di Matteo Maimone and Anna Elisa Sida
14 Giugno 2019
La Mongolia tra spiritualità e tribù in via di estinzione
La Mongolia ha la capacità di racchiudere tutto ciò che attrae l’essere umano: storia, spiritualità e natura sconfinata.
E’ scritto nei libri e viene raccontato ancora come le conquiste di Gengis Khan e dei suoi valorosi guerrieri abbiano contribuito a rendere questo paese così tanto importante dal punto di vista storico. Allo stesso tempo, dalla storia, si passa alla bellezza che solo la natura sa donare, attraverso terreni che sembrano non avere mai fine.
L’adattamento e l’apertura mentale sono necessarie per far fronte ad un viaggio lungo questa terra, tra deserto, steppa, la taiga, le montagne innevate; il silenzio fa poi da colonna sonora agli orizzonti che si allargano senza fine.
Rispetto a secoli fa, si ha la possibilità di esplorare la Mongolia con mezzi di trasporto come auto, moto o addirittura a cavallo. Gli stessi tracciati sulla terra che segnano l’attraversamento da un paesaggio all’altro, sono rimasti immutati da allora. Gli stessi ritmi che hanno i nomadi si confondono con i silenzi che alimentano le fantasie di tutte le persone che ne rimangono ammaliate.
Se escludiamo il caos che contraddistingue la capitale Ulan Batoor, lo scenario che si presenta al nord della Mongolia è unico.
Un mix tra pace, solitudine e smarrimento avvolge lo stato d’animo da indurlo a fondersi con la natura circostante.
Un vero rapporto di rispetto reciproco ed è per questo motivo che è normale trovare ancora piccoli villaggi nel mezzo della taiga. Un ecosistema totalmente delicato caratterizzato da conifere e betulle ma anche da paludi, le quali, durante il rigido clima invernale ghiacciano, creando fragili lastre.
Per raggiungere questa foresta innevata bisogna attraversare il lago Hovsgol, il più grande lago del paese ai piedi dei monti Sajany orientali, che arriva a ghiacciarsi per circa quattro mesi durante il periodo invernale in cui le temperature riescono a raggiungere i -40°.
Qui vivono i Dukha, l’ultimo gruppo di pastori nomadi di renne presenti in Mongolia, che sviluppano la propria economia e il loro stile di vita attorno ad esse, curandole e proteggendole.
I Dukha (o Tsaatan ) sono molto simili ai Sami – i pastori di renne scandinavi, meglio conosciuti come lapponi – che ai mongoli della steppa. Essendo nomadi si spostano con le loro ortz, delle tende a forma di cono, somiglianti ai tepee dei nativi americani, seguendo i cicli delle renne: infatti questi animali non possono vivere a lungo nella steppa, dove le temperature sono molto alte; l’unico posto che permette loro di vivere è al nord della Mongolia. I Dukha sopravvivono grazie alla caccia e alla produzione di formaggio che ricavano dal latte di renne
Vengono utilizzate anche per diverse attività tra cui la cavalcatura: addomesticandole sin da giovani, iniziano a caricarle con pesi di circa 20 chili il primo anno, passando a circa 40 chili il secondo anno per poi arrivare ai 5 anni ed essere adeguatamente cavalcate.
Purtroppo non spostandosi mai dalla taiga sono rimasti solo un piccolo gruppo composto da 44 famiglie (circa 200-400 persone) andando, così, in via d’estinzione. I loro volti li riconosci subito perché sono segnati dagli inverni rigidi e il lavorare costantemente sotto il sole li porta ad avere la pelle più scura e un fisico apparentemente più anziano.
Tra misticismo e spiritualità, ci si può imbattere negli sciamani. Adoperano i loro poteri di guaritori solamente il settimo e il nono giorno di luna piena e fondamentalmente credono in tre concetti fondamentali. Il primo è che il mondo è vivo. Le piante, gli animali, le rocce e l’acqua hanno degli spiriti e devono essere rispettati, donando così, protezione ed equilibrio.
Il secondo punto è la responsabilità personale. Gli sciamani mongoli credono nel concetto chiamato bujan, una sorta di ‘karma’ in cui il frutto delle azioni compiute da ogni essere vivente influisce sia sulla reincarnazione in una seconda vita, sia sulle gioie e i dolori che caratterizzeranno questa seconda ‘opportunità’.
Il terzo punto è l’equilibrio di grande rilevanza in quanto ha la capacità di mantenere l’armonia dentro se stessi, all’interno della comunità e nell’ambiente circostante.
Tutto questo risiede nell’animo di sciamani come Nergui, un anziano uomo che vive insieme a sua moglie all’interno di una piccola e angusta casa di legno nel bel mezzo della taiga mongola.
Tutto è avvolgente e surreale. Egli non può esistere se non nel mezzo di una natura possente che lo ispira, ma essa è una dimensione interiore e lui ne è consapevole.
Lo sciamano proietta ciò che ha all’interno del suo animo ed è per questo che fa da tramite alle canzoni degli antenati della foresta, alla sua gente e alle loro renne.
E’ un incontro che si rivela essere un’esperienza di guarigione e di incredibile apertura mentale. Egli sa riconoscere il tuo problema senza dovergliene parlare; la vera difficoltà sta nell’approccio e nell’abbattere tutte quelle congetture e blocchi mentali acquisiti attraverso una specifica cultura.
Una delle prime cose che gli sciamani della Mongolia, totalmente ricoperti dai loro vestiti tradizionali colorati e da maschere folcloristiche, fanno alla persona che hanno di fronte a loro e chiedere se vogliono protezione, fortuna o abbondanza e scrollare, di conseguenza, le energie negative di dosso. Non appena entrano in uno stato di trance iniziano a danzare e a cantare con una tonalità che va via via crescendo insieme al rullare sul tamburo in pelle.
Poi lo cospargono di fumo derivante dal ginepro per far richiamare gli avi, i quali sono attratti dai profumi. Infine offrono agli spiriti ciò verso cui il nostro Io, la persona in questione, prova maggiori ‘attaccamenti’ egoistici e che ci appare prezioso. Quelle certezze mentali e materiali di cui non facciamo a meno nel contesto in cui viviamo, come un pacco di sigarette o dei biscotti.
Attualmente sono rimasti davvero in pochi a vivere in queste condizioni. Tuttavia, però, la gente ha imparato a rispettare la natura e gli animali, continuando a tramandare le proprie credenze, di generazione in generazione, invocando con le canzoni e i loro antenati defunti. Ed è per questo che ritrovarsi in un contesto simile, nonostante gli ultimi cambiamenti, non può che rivelarsi una delle esperienze più sconvolgenti e indimenticabili della vita.
testo di Anna Elisa Sida
foto di Matteo Maimone