di Cafébabel
16 Dicembre 2021
Come in tutti i Balcani, la gestione della pandemia ha mostrato le crepe della sanità pubblica post transizione
Pare non esserci una luce in fondo al tunnel in Romania. La quarta ondata della pandemia da Covid-19 ha, ormai da diverso tempo, invaso il Paese dell’ex blocco. Dopo picchi altissimi di contagi raggiunti ad ottobre, c’è stato un breve rallentamento nella prima parte di novembre. Abbiamo scambiato un paio di parole con Simona Carobene, direttrice di FdP-Protagoniști în educație (Protagonisti nell’educazione) a Bucarest, e Martin B., un software developer a Cluj-Napoca.
di Francesco Barbati, tratto da Café Babel
In Romania le crisi sembrano non finire mai. Da quella politica, che dalla scorsa estate tiene banco nei notiziari nazionali e internazionali e che forse è giunta ad una temporanea conclusione, alle crisi energetica ed economica. Come se non bastasse, l’estate ne ha portato con sé una nuova: la crisi sanitaria legata al Covid-19, la quarta, probabilmente la più tragica finora.
“A mio avviso quello che sta accadendo qui ha ragioni molto profonde, sicuramente alcune di queste risalgono al periodo del regime (di Ceaușescu, ndr). Io ne individuo due in particolare: la mancanza di fiducia in generale (verso i politici, nei confronti dei medici) e una debolissima coscienza del bene comune. Queste due caratteristiche sono visibili un po’ da tutte le parti, ma sicuramente sono più diffuse nelle campagne ed in generale nelle persone con un livello educativo più basso”, mi spiega via email Simona Carobene, direttrice di FdP-Protagoniști în educație(Protagonisti nell’educazione), un’associazione che aiuta famiglie e bambini in difficoltà a Bucarest, la capitale.
“Oltre a ragioni così profonde, ci sono anche ragioni legate a ciò che accade oggi, concretamente, sia a livello governativo, sia negli ospedali. Solo nell’ultimo anno, ci sono stati 4 incendi in 4 terapie intensive del paese, rispettivamente: Piatra Neamt (10 morti); Ospedale Matei Bals di Bucarest (4 morti); Constanta (9 morti); Ploiesti (2 morti)”, continua Carobene.
In Romania, così come in Bulgaria, i dati parlano chiaro: da luglio, quasi il 40% dei decessi dovuti al coronavirus di tutta l’UE è stato registrato nei due Paesi balcanici. Insomma, il numero dei vaccinati è inversamente proporzionale a quello dei morti – e sicuramente non è il caso della Romania, che da sola detiene uno dei tassi di vaccinazione più bassi in Europa (il 37,6% della popolazione).
Martin B. (30), software developer austriaco, vive a Cluj-Napoca, capitale storica della Transilvania nella Romania nord-occidentale. “Mi sono trasferito da Vienna a Cluj lo scorso settembre perché è una delle sedi in cui opera la mia azienda, che mi ha offerto la possibilità di venire a lavorare qui per alcuni anni”.
Gli chiedo via mail se ha notato alcune differenze tra il sistema austriaco e quello rumeno in relazione alla gestione dell’emergenza sanitaria: “Durante il primo mese sì, ho avuto modo di osservare delle differenze. L’uso della mascherina era abbastanza comune, persino quando il tasso d’infezione era più basso. C’è da dire però che un test rapido antigene qui costa intorno ai 35€, decisamente caro considerato il reddito locale”. Il Green Pass, o certificazione verde Covid-19, non gli è stato chiesto quasi mai: “L’unica volta in cui mi è stato richiesto è stata quando ho voluto partecipare ad un festival musicale nel centro della città”.
Sono curioso di saperne di più sulla campagna di vaccinazione nazionale, se c’è un contrasto tra adolescenti e giovani da una parte, e adulti e anziani dall’altra in termini di fiducia nella scienza e conseguente percezione positiva nell’assumere dosi di vaccino: “Ciò che preoccupa di più è che, in parallelo con il numero di contagi, anche il numero di vaccini sta scendendo rapidamente. A metà ottobre 2021, grazie anche alle ‘maratone vaccinali’ eravamo arrivati a superare i 100.000 vaccini al giorno (per la prima dose). Ad oggi, siamo tornati al di sotto dei 20.000 al giorno. Ci si sta nuovamente rilassando, e questo è molto molto pericoloso. Nelle città ci si vaccina sicuramente di più, ma alcune fasce della popolazione rimangono scettiche. Parlo sia di giovani con un livello culturale medio-basso, influenzati sicuramente anche dai social, che parlano di teorie complottistiche, di interessi economici mondiali, di privazione di libertà e così via, sia di adulti e anziani che invece probabilmente sono più scettici e meno fiduciosi e hanno paura delle conseguenze del vaccino”, afferma Simona Carobene.
Martin pone l’accento sull’approccio ambiguo da parte di alcuni partiti politici locali che, come in Austria, non supportano adeguatamente la campagna vaccinale, o che “sono disposti a temporeggiare davanti all’adozione di ulteriori misure di contenimento del virus”.
La quarta ondata – che si è rivelata essere estremamente tragica – si avvia verso la fine? I numeri continuano ad essere alti, anche se “nelle ultime due settimane abbiamo visto scendere velocemente i contagi e anche il numero dei morti è in discesa, e le terapie intensive non sono più al limite” racconta Carobene. Almeno momentaneamente, “non si leggono più sui giornali le notizie che tipiche fino a qualche settimana fa, ne ricordo solo alcune: due donne morte nel cortile dell’ospedale di Craiova (non erano nemmeno riuscite ad entrare nel corridoi della struttura); delle macchine parcheggiate sotto l’ospedale di Buzau, dove i medici portavano l’ossigeno ai pazienti che stavano ore in macchina prima di essere accolti; il cimitero di Galati non riesce ad ospitare tutte le bare nell’obitorio, e i morti nei sacchi neri aspettano, fuori dall’obitorio, di essere presi dalle loro famiglie… Queste notizie non le leggiamo più e sentiamo anche meno sirene di ambulanze girando per la città”.
Anche a Cluj la situazione pare essere più stabile. “Il tasso di vaccinazione è più alto qui”, dice Martin. “A mio parere, per coloro in possesso del Green Pass non è cambiato molto: ristoranti e negozi, pur non essendo frequentati come al solito, sono sempre aperti. Immagino che la situazione possa essere diversa nelle campagne”.
A Bucarest, Simona Carobene fa notare che “anche i mezzi pubblici sono molto meno affollati, si preferisce andare in macchina. Ecco, questa forse è la conseguenza immediatamente più visibile: c’è un traffico impressionante. In genere comunque funziona tutto, la maggior parte dei bambini ha ripreso ad andare a scuola. Sono state infatti riaperte le scuole che hanno il 60% del personale vaccinato, parliamo quindi più o meno dell’80% degli istituti scolastici. Per le strade della capitale si stanno anche montando le illuminazioni natalizie… Insomma, a prima vista sembra tutto normale”.
Il dramma “evidente” e “invisibile” della pandemia
“Però questa è solo la ‘prima impressione’”, riprende Carobene, “perché nascostamente invece si vivono tantissimi drammi. Persone in isolamento da sole, preoccupate per la malattia, e senza possibilità di acquistare medicine e generi alimentari (i poveri non hanno la carta di credito…); persone impossibilitate a pagare tutte le spese del funerale per un proprio congiunto; persone guarite dalla Covid-19 che vengono dimesse ma sono molto debilitate e devono procurarsi un concentratore di ossigeno che è purtroppo carissimo”.
Penso all’obiettivo dell’associazione di cui Carobene è direttrice, la FdP-Protagoniști în educație (Protagonisti nell’educazione): supportare in maniera concreta famiglie e bambini in difficoltà, le persone che vivono in povertà. Il virus non conosce confini o muri, siano essi materiali o… di classe: “La malattia da Covid-19 colpisce tutti, poveri e ricchi, indistintamente. Ma per i poveri i problemi sono sicuramente più difficili da affrontare. Spesso i poveri hanno dei lavori saltuari, oppure lavorano in nero, una chiusura totale o anche parziale in molto casi ha significato la perdita del lavoro. Inoltre i poveri vivono in spazi ridotti”.
“Si è parlato spesso di didattica online per i bambini, sono stati regalati anche tanti tablet, senza pensare però che il problema non è solo un problema tecnologico. Quando 6-8 persone vivono in un monolocale, come fa un bambino a collegarsi? Ci sono bambini che non hanno uno spazio fisico dove mettersi, oppure che tengono sempre la telecamera spenta perché si vergognano di far vedere la camera spoglia, magari con la nonna anziana immobilizzata a letto. Oppure ci sono abitazioni, per esempio nelle zone rurali, che non sono collegate all’energia elettrica… Si stima che negli ultimi due anni l’abbandono scolastico in Romania sia passato dal 19% al 25%. Questo vuol dire che 1 bambino su 4 abbandona la scuola”.
Domando come l’associazione stia gestendo l’emergenza nei vostri centri educativi, se abbia abbastanza risorse ed energie non solo per occuparsi di bambini (specialmente delle famiglie povere), ma anche per consegnare cibo e medicine a coloro che purtroppo non possono permetterseli: “Il nostro lavoro in questi ultimi anni è cambiato tantissimo. Abbiamo cercato di adattarci alle necessità imposte dalla realtà mantenendo sempre però quello che è più importante, ovvero il rapporto con le singole persone, bambini, mamme, famiglie. Le risorse, grazie anche alla generosità di tanti amici, non sono mancate e questo ci ha permesso di occuparci di tantissime situazioni veramente drammatiche. Certo il bisogno è ancora immenso e ogni aiuto è benvenuto. In questo momento, oltre alle famiglie di Bucarest, stiamo aiutando circa 16.000 persone in 5 villaggi rurali dove forniamo medicine agli ambulatori medici per le persone che si contagiano e riforniamo 8 scuole materne e 8 scuole elementari di mascherine, disinfettanti, test rapidi, e così via. In queste 5 comunità molto povere, e lontane da centri vaccinali, vorremmo iniziare anche a svolgere campagne di vaccinazione sensibilizzando le comunità e portando nei villaggi i vaccini. Per questo progetto abbiamo ancora bisogno di aiuti”.