Venezuela: conflitto geopolitico, assedio economico e sofferenza della popolazione

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17 Maggio 2019

Dopo il colpo di Stato fallito nel 2002 contro Chavez, lo scorso 30 aprile fallisce un nuovo tentativo di “golpe” in Venezuela

Esattamente 17 anni dopo il colpo di Stato fallito nel 2002 contro l’ex presidente Hugo Chavez, lo scorso 30 aprile fallisce un nuovo tentativo di “golpe” in Venezuela. A soffrire del conflitto in atto é la popolazione civile che, soprattutto a causa delle sanzioni internazionali promosse dagli Stati Uniti, affronta condizioni di vita molto difficili che hanno obbligato centinaia di migliaia di persone ad emigrare.

Da oltre 20 anni il Venezuela é al centro dell´attenzione mondiale. I motivi di questo interesse e, soprattutto, dei problemi sofferti dalla popolazione nel paese sono fondamentalmente tre. 

Il primo é che il Venezuela è una delle 10 nazioni che dispongono delle maggiori risorse naturali al mondo. Qui si trovano le più grandi riserve conosciute di petrolio; il paese è l’ottavo per riserve provate di gas; dispone di giacimenti estremamente importanti di oro, ferro, rame, bauxite, carbone, nichel, titanio,
diamanti, zinco e coltan, il materiale necessario per fabbricare apparecchi elettronici, di cui si conoscono disponibilità solo in sette paesi al mondo.

La seconda ragione è che da oltre venti anni in Venezuela si mantengono al potere governi non allineati agli Stati Uniti. Con l’elezione del presidente Hugo Chavez nel 1999 il Venezuela é retto da governi che potremmo definire di tendenza socialista, vicini alle posizioni cubane che ovviamente sono visti come il fumo negli occhi dagli Stati Uniti. Chavez, personaggio carismatico, inizialmente di tendenza patriottico umanista e non socialista, viene da subito attaccato dall’oligarchia venezuelana che aveva gestito indisturbata da sempre le risorse del Paese. Si arrivò così al primo tentativo di colpo di stato del 2002. Le reti televisive private, le radio e i giornali quasi tutti di proprietà dell’oligarchia si dimostrò che favorirono e incitarono il golpe manipolando le immagini e distorcendo  i fatti per rovesciare il governo dipingendo Chavez come un dittatore assassino.

Si dimostrò che il golpe fu appoggiato – secondo alcuni promosso – dall’amministrazione Bush che si affrettò a riconoscere il governo fantoccio che durò solo un paio di giorni perché Chavez fu riportato al potere dal furore popolare.

A seguito di questa esperienza il governo venezuelano si radicalizza successivamente su posizioni “bolivariane” e più propriamente socialiste. Chavez
diventa il leader di una corrente di pensiero progressista che durante oltre un decennio promuove e sostiene numerosi governi di sinistra in vari paesi dell’America Latina: Ecuador, Bolivia, Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e altri dell’area centro americana e caraibica.

Durante il suo governo Chavez nazionalizza progressivamente la maggioranza delle imprese dei settori strategici nazionali, principalmente aziende petrolifere, siderurgiche, delle telecomunicazioni, elettriche ed alimentari.

Rendendosi in questo modo ancora più inviso all’oligarchia nazionale e alle imprese multinazionali nel paese.
Grazie anche a un lungo periodo di prezzi favorevoli delle materie prime, Chavez ottiene risultati importanti in termini sociali: ad esempio rispetto alla disoccupazione che dal 16% del 1999 si riduce al 6.4% del 2012 (World Factbook); la diminuzione della povertà che passa dal 43.9% del 1998 al 26.7% del 2011 e dell’indigenza che diminuisce dal 17.1% al 7% (Cepal); il diritto universale all’istruzione pubblica universale che, nel 2005, consente all’Unesco di considerare il Venezuela “territorio senza analfabetismo”.

Grazie a questi risultati il governo bolivariano mantiene un grande supporto popolare e vince consecutivamente molte elezioni in maniera assolutamente legittima.

Con la morte di Chavez nel 2013 a conseguenza di un grave cancro allo stomaco – secondo alcune versioni mai definitivamente provate indotto da armi biologiche da parte dei servizi statunitensi – assume il potere il suo delfino, Nicolas Maduro, l’attuale presidente in carica. La presidenza di Maduro coincide con due elementi negativi: la repentina discesa del prezzo del petrolio – la principale fonte di divise del paese – che riduce al lumicino la spesa sociale e provoca una forte recessione a livello nazionale; la fase di restaurazione di numerosi governi neoliberali in paesi latino americani sino a pochi anni prima alleati  (Brasile, Argentina, Ecuador, Paraguay, Chile) che si uniscono agli Stati uniti per isolare e debilitare politicamente il Venezuela a livello regionale.

Una terza importante ragione che provoca la centralità dell’attenzione riversata sul Venezuela consiste infine nella sua posizione geografica ,che diviene posizione geopolitica per la sua vicinanza agli Stati Uniti e per essere la sponda orientale atlantica di ingresso al Sud America.

Questa condizione, sommata alle risorse di cui dispone e al tipo di governo che l’amministra, determina l’importanza geopolitica del Venezuela e pone il paese al centro dello scacchiere del confronto, o meglio, del conflitto in atto a livello
globale, per assicurare l’approvvigionamento delle risorse tra le potenze dominanti.

Da un lato gli Stati Uniti che hanno da sempre considerato i paesi latino americani come una loro appendice, quasi il loro cortile, e dall’altro Russia e Cina, fortemente interessate alle risorse non solo del Venezuela ma dell’intero
subcontinente latino americano dove si trovano il 65% delle riserve mondiali di litio; il 42% delle riserve d’argento, 38% di quelle di rame, 33% di stagno, 21% del ferro, 18% di bauxite, 14% di nichel, 13% di petrolio e oltre il 30% della produzione mondiale di bioetanolo.

È per queste ragioni più che per questioni etiche legate alla difesa della democrazia che, in particolare a partire dal tentativo di colpo di Stato contro Hugo Chávez del 2002, in Venezuela si é assistito a una escalation di eventi, spesso drammatici, che hanno creato innumerevoli sofferenze alla popolazione.
L’ultimo dei quali, in ordine cronologico, é stato il tentativo di colpo di Stato promosso contro il presidente Nicolas Maduro lo scorso 30 aprile.

Il tentativo di golpe del 30 aprile 2019

Martedì 30 aprile, all’alba, il deputato Juan Guaido leader dell’opposizione al governo in carica di Nicolás Maduro, auto proclamatosi lo scorso mese di febbraio 2019 oltre che presidente del parlamento anche presidente provvisorio del Venezuela, non si capisce ben su che basi, lancia quella che definisce la ”fase 3
finale dell’operazione libertà”.

Convoca i militari alla rivolta e il popolo a sollevarsi contro Maduro. In maniera immediata riceve il sostegno del presidente Trump e successivamente l’appoggio di quasi tutti i paesi alleati degli Stati Uniti, compresi molti europei. La stampa internazionale, quella italiana non fa eccezione, come se fosse stata previamente avvisata titola da subito sulle prime pagine che si tratta dell’assalto finale dell’opposizione al Governo di Maduro.

All’inizio dell’operazione, insieme a un drappello di militari Guaidó libera un leader dell’opposizione, Leopoldo Lopez, che era stato condannato agli arresti domiciliari per aver incitato alla violenza durante le manifestazioni antigovernative che nel 2014 provocarono decine di morti.

Ma in realtà poi la sollevazione convocata dall’”operazione libertà” si limita a poche centinaia di persone che manifestano violentemente nelle strade e quella dell’esercito a qualche decina di militari che disertano.

Il tentativo di golpe finisce quindi praticamente nel nulla e si trasforma da “operazione libertà” a rappresentazione di una farsa. L’apparato militare rimane leale al governo di Maduro. Lopez si rifugia nella residenza dell’Ambasciata
spagnola e una ventina di soldati che hanno partecipato al tentativo di golpe in quella del Brasile. Guaidò sparisce dalla scena.

Quando ormai la sera é calata su Caracas e la capitale si trova in totale tranquillità, paradossalmente rimangono a spiegare il fallimento dell’accaduto solo i portavoce del governo degli Stati Uniti che illustrano una serie di considerazioni inverosimili per giustificare il fallimento dell’operazione.

Considerazioni inverosimili che sono però diffuse come assolutamente realistiche dai canali di comunicazione di massa che fanno passare in secondo piano la gravità del tentativo di colpo di Stato violento che é stato realizzato contro il Governo in carica del Venezuela.

Il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa nella crisi venezuelana

I canali di comunicazione di massa, soprattutto quelli audiovisivi, hanno giocato un ruolo centrale negli avvenimenti venezuelani sin dal primo tentativo di golpe contro Hugo Chavez nel 2002.

L’obiettivo evidente era ed é quello di fornire una sola narrazione degli eventi, evidenziando tutto il male da una parte e, dall’altra, sostenendo coloro che lo combattono in nome della “libertà”. Si tratta di un cliché dell’”asse del male” applicato molte volte negli ultimi vent’anni, ad esempio nel caso di Milošević e la Serbia in Kosovo, Afghanistan, Iraq, Iran e Libia solo per citare i casi più emblematici.

Rispetto al Venezuela mi colpí molto, quando rientrai in Italia nell’estate del 2017 che tutti, amici, conoscenti, conoscenti dei conoscenti mi chiedessero notizie sulla situazione del paese. La maggioranza delle persone che mi domandavano informazioni non si erano mai interessate di questioni internazionali e molte non sapevano neanche bene dove si trovasse il Venezuela nelle carte geografiche. Conoscevano però perfettamente il nome del presidente: Maduro, un dittatore che secondo quanto avevano percepito reprimeva nel sangue le manifestazioni di coloro che lottavano per la libertà.

Capii ben presto il perché di tanta curiositá: in quei mesi, un giorno si e l’altro pure, i telegiornali e la stampa scritta aprivano le prime pagine parlando del Venezuela e delle manifestazioni – riprese dalle telecamere da tutti gli angoli possibili – promosse da coloro che combattevano per la “democrazia” per
contestare il governo del presidente Maduro.

Mi resi allora conto che – come già venivano promuovendo da tempo nei paesi latino americani – anche in Italia e in Europa i mezzi di comunicazione di massa
avevano iniziato a bombardare l’opinione pubblica con una narrazione ufficiale che parlava del Venezuela come di un paese governato da un dittatore che a causa del suo autoritarismo, mal governo, corruzione e molteplici altre considerazioni aveva ridotto alla fame e allo stremo il suo popolo, obbligando centinaia di migliaia di persone ad emigrare all’estero per sopravvivere.

Cercavo di spiegare ai miei interlocutori che Maduro era un presidente legittimamente eletto. O perlomeno eletto non in maniera meno legittima di quasi tutti i presidenti dell’America Latina che soffre, purtroppo, di democrazie molto imperfette.

Cercavo di spiegare che si, effettivamente, c’erano gravi problemi di gestione politica e istituzionale in Venezuela, ma non molto differenti a quelli esistenti nella maggioranza dei paesi della regione.

Che Maduro aveva commesso molti errori, preso delle misure certamente discutibili, molte delle quali non condividevo assolutamente, ma che d’altra parte in quel paese era in corso da anni un conflitto profondo tra poteri dello Stato, con interventi esterni e tentativi di golpe da parte di una opposizione di estrema destra che aveva governato e monopolizzato il paese per decenni.

Che davvero era difficile considerare propriamente una dittatura un paese permanente sotto i riflettori dei mezzi di comunicazione internazionali, dove l’opposizione aveva vinto le ultime elezioni parlamentari e il cui leader, un giorno si e un altro pure, chiamava all’insurrezione senza che nessuno gli
vietasse di farlo.

Che per abbastanza meno in un paese come la Spagna, che nessuno si sogna di definire non democratico, l’ex presidente della Generalidad de Cataluña Puigdemont rischia una condanna a oltre 15 anni per sedizione.

Ma soprattutto, cercavo di spiegare che, al di la delle oggettive responsabilità del Governo venezuelano, la crisi economica e sociale sofferta dalla popolazione – la vera vittima del conflitto politico ed economico in corso – era solo in parte attribuibile a Maduro e in gran parte da addebitare alle sanzioni e al blocco
economico imposto al paese dagli Stati Uniti.  

Qui la sorpresa generale mi sbalordì. Sanzioni? Quali sanzioni? La quasi totalità dei miei interlocutori non aveva infatti mai ricevuto notizia che da tempo il
Venezuela era vittima di misure coercitive, rese sempre più dure negli ultimi anni, che avevano un forte impatto sulla dinamica economica e sociale della nazione e quindi sulla crisi umanitaria e politica in corso.

Questo perché i mezzi di comunicazione di massa che trasmettevano quotidianamente notizie sulla critica situazione esistente in Venezuela non parlavano praticamente mai del tema delle sanzioni e del blocco economico al quale era sottoposto il paese, promuovendo invece in maniera diffusa la narrazione del mal governo, per di più considerato illegittimo, del presidente Maduro.

La finalità di tale dinamica era – e purtroppo continua ad essere ancora oggi – evidentemente di offrire più o meno consapevolmente una informazione parziale della situazione esistente in Venezuela, con omissioni e distorsioni tendenti a plasmare nell’opinione pubblica percezioni utili per omologare un solo
giudizio e una sola responsabilità riferita  alla situazione in essere nel paese.

La tragedia provocata dalle sanzioni e dal blocco economico nei confronti del Venezuela

La verità é invece che le sanzioni e il blocco economico promosso dagli Stati Uniti nei confronti del Venezuela sono state, se non l’unica, certamente la principale causa della drammatica situazione che affronta il paese e di tante sofferenze subite dalla sua popolazione. Le sanzioni iniziano nel 2005, si
incrementano nel 2015 sotto la presidenza Obama e si rafforzano sempre più sino ad arrivare alla radicalizzazione delle misure odierne decise dall’amministrazione Trump.

Secondo dati elaborati dal Centro Studi Economici CELAG il blocco economico nei confronti del Venezuela ha strangolato il paese ed ha significato una perdita di almeno 245 miliardi di dollari nella produzione di
beni e servizi durante il periodo 2013 – 2017. In termini pratici il blocco economico ha significato l’espulsione del Venezuela dai mercati finanziari internazionali, quindi l’impossibilità di sottoscrivere obbligazioni emesse dalle imprese che non possono più ottenere finanziamenti esterni, il blocco dei conti,
congelamento dei beni e dell’accesso alle riserve estere, l’impossibilità di operare per qualsiasi entità bancaria con collegamenti negli Stati Uniti, cioè praticamente tutte.

Come conseguenza di questa situazione, secondo dati della CELAG il valore delle importazioni crolla da 60 miliardi di dollari del 2013 a 12 miliardi nel 2017. Il paese viene isolato, le compagnie aeree internazionali non possono piú operare perché salta il sistema dei pagamenti.

L’impossibilità delle transazioni a causa del blocco finanziario rende quasi impossibile importare beni di prima necessità come il cibo, le medicine e le attrezzature sanitarie.

Gli ospedali restano sguarniti, i malati in particolare quelli cronici, non possono curarsi. Per la popolazione persino comprare la carta igienica diventa un’odissea.

Per valutare la situazione,  alla fine del 2017 le Nazioni Unite inviano in Venezuela un esperto indipendente, Alfred-Maurice de Zayas, con la missione di valutare la situazione sociale e le condizioni di vita della popolazione. Alla fine della missione de Zayas pubblica una relazione nella quale denuncia che gli effetti delle sanzioni e del blocco economico nei confronti del Venezuela hanno provocato grandi limitazioni all’acceso e distribuzione di cibo, medicine e beni di prima necessità contribuendo a causare molte morti tra la popolazione civile.

Nella relazione de Zayas indica che tali misure sono classificabili come crimini contro l’umanità perché colpiscono popolazioni innocenti, contravvenendo allo spirito e alla lettera della Carta delle Nazioni Unite. De Zayas considera talmente gravi le responsabilità degli Stati Uniti che ne propone il deferimento alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità perpetrati in Venezuela.

A conclusioni simili giunge un altro recentissimo documento del Center for Economic and Policy Research denominato “Sanzioni economiche come punizione collettiva: il caso del Venezuela”. Lo studio, stilato da due economisti di riconosciuta traiettoria, Mark Weisbrot e Jeffrey Sachs, quest’ultimo professore alla Columbia University e definito come uno degli economisti più importanti del mondo dal New York Times, considera  che le sanzioni e il blocco economico hanno inflitto gravissimi danni alla vita e salute della popolazione venezuelana provocando una stima di oltre 40mila morti nel periodo 2017-2018.

Si tratta di coloro che necessitano dialisi, malati di AIDS, cancro, diabete e malattie cardio vascolari che a causa delle sanzioni non si sono potuti curare perché le banche internazionali si rifiutano di processare le transazioni per l’acquisto di medicine richieste dal Governo.

É evidente che i mezzi di comunicazione di massa stiano diffondendo una narrazione a senso unico che non rispecchia la realtà della dinamica politica, economica e sociale esistente in Venezuela, che per sua sfortuna si è trovato al centro di un conflitto dove si sta combattendo una guerra nella quale non ci sono buoni e cattivi, ma solo vittime e carnefici.

Si tratta di una forma particolare di guerra che ha origini antichissime: l’assedio. Anticamente avveniva con gli eserciti che circondavano una fortezza. Attualmente avviene con paesi che assediano altri paesi utilizzando le armi economiche e meccanismi di manipolazione di massa.

Il problema reale, davvero drammatico, è che le vittime dell’assedio ieri come oggi sono sempre le stesse: la popolazione inerme che paga il prezzo degli interessi dei signori della guerra. Che ieri come oggi combattono per conquistare territori e le loro ricchezze.