Una lunga scalinata conduceva ad un soppalco. Lì, ordinati, una ventina di tavoli riempivano la sala. Intorno ad essi era seduta qualche decina di persone, giunte lì per rinfrescarsi con una vaschetta di gelato. Faceva molto caldo, fuori.
“Benvenuti! Prego, scegliete il tavolo che preferite!”. L’invito era molto allettante, l’aspetto del gelato invitante, e la sala curata sembrava ciò che di meglio si possa desiderare. Qualcosa non era chiaro però, non era il posto che stavo cercando.
Qualche anno prima, su una rivista, avevo letto un bellissimo articolo che raccontava di una gelateria dell’Havana chiamata Coppelia. Fidel Castro in persona l’aveva aperta, dopo un viaggio in Italia che gli aveva fatto scoprire il gelato. Col tempo era diventata una rappresentante degli ideali rivoluzionari, e un luogo di ritrovo per molti cubani.
Secondo lo stesso articolo, più che per il gelato in sé, Coppelia era uno dei modi migliori per entrare in contatto con la cultura del luogo, per conoscere molte persone e parlare con loro. Quello era il posto dove avere una vera esperienza cubana, insomma.
La gelateria in cui la guardia mi aveva condotto non era quel posto. I tavoli erano occupati esclusivamente da turisti, e non una singola parola in spagnolo usciva da quella stanza. Sembrava che, ad esclusione del personale, nessuno fosse cubano. Non c’era traccia, inoltre, delle interminabili file di gente di cui avevo sentito parlare.
L’uomo che mi aveva accolto mi disse che quello che cercavo era un luogo riservato solo agli abitanti di Cuba, in quanto gli unici che hanno a disposizione la moneda nacional. La valuta a disposizione dei turisti, il peso convertible, era invece accettato solo nella stanza in cui ero stato indirizzato.
Fortunatamente mi ricordai che il giorno prima avevo comprato una bottiglia d’acqua in un chiosco fuori dal centro, lontano dalle zone turistiche. L’unico denaro disponibile lì, e dunque l’unico modo per avere un resto, era la moneda nacional. Spinto dalla sete acquistai l’acqua ugualmente. Pensavo inoltre che quelle banconote si sarebbero rivelate utili, un giorno.
Mostrai alla guardia le banconote che avevo in tasca, e che avevo tenuto separate da tutto il resto. Un grande sorriso trovò posto sul suo volto, e con un cenno della testa mi fece cenno di seguirlo. Ad ogni mio passo sentivo un forte vociare farsi sempre più intenso. Quando mi sono trovato di fronte ad una fila che girava intorno all’edificio, mi sono reso conto da dove il rumore provenisse, e avevo capito di essere nel posto giusto.
Decine e decine di persone, di tutte le età, formavano una fila che sembrava interminabile. Tutti erano lì per Coppelia, tutti aspettavano pazienti e parlavano tra loro, con il sorriso in volto. Un uomo, all’inizio della fila, dirigeva il traffico, permettendo alla gente di entrare non appena si liberava un tavolo. In fondo, nuove persone si aggiungevano costantemente, rendendone la lunghezza costante.
Accanto alla fila, continuamente aggiornato, un cartello comunicava ai clienti i gusti che erano ancora disponibili. Anche il gelato, come tutto a Cuba, era solo in quantità limitata, fino ad esaurimento scorte.
Non appena prendemmo il nostro posto nella fila gli sguardi di tutti si rivolsero verso di noi, e diventammo l’attrazione principale di quel pomeriggio. Non era comune vedere dei non cubani fare la fila.
D’altronde il gelato era disponibile anche nell’altra sala, senza bisogno di aspettare. Ma avevo letto di come fare la fila da Coppelia fosse un’esperienza sociale, un’esperienza che volevo vivere.
Molte persone continuavano ad avvicinarsi, alcune chiedendo semplici frasi di circostanza, altre voraci ricercatrici di informazioni su chi fossimo, come ci chiamassimo e da dove venissimo. In particolare, un uomo sulla settantina pareva particolarmente interessato a noi, e ben presto cominciammo a fare la fila assieme.
Nelle due ore passate lì, era come se fossimo sempre stati grandissimi amici, come se dopo anni ci fossimo finalmente ritrovati dopo essersi persi di vista, e non volessimo perderci di nuovo. Aveva dei sigari, una decina, avvolti in carta di giornale. Li aveva appena comprati. Erano sigari di ottima qualità, si trovavano solo a Cuba, e non nei negozi per turisti.
Determinato a dimostrare la veridicità delle sue parole, Pedro, questo il nome dell’uomo, me ne regalò un paio, come ricordo di quella giornata.
Era un militare, Pedro, uno che difendeva i valori della Rivoluzione. A detta sua era molto amato dal governo, e l’anno successivo, in una cerimonia magnifica e con centinaia di persone ad assistere, sarebbe salito di grado. Ogni tanto sfogliava i suoi due quotidiani, il Granma e la Juventud Rebelde, che ogni mattina venivano consegnati alla sua porta, e a quella di tutti i cubani.
Ancora una volta Pedro dimostrò un grande cuore e me ne lasciò uno da tenere con me. Dopo tutto non avrei potuto averlo in nessun altro modo.
Nel frattempo la fila avanzava lentamente, mentre i gusti diminuivano. “Un tempo c’erano tutti i gusti che potevi immaginare, a Coppelia” mi dice Pedro, confermando ciò che avevo letto sulla rivista, “nel periodo di massimo splendore ne avevi 120 tra cui scegliere”.
Quando arrivò il nostro turno, solamente due erano rimasti disponibili, nocciola e cioccolato. Dopo esserci seduti Pedro, che ormai era divenuto sempre più un elemento ineliminabile di quella giornata, ci consigliò di ordinare una ensalada, cioè una vaschetta di plastica riempita con cinque palline di gelato ricoperte da biscotti sbriciolati. Intorno a noi le persone, felici, gustavano il loro gelato e conversavano.
Molti di loro ordinavano fino a dieci vaschette a testa, e rovesciavano il contenuto in recipienti di plastica. Avrebbero avuto così gelato a disposizione, a casa, fino alla prossima volta che sarebbero tornati a fare la fila.
Alla fine Pedro non ci permise nemmeno di pagare il nostro gelato, era come se avesse voluto premiarci per aver scelto di stare lì con gli altri cubani, e di aver preso parte alla sua giornata. Usciti da lì mi strinse la mano e tornò a casa, essendosi prima accertato che non avessimo bisogno di aiuto.
Quando siamo andati via la fila era ancora della stessa lunghezza di tre ore prima. Le persone che la chiudevano avevano ancora delle ore da aspettare davanti a loro, e forse i due gusti rimasti sarebbero presti diventati solo uno. Tutti erano sorridenti, tutti parlavano tra loro.
Dal canto mio, ero molto soddisfatto. Non per il gelato, di cui non sono neanche un grande amante, ma perché lo avevo mangiato lì, con Pedro, dopo aver fatto la fila per due ore. Ero molto soddisfatto perché avevo vissuto una vera esperienza cubana.