviamente quella di Černobyl’, di cui scrive: «Per me la Zona è un luogo di relax. Altro che il mare, i Carpazi, il Donbass o la Turchia, invasa da puttane abbronzate e inondata di mojito. Una ventina di volte all’anno io faccio il turista clandestino nella Zona di Čornobyl’, lo stalker, il pedone, il solitario, l’idiota, chiamatemi come volete. Di me non si accorge nessuno, ma io ci sono. Esisto. Quasi come una radiazione ionizzante».
Cantore di uno dei luoghi più simbolici e dolorosi dell’Ucraina, oggi, mentre piovono missili russi, Kamyš canta l’ennesimo trauma per il suo paese dalle strade di Kiyv, affollate di gente in fila davanti ai negozi sotto il suono delle sirene. Ha provato ad arruolarsi come volontario nelle unità di difesa territoriale – racconta – ma le squadre sono al completo.
A Kamyš fa eco Serhij Žadan, uno dei più noti e rappresentativi scrittori ucraini, che racconta la guerra da Kharkiv, importante centro urbano, città industriale, sede dell’università e oggi bersaglio del fuoco dell’esercito russo.
Žadan si è già scontrato duramente con la violenza del conflitto, quando nel 2014, mentre nel paese si allargava drammaticamente il solco fra ucraini e russi, fu vittima di un attacco da parte di manifestanti che, dopo la fuga di Janukovyč, protestavano contro l’insediamento del nuovo governo. I dimostranti cercarono di obbligare Žadan a baciare la bandiera russa e, in seguito al suo rifiuto, lo colpirono con una mazza da baseball.
Il disordine e la rovina della guerra sono confluiti nel suo romanzo Il convitto, pubblicato in italiano da Voland nel 2020. L’opera racconta le vicende di Paša, un insegnante ucraino, che, dopo aver trascorso trent’anni senza mai schierarsi, si ritrova nell’inferno della prima linea quando deve recuperare suo nipote, ospite di un convitto. «Il quartiere finisce. Poi la strada si allunga lungo un campo vuoto: strutture in cemento iniziate negli anni Ottanta ma mai finite, abbandonate per sempre e ora terminate dal fuoco dei mortai». Mentre si muove sullo scenario della sua città natale devastata, Paša si ritrova a dover risolvere il suo rapporto con la guerra e a schierarsi.
Così come si schiera il suo creatore, Žadan, che nei primi giorni del conflitto è uscito per le strade della sua città per documentare questa nuova guerra. Dai suoi twit si vede la città coperta di neve e attraversata dalle barricate, ma si legge anche il coraggio della gente che cerca di organizzarsi e di darsi una mano. Oltre alla rabbia di Žadan verso l’esercito russo, «gli occupanti».
A Lviv, nell’Ovest dell’Ucraina risparmiato dal conflitto, sono attivi Romana Romanyšyn e Andrij Lesiv, un’illustratrice e uno scrittore che insieme hanno fondato Art Studio Agrafka. I due artisti, più volte vincitori di Bologna Children’s Book Fair, nel 2019, con La guerra che cambio la Città Tonda, pubblicato in italiano da Jaca Book, si erano impegnati in un delicatissimo compito: spiegare la guerra ai bambini. Lo avevano fatto con un libro illustrato, che passa da immagini colorate e piene di luce a toni cupi e scuri, esattamente come accade quando scoppia una guerra.
Ora che quei toni cupi e scuri hanno di nuovo preso il sopravvento, Romana Romanyšyn e Andrij Lesiv hanno messo a disposizione le loro doti artistiche e la loro rete di contatti fra gli editori europei per promuovere iniziative di raccolta fondi.
Fra gli artisti ucraini chiamati a confrontarsi con la guerra, non è mancato chi ha intrapreso strade più drastiche: lasciare la penna, la camera o lo strumento musicale, per imbracciare le armi.
Fra questi i membri di Boomboks, gruppo musicale molto amato in Ucraina, che si sono arruolati come volontari; Roman Vitoniv, noto come Majkl Shchur, giornalista e autore di un popolare show su YouTube, oggi riservista; Valerij Ananiev, scrittore, autore del libro “Le impronte sulla neve”, veterano e riservista. A questi, come volontario, si è unito anche Oleg Sentsov, regista ben noto anche all’estero anche per le sue vicende politiche. Il regista e scrittore ucraino era stato arrestato nel 2014 in Crimea e detenuto in Russia con l’accusa di «aver complottato per organizzare atti terroristici» e scarcerato nel 2019. Nel settembre 2021 aveva presentato a Venezia in anteprima il suo ultimo film, Rhino, che era da poco uscito nelle sale cinematografiche.
Da Sentsov a Žadan ad Agrafka, la risposta del mondo della cultura ucraina è avvenuta per strade e con strumenti diversi, ma tutti significativi della presenza forte degli artisti e della consapevolezza del loro ruolo in una società che si ritrova nuovamente attraversata dai tumulti della storia. Di fronte a sé, probabilmente, la speranza suggerita da Kamyš che dalle turbolenze possa emergere meglio la natura umana. Al momento, però, per il mondo delle arti, come per l’Ucraina tutta, rimane l’urgenza stringente di resistere nella cruda realtà della guerra.